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50 giovani da seguire nel 2024 - Prima parte
09 gen 2024
Francesco Camarda, Leny Yoro e altri giovani da tenere d'occhio quest'anno.
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18 min
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Come sempre cominciamo il nuovo anno con una lunga lista di giovani talenti da seguire nei prossimi 12 mesi, perché magari hanno dimostrato di avere qualcosa di speciale, o perché speriamo che la loro crescita li porti ancora molto lontano. Le cose raramente vanno come desideriamo, lo sappiamo, ma i primi giorni sono quelli delle speranze riposte, delle vite immaginarie che scorrono nelle nostre teste.

Ripetiamo le regole di inclusione, per gli appassionati commentatori già pronti a rinfacciarci questo o quel giocatore. Di seguito non troverete nessun calciatore nato prima del 2004, e nemmeno quelli troppo affermati, che probabilmente già conoscete e che quindi seguiremo a prescindere. Parliamo di: Gavi, Moukoko, Zaire-Emery, Endrick, Garnacho, Arda Güler, Ferguson, Lamine Yamal.

Se volete fare gli storici di questa rubrica e vedere come sono andati i giocatori messi in questa lista negli anni precedenti, trovate qui le vecchie edizioni: 202320222021202020192018.

1. João Neves, 2004, Benfica (Portogallo)

La scuola portoghese è famosa per i suoi centrocampisti sublimi. L'ultimo prototipo ha lo sguardo malinconico e il fisico compatto ma piccolo, al punto che la maglia del Benfica sembra stargli una taglia più grande. Parliamo di João Neves: non è neanche un anno che è apparso in prima squadra ma sembra già la risposta portoghese alla nuova generazione di centrocampisti tecnici dal baricentro basso che amano muoversi a tutto campo per influenzare la manovra, come Musiala e Pedri. Con una lettura del gioco con e senza palla già fuori categoria, Neves viene spesso a prendersi il pallone in mediana, gestendolo nella propria metà campo da veterano consumato.

Salito in prima squadra nel gennaio 2023 per andare a sostituire il campione del mondo Enzo Fernández, nel finale di stagione si è preso definitivamente il posto da titolare, ma è nell’inizio di questa che è diventato una colonna della squadra di Roger Schmidt. Nel frattempo Neves è anche arrivato all’esordio con la Nazionale portoghese. Ha già avuto il suo momento della rivelazione al grande pubblico europeo col gol nella vittoria nei minuti di recupero del derby di Lisbona di metà novembre.

Neves aveva già segnato il suo primo gol nel campionato portoghese nel derby di Lisbona, lo scorso maggio, mostrando quello che i giornali chiamano l’aura da predestinato. L’agenzia che lo gestisce è ovviamente quella di Jorge Mendes e questo significa un trasferimento a breve per una grande squadra, molto probabilmente in Premier League, visto che le cifre per il suo acquisto sono già irraggiungibili per la stragrande maggioranza delle altre squadre europee. Il Benfica è bottega cara, ma chi esce dalle sue giovanili così quotato è garanzia di qualità.

2. Antonio Nusa, 2005, Club Brugge (Norvegia)

Nel 2022 è diventato il più giovane marcatore della storia del Club Brugge, pochi mesi dopo è anche diventato il secondo più giovane marcatore della storia della Champions League. Il 2023 è stato un anno di crescita e consolidamento. Ha esordito con la Nazionale maggiore norvegese, ha iniziato a giocare titolare nel Brugge. Stiamo parlando di un diciottenne. La Norvegia ha già un finalizzatore d’élite (Haaland) e un rifinitore d’élite (Odegaard), e Nusa sembra essere arrivato per colmare l’unica lacuna della Nazionale, ovvero un giocatore bravo nell’uno contro uno offensivo. Dice di ispirarsi a Neymar: «Mi piace seminare il panico. Neymar è il mio modello perché crea caos in campo con i suoi dribbling, proprio come me». Del brasiliano ha una certa leggerezza sui primi passi, nonostante l’altezza. Non è esplosivo ma è ipertecnico in conduzione, e sa essere molto creativo nel dribbling: ha un ampio bagaglio di finte, cambi di direzione; usa bene entrambi i piedi, sia per portare palla che per passarla. Per questo può essere usato sia a destra che a sinistra, dove comunque si trova meglio.

