Mai come in questo inizio di 2021 vogliamo buttare via il passato e guardare il futuro. E poche cose ci parlano di futuro come i giovani talenti dello sport. Come da tradizione, nei primissimi giorni dell’anno, su l’Ultimo Uomo stiliamo il menù dei giovani più interessanti seguire nella propria stagione. Dopo la prima. la seconda parte e la terza parte pubblicate nei giorni scorsi, eccovi la quarta parte con altri dieci nomi.
Gabriel Martinelli, 2001, Arsenal (Brasile)
Dopo un rapido assestamento, alla sua prima stagione in Europa, in Premier League, nell’Arsenal, Gabriel Martinelli aveva stupito tutti. In una squadra forse in declino, ma dall’enorme fascino soprattutto quando si parla di giovani talenti, aveva attirato l’attenzione con pochi tocchi: quelli che gli erano bastati per segnare i primi gol con la maglia dei "Gunners". In pochi mesi era diventato il più giovane giocatore dell’Arsenal ad andare in doppia cifra dai tempi di Anelka, poi un infortunio al ginocchio ne aveva bloccato l’ascesa.
Schierato sia come esterno sinistro d’attacco che come prima punta, Martinelli ha dimostrato di avere tutte le qualità per affermarsi nel calcio di alto livello con la semplicità di chi non aspettava altro. Non è uno di quegli attaccanti con una forza dirompente o la tecnica di una foca, ma è pulito e minimale. È molto bravo nel dominare gli angoli, con il destro o di testa è in grado di trovare non la conclusione più potente, ma quella più difficile da prendere per il portiere. Se in area dà il meglio di sé, non è uno di quegli attaccanti statici o indolenti. Grazie a una velocità sia nel breve che nel lungo (guardate il gol al Chelsea), può essere incisivo anche giocando sulla fascia, anche se il suo sviluppo naturale sembra quello di prima punta. A causa del lockdown prima e dell’infortunio al ginocchio poi, nel 2020 Martinelli ha giocato pochissimo. È rientrato a fine dicembre e sta ancora cercando la migliore condizione.
Arteta intanto sta provando a resuscitare la sua squadra dal torpore offensivo in cui era finita puntando sui giovani. In una squadra forse acerba ma piena di talento, Martinelli nel 2021 può prendersi il piedistallo. Certo la convivenza con Lacazette e Aubameyang non sarà facile, ma un attaccante così giovane e con queste qualità non può essere ignorato.
Ryan Gravenberch, 2002, Ajax (Olanda)
Ryan Gravenberch fa parlare di sé da almeno due stagioni: il 23 settembre 2018, all’età di 16 anni e 130 giorni, aveva conquistato il record di più giovane esordiente della storia dell’Eredivisie (superando Seedorf) e, dopo appena tre giorni, arrivò anche quello di più giovane marcatore di sempre per l’Ajax.
Dopo i fasti di due anni fa e le cessioni illustri di de Jong, de Ligt, Van de Beek e Ziyech, la squadra di Ten Hag aveva l’urgenza di rinverdire la propria leadership tecnica. Gravenberch si è inserito in questo solco, diventando non solo un titolare, ma anche un imprescindibile, nonostante abbia appena 18 anni. Arrivato in prima squadra come un mediano/regista imponente ma soprattutto elegante, le sue caratteristiche lo hanno spinto verso un posizionamento avanzato che gli potesse consentire di agire a ridosso della linea d’attacco, facendo valere la sua qualità di gestione del possesso senza sollecitarlo troppo difensivamente, e soprattutto tenendolo di più sopra la linea della palla.
Gravenberch oggi è un interno sinistro da tenere d’occhio, dribblando, come farebbe lui, i facili paragoni con Paul Pogba che potrebbero nascere spontanei vedendo le sue progressioni quasi sulle punte e il pallone che rimane incollato al piede in qualsiasi circostanza. Certo, non è comune che un giocatore così longilineo sia al tempo stesso così aggraziato nello stretto e versatile nel palleggio, dunque è lecito lasciarsi ammaliare dal gioco, tenendo però presente che Gravenberch deve aggiungere altre giocate al suo bagaglio prima della consacrazione definitiva. Forse Gravenberch dovrebbe un po’ “sporcare” il suo gioco, accostando all’eleganza del suo gioco più concretezza. Il 2021 potrebbe essere l’anno decisivo per lui, perché gli interessi delle grandi squadre iniziano a farsi seri ed è proprio in questo momento che la sua carriera può incanalarsi sul binario decisivo.