Il suo difetto, oggi, pare essere quello di voler fare tutto troppo da solo e di associarsi troppo poco con i suoi compagni. Quando gli arriva palla cerca sempre di essere risolutivo, con dribbling e rifiniture - mentre dovrebbe provare a volte ad alleggerire il suo gioco, a fare cose più semplici, a scegliere meglio i momenti in cui accelerare. Quando parte palla al piede, però, è un giocatore emozionante, bello da vedere per l’andatura sempre estremamente controllata.

Nusa ci mostra quanto sia importante il concetto di “equilibrio” nel dribbling: è sempre stabile e bilanciato negli appoggi e nei campi di direzione, e per questo non sembra faticare quando deve superare l’uomo. Negli ultimi giorni si è parlato di un tiepido interessamento del Chelsea, ma sembra presto. Nella Jupiler League di quest’anno ha messo insieme solo due gol e due assist. È un giocatore acerbo, con un’attitudine da giocatore di strada. Nusa ha un talento generazionale, per come corre e tocca la palla, ma deve ancora essere sviluppato in maniera coerente. Il 2024 sarà un anno cruciale.

3. Arthur Vermeeren, 2005, Anversa (Belgio)

Arthur Vermeeren, classe 2005 nativo di Lier, ha esordito in campionato a ottobre 2022 e un paio di settimane più tardi, a metà novembre, era già titolare inamovibile dell’Anversa che avrebbe vinto la Jupiler Pro League 2022/23.

Mezzala destra nel 4-3-3 di van Bommel, si tratta di un centrocampista nettamente più intelligente della media. Le prime doti che catturano l’attenzione del suo repertorio sono quelle difensive. Vermeeren affronta i novanta minuti con estrema concentrazione ed è sempre preciso nello schermare le linee di passaggio e ad uscire sugli avversari con l’angolatura di corsa giusta. Sta sempre attento a cosa gli accade intorno e per questo non si fa portare fuori posizione, cambiando uomo da seguire nella propria zona a seconda di come sono messi i compagni. Se capisce di essere coperto, gli piace sganciarsi in pressing anche sulla linea degli attaccanti.

La statura definisce il suo gioco senza palla. Se un metro e settantasei di altezza può sembrare poco per un centrocampista difensivo, in realtà la stazza lo agevola: è rapido a muoversi lateralmente per tamponare le ricezioni sul suo fianco e riesce ad accorciare in avanti con buona velocità. In più, ha grande forza nelle gambe e quando mette il piede solitamente è lui a vincere il contrasto. In fase di possesso, invece, ha una tecnica semplice e pulita, senza particolari picchi, se non nei lanci che gli piace provare di tanto in tanto. Da mezzala, contribuisce allo sviluppo scaricando il pallone e muovendosi in avanti per attaccare l’area.

Nonostante l’ultimo posto dell’Anversa, Vermeeren ha dimostrato di poter competere anche durante la fase a gironi di Champions League. Pare che piaccia al Barça e che Moncada lo avesse seguito durante la scorsa stagione. Ad ottobre per lui è arrivata la prima chiamata da parte del Belgio: con premesse del genere, il prossimo passo potrebbe essere il trasferimento in una grande del calcio europeo, senza step intermedi.

4. Savinho, 2004, Girona (Brasile)

Savinho e il suo Girona sono le grandi rivelazioni di questa stagione di Liga. Se Michel ha saputo costruire un sistema di gioco brillante, che rende godibile ogni partita dei catalani, il brasiliano è senza dubbio il calciatore più divertente della squadra. Cresciuto nell’Atlético Mineiro, è stato prelevato dal City Football Group che nel 2022 lo ha piazzato al Troyes. Dopo aver passato la scorsa stagione in prestito al PSV senza quasi mai giocare, quest’anno ad accaparrarselo è stato il Girona, altra squadra del City Football Group, anche stavolta in prestito.

Savinho si è trasformato da subito in uno dei giocatori più determinanti della Liga, a livello sia collettivo che individuale. Michel lo schiera largo a sinistra e la minaccia del suo dribbling e della sua velocità monopolizzano le attenzioni degli avversari, che sono così costretti a lasciare più spazio al centro, dove può fiorire il possesso del Girona. Quando Savinho riceve, però, la manovra può accelerare improvvisamente. Non esiste terzino o raddoppio che non possa superare, sia nello stretto sia in allungo. La sua peculiarità è che, pur essendo un mancino che gioca a sinistra, non ha problemi a condurre palla verso l’interno. Se invece riesce a raggiungere il fondo scocca dei cross difficilissimi da difendere per la velocità e la parabola con cui cadono sul secondo palo.

Il modo in cui lo usa Michel è funzionale alla squadra, ma limita il numero di possessi in cui interviene. Nell’ultima gara contro l’Atlético Madrid ha giocato per la prima volta a destra, a piede invertito, e ha dato l’impressione di poter essere ancora più letale con il dribbling. La sensazione è che, per il tipo di talento di cui dispone, abbiamo visto ancora solo una piccola parte del potenziale di Savinho.

5. Kendry Paez, 2007, Independiente del Valle (Ecuador) FG

L’Independiente del Valle è LA fucina di talenti in Ecuador, anche in maniera più che metaforica, visto che la città di Salgonquí, che ospita la squadra, si trova alle pendici del vulcano Pichincha. L’ultima sensazione della squadra si chiama Kendry Paez, sgusciante ala neppure diciassettenne che nel momento in cui scrivo vanta poco meno di 1800 minuti tra i professionisti, ma che il Chelsea ha già acquistato – ok, nel periodo in cui acquistava un po’ tutti – per venti milioni di euro.

Paez ha esordito in prima squadra neppure un anno fa, a febbraio, andando subito a segno, peraltro con un pallonetto delicatissimo – e un’esultanza piuttosto matura. L’esplosione è stata inattesa e deflagrante, proprio come quella di un vulcano andino: nel Sudamericano Under 17 giocato in primavera è stata una delle stelle più rilucenti – nonostante giocasse non proprio nel suo ruolo, tanto da guadagnarsi la convocazione per il Mondiale Under 20 giocato in Argentina, in cui l’Ecuador è stato eliminato dalla Corea – e Kendry ha capito subito che il calcio è questo, meraviglia e disillusione.

Mancino purissimo, abile nello stretto, baller che interpreta l’arte del dribbling in maniera sempre creativa, esplosivo sulla media distanza, Kendry Paez è un esegeta della cola de vaca, quella finta in cui il pallone ti resta attaccato al piede mentre inneschi un allungo che lascia il difensore piantato al suolo. I compagni lo hanno soprannominato Dima in onore di Di Maria, e Kendry ricorda "el Fideo" anche per la maniera in cui taglia il campo con lanci lunghi e precisi, di un’estetica iridescente. Può giocare indistintamente sulle due fasce, anche se predilige quella destra per convergere e andare al tiro.

A settembre ha esordito con la Nazionale maggiore in una gara delle qualificazioni ai Mondiali – il secondo più giovane nella storia della CONMEBOL, soltanto un mese più vecchio di Diego Armando Maradona: due settimane più tardi ha trovato il suo primo gol, con la Bolivia. In un movimento in costante sobollimento, Paez è l’ultima violenta detonazione: la Copa América di quest’estate e le Qualificazioni Mondiali ci diranno qualcosa di più sul suo talento.

6. Leny Yoro, 2005, Lille (Francia)

La scuola francese continua a produrre centrali di alto livello con una costanza spaventosa, ormai rilevante anche a livello sociologico. Leny Yoro è solo l’ultimo di una lunga lista di difensori emersi dal cemento dei sobborghi di Parigi e apparsi troppo grandi per la squadra che li conteneva già dai loro primissimi passi con i professionisti. Il centrale del Lille ha esordito in prima squadra meno di due anni fa (superando Eden Hazard al secondo posto tra i più giovani ad aver esordito per la squadra francese), ha passato appena una stagione di rodaggio tra panchina e campo, e oggi già se ne parla come acquisto di prospettiva per Bayern Monaco, Real Madrid, PSG e per la solita lista di grandi squadre della Premier League. A quanto pare il Lille lo valuta 50 milioni di euro. Com’è possibile?

Paulo Fonseca ha detto che a volte si dimentica che Leny Yoro ha solo 17 anni. L’allenatore portoghese, se si escludono le prime due uscite stagionali, lo ha schierato titolare in tutte le partite di campionato, dimostrandogli una fiducia praticamente incondizionata che non può non far bene alla sua crescita. Dal canto suo, Yoro non è un difensore che ama prendersi troppi rischi. In uno contro uno aspetta sempre la prima mossa dell'avversario, a volte andando fuori tempo massimo per l’intervento e facendosi fregare soprattutto nei cambi di direzione, in cui non è proprio un fulmine di guerra. Con la palla quasi mai prova a rompere le linee avversarie: con il suo buon destro al massimo può tentare un cambio di gioco in diagonale per l’esterno sul lato opposto del campo, altrimenti torna indietro dal portiere. Anche così si spiega l’impressionante 93% nella casella dell’accuratezza di passaggio, che secondo StatsBomb lo pone nel 97º percentile tra i centrali dei migliori campionati europei. Da questo punto di vista, Yoro è un prototipo interessante di difensore, diverso da quei centrali iper aggressivi che vediamo sempre più spesso in Serie A, abituati a spezzare la linea per uscire sull’uomo tra le linee come palle da demolizione. Non è un caso che si sia trovato a suo agio in una squadra di Fonseca, che richiede un lavoro molto complesso ai suoi difensori, che devono prendere decisioni continue in una linea alta anche a palla scoperta.

«È giovane ma ascolta molto e lavora bene in allenamento. Non sono sorpreso di vederlo a questo livello. È sicuro di se stesso, e in difesa si vede. Chi se ne frega dell’età», ha detto di lui Samuel Umtiti, che gli fa da chioccia al Lille. Se continuerà così, difficilmente Leny Yoro rimarrà ai Dogues, e potrebbe ritrovarsi nella surreale situazione di doversi giocare le sue carte in un top club europeo ancora prima di aver compiuto 20 anni. In prospettiva, per lui, potrebbe non essere un anno semplice.

7. Oscar Gloukh, 2004, Red Bull Salisburgo (Israele)

I tifosi italiani lo hanno già visto contro la Roma lo scorso anno e contro l’Inter in questa edizione della Champions, e tra le due partite hanno potuto osservare tutti i progressi fatti da Gloukh dalla passata stagione - quando era arrivato in Austria dal campionato israeliano - ad oggi. Intorno all’ora di gioco ha segnato a San Siro un gol stupendo, calciando di prima sul secondo palo un pallone che arrivava da dietro su sponda di Roko Simic.

Oggi, più o meno con lo stesso numero di presenze, ha già raddoppiato il numero di assist e gol nella Bundesliga austriaca, ed è riuscito anche a mettere insieme 2 gol e 1 assist in Champions League.

È un momento particolarmente florido per il calcio israeliano, e sta venendo su una generazione che ha ottenuto risultati importanti nei vari tornei giovanili. Di questa nidiata - con Lemkin e Turgemann tra gli altri - Gloukh è il gioiello più splendente.

Gloukh gioca trequartista centrale nel sistema del RB Salisburgo, gli piace ronzare nelle tasche di spazio sulla trequarti, partendo sia dal centro che dal lato sinistro. È un numero 10 elettrico, rapido di testa e di gambe. Gli piace portare palla e dribblare in spazi stretti e dare l’ultimo passaggio, ma è già piuttosto maturo nelle scelte, nel modo in cui si associa con i compagni, e soprattutto nell’intelligenza degli smarcamenti. Come si saranno accorti i tifosi dell’Inter, è molto scaltro a trovare la posizione giusta per mettere in difficoltà la difesa avversaria.

Per questa sua intelligenza non sarebbe assurdo immaginarlo in futuro anche da mezzala, nonostante sembri dare il meglio anche vicino alla porta. Ha una bella pulizia di calcio, e quando deve concludere quasi non ha bisogno di preparazione, anche se il suo volume di tiri somiglia ancora a quello di un centrocampista e non a quello di una punta (poco più di 2,5 tiri per 90 minuti). Il suo adattamento al RB Salisburgo è stato relativamente rapido, anche perché Gloukh è un acceleratore di gioco naturale. Gioca rapido, pensa rapido. Quando la palla gli arriva tra i piedi cerca soprattutto di dare una sgasata alla manovra. Non è particolarmente bello da vedere, col baricentro basso e il passo corto, ma è anche per questo che sembra potersi adattare bene alle richieste che il calcio contemporaneo fa ai giocatori nati col talento da numero dieci. Da quando è in Austria è migliorato nell’applicazione nel gioco senza palla, soprattutto nello scegliere l’angolatura del pressing, ma è un aspetto che deve ancora raffinare.

8. Francesco Camarda, 2008, Milan (Italia)

A fine novembre Francesco Camarda è uscito dalle nostre fantasie per entrare nel mondo del reale. Un esordio in Serie A da più giovane di sempre che per quanto dimenticabile - pochi minuti contro la Fiorentina passati a difendere il vantaggio - lo ha proiettato nell’Olimpo dei predestinati.

In estate Camarda, che a marzo 2024 compirà 16 anni, è stato promosso nell’Under 19 del Milan dopo aver segnato quasi 500 gol. A livello giovanile una differenza di due o tre anni d’età è come un macigno, e Camarda non sta dominando come fatto negli anni precedenti, ma che ci sia talento è evidente da lontano. Il gol segnato in rovesciata contro il PSG in Youth League (torneo che non prevede fuori quota e dove quindi si trova più a suo agio) ha girato ovunque e insomma è una buona base di partenza.

Camarda è un centravanti dalle spiccate doti realizzative, calcia in maniera naturale con tutti e due i piedi. Soprattutto, si muove in area di rigore come se fosse nel salotto di casa. Secondo Costacurta, solo Inzaghi, tra gli attaccanti che ha visto giocare, era più abile nel liberarsi dai marcatori. Comunque non è un centravanti immobile, anzi ama svariare, venire incontro, aiutare la squadra nella fase di costruzione. Tecnicamente è a un buon livello, anche se - ovviamente - a volte gli manca un po’ di precisione nelle scelte.

Camarda rimane un glitch nel sistema, un 15enne che riesce a sembrare normale in mezzo a ragazzi 3 o 4 anni più grandi (finora ha segnato 8 gol in 22 partite), che sicuramente paga qualcosa fisicamente ma che riesce a sopperire con questa capacità innata di essere decisivo. Per lui il 2024 sarà un anno di crescita. Difficilmente lo rivedremo al piano superiore, ma poco importa: in Italia raramente abbiamo visto giovani centravanti così promettenti. L’attesa fa solo parte del processo.

9 Agustin Ruberto, 2006, River Plate (Argentina)

A quanti giovani attaccanti argentini sono stati cuciti addosso soprannomi magniloquenti? Quanti "tanque", quanti "genocida", quanti "increíble", quanti "gigante"? Ecco: Augustin Ruberto è chiamato "gigante", nonostante sia ancora un 2006 e non abbia neppure ancora esordito in prima squadra.

È fiorito nel Mondiale Under 17 giocato in Indonesia, dove l’Argentina si è dovuta arrendere in semifinale alla Germania: il torneo di Ruberto è stato incandescente, otto reti che gli sono valse la scarpa d’oro, otto gol in ognuno dei quali è parso ispirato, dotato di un bagaglio di abilità importante, sulla via della maturazione. I connazionali capaci di laurearsi capocannonieri in precedenza sono stati Saviola, Messi e Agüero: dei tre, forse quello a cui più somiglia Ruberto è "el Kun", ma vincere una Scarpa d’Oro può essere davvero considerato un segnale di predestinazione?

Dice di ispirarsi a Santos Borré e a Lewandowski: del colombiano, che ha fatto la storia dei "millonarios", ha la mobilità su tutto il fronte d’attacco e la predisposizione a un gioco associativo, spalle alla porta; del polacco un’infiorescenza ancora acerba di letalità, specie quando innescato da assist brillanti – e giocare in tandem con Echeverri, in questo Mondiale Under 17, ha sicuramente avuto il suo peso. E poi numeri acrobatici, come questo gol segnato contro il Brasile al Mondial Minimes di Montaigu.

Nella doppietta segnata al Venezuela, anche nella tracotanza con cui calcia il rigore, e nella tripletta segnata alla Germania c’è tutto quello che Ruberto dice di essere, tutto quello che è: uno squalo che fiuta il sangue, pragmatico più che estetico, nueve classico e allo stesso tempo moderno. Gigante, forse, ancora no.

10. Nico Paz, 2005, Real Madrid (Argentina)

I tifosi del Napoli, non fosse altro, potranno dire di essere stati testimoni del debutto sul più grande palcoscenico calcistico europeo di Nico Paz: mentre novembre scivolava via, nella penultima giornata della fase a gironi di Champions, al Bernabeu, l’epifania di questo ragazzino – che con l’esperienza di un veterano ha ricevuto spalle alla porta, fatto perno su se stesso eludendo Cajuste, e poi mirato da venticinque metri verso la porta di Meret, segnando un gran bel gol – si è appalesata in tutta la sua inaudita lucentezza. Con questa rete, Nico Paz si è piazzato alle spalle di Rodrygo e Raúl come marcatore più giovane nella storia madridista in Champions League, e di Messi nella storia argentina.

Figlio di un onesto difensore centrale, medaglia d’argento alle Olimpiadi del 1996, nella rosa argentina al Mondiale di Francia del '98 e con una carriera passata anche per le Canarie, Paz è nato in Spagna, e non è neppure uno di quegli argentini che sognano a tutti i costi l’Albiceleste. Trequartista offensivo, sì, ma alla europea, che sa fare più il box-to-box che l’enganche, Nico Paz è una mezzala che, per come gioca, assomiglia a un’ala, di cui incarna tutti gli archetipi fisici e di gioco. Di argentino, questo sì, Paz ha una certa predisposizione a farsi fluttuante quando il gioco non lo coinvolge, e un atteggiamento un po’ arrendevole: nonostante, come tutti i centrocampisti moderni, conosca perfettamente l’importanza di pressare, spesso viene superato dagli avversari con una certa facilità.

La partita con il Napoli è stata una cometa soprattutto perché Paz, in quel frangente, è parso un giocatore molto diverso da quello che si era visto con il Castilla, più simile al Nico osservato nel Mondiale Under 20 casalingo – ma lì giocava con i pari età, ed era sensibilmente un pesce più grande dello stagno che lo conteneva: consapevolezza del proprio ruolo in campo, senso della posizione, disciplina difensiva e, soprattutto, personalità.

Se la Spagna avesse un selezionatore più lungimirante, magari Nico Paz avrebbe già collezionato una convocazione che non avrebbe, per sua stessa ammissione, disdegnato: de la Fuente, però, è il conservatorismo fatto persona e non gli ha neppure buttato un occhio, spingendolo ad accettare, al contrario, la convocazione di Scaloni in limine al Mondiale del Qatar.

Di tutti i talenti passati per La Fábrica, forse Nico Paz è quello che è riuscito a esordire pur essendo ancora davvero molto acerbo. Ma se Ancelotti è convinto di puntare su di lui tanto da inserirlo in questo roster di centrocampisti, chi saremmo noi per dubitarne?

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