Nicolò Rovella, 2001, Genoa (Italia)
Nicolò Rovella è stata forse la sorpresa più bella di questa prima parte di Serie A e infatti, com’è da tradizione in casa Preziosi, sembra che il “Grifone” stia già trattando la sua cessione alla Juventus. Dopo l’esordio in campionato lo scorso anno, Rovella si è imposto da titolare quest’anno con Maran in panchina brillando nonostante le disastrose prestazioni del Genoa di inizio stagione. Il giovane centrocampista del Genoa è sembrato non accusare affatto il salto dal calcio giovanile a quello di élite e ha messo in mostra un gioco che riesce a coniugare con grande eleganza doti difensive (nel recupero del pallone) e offensive (soprattutto nei movimenti senza palla e nelle conduzioni). Alcune statistiche parlano già per lui: per esempio, Rovella è già molto in alto per quanto riguarda i contrasti, vincendone 2.4 per 90 minuti (quanto Thorsby e più di Rincon, per intenderci). Ma i margini di miglioramento sono tanti, soprattutto nell’ultimo quarto, e sarà interessante vedere se, con un allenatore più propositivo come Ballardini, Rovella saprà crescere ancora. Alla prima panchina, il nuovo (si fa per dire) allenatore del “Grifone” gli ha preferito un giocatore più esperto come Behrami, ma non è affatto detto che Rovella non torni nell’undici titolare rossoblu nelle prossime settimane. Non sembra che una squadra in difficoltà come il Genoa, infatti, possa privarsi di una mezzala così dinamica e allo stesso tempo così pulita nel trattare il pallone come lui.
Adil Aouchiche, 2002, Saint Etienne (Francia)
A livello giovanile pochi possono vantare il curriculum di Adil Aouchiche: capocannoniere dell’Europeo Under 17 con 9 gol, miglior assistman e secondo miglior giocatore del Mondiale della stessa categoria. Trequartista classico, capelli ricci, baffi adolescenziali, sguardo furbo, Aouchiche è l’ultimo nuovo Zidane partorito dal mostruoso movimento calcistico francese. Tra tutti i nuovi Zidane, però, era quello col curriculum più solido, e infatti anche il delicato passaggio tra i professionisti vissuto nel 2020 è filato liscio. È stato l’anno dell’addio al PSG, e dell’arrivo al Saint Etienne. Non è stato sempre titolare, ma gioca spesso, e sempre più spesso. Nel 4-4-2 di Claude Puel Aouchiche fa l’esterno sinistro di centrocampo, lo slot in cui venivano dirottati i numeri dieci nell’ortodossia dei moduli degli anni ‘90. L’idea è di sfruttare i suoi uno contro uno e la capacità di creare gioco rientrando sul piede forte. L’impressione però è che Aouchiche, pur avendo una certa elettricità in spazi stretti, non abbia le doti atletiche per fare la differenza sull’esterno, in un campionato fisico come la Ligue 1.
Sembra piuttosto aver bisogno di vedere gli spazi attorno a sé comprimersi per brillare. Ha un gran piede destro, che il Saint Etienne sfrutta su tutti i calci piazzati, diretti e indiretti; ma il suo talento più evidente, come per tutti i calciatori francesi di origine algerina, è nel controllo palla da futsal. Lo spessore mentale che ha dimostrato per assorbire l’impatto con i professonisti non deve farci dimenticare che Aouchiche è un numero dieci che si esalta nella spensieratezza del linguaggio tecnico, che usa il calcio come una modalità d’espressione. Speriamo che nel 2021 il Saint Etienne si fidi sempre di più delle sue migliori caratteristiche.
Joshua Zirkzee, 2001, Bayern Monaco (Olanda)
L’idolo di Joshua Zirkzee è Arjen Robben, con cui però condivide giusto il passaporto. Per il resto Zirkzee è alto un metro e novantatre, non è chiaro se abbia mai dribblato qualcuno nella sua vita, ha i capelli afro che lo fanno sembrare una statua gigante e gioca in attacco. Era diventato celebre un anno fa, dicembre 2019, quando aveva segnato 2 gol ai primi due palloni toccati nella sua vita tra i professionisti. Erano stati due gol decisivi, quelli contro Friburgo e Wolfsburg, per svoltare il rendimento del Bayern di Flick in campionato.
Poi è stato rimesso sotto naftalina, «Non dobbiamo dimenticarci che è ancora un ragazzo» aveva ricordato Flick spegnendo l’hype. Verso la fine della stagione è tornato a giocare. È stato titolare contro il Borussia Monchengladbach, una partita in cui mancava Lewandowski, e ha segnato un gol furbo. Sommer pasticcia in costruzione e gli regala la palla, lui dai 25 metri tira di prima, di piatto, nella porta vuota, senza scomporsi. Zirkzee ha questa presenza sonnolenta nella partita, sempre assente, sempre un po’ sotto traccia. Ma, come ha ricordato il suo allenatore delle giovanili, «Sa sempre dove stare». In questa lista ha caratteristiche uniche, quelle di quegli attaccanti che non hanno apparenti doti tecniche e fisiche, ma sanno come si fanno i gol. Vedremo se a gennaio il Bayern lo manderà a giocare in prestito a giocare, dopo le 5 presenze striminzite messe insieme finora.
Filip Stevanovic, 2002, Manchester City (Serbia)
Quando Filip Stevanovic ha debuttato con la maglia del Partizan Belgrado a 16 anni, 2 mesi e 14 giorni aveva la faccia da bambino. A dire il vero anche oggi, a due anni di distanza, sembra un bambino in mezzo agli adulti. Tuttavia basta vederlo giocare per capire che è solo apparenza: il talento di Stevanovic è luminoso e smaliziato, già oggi nel campionato serbo può fare la differenza. In 17 presenze, non tutte da titolare, ha segnato 3 gol e servito 3 assist.
Stevanovic è un’ala con velocità e dribbling secco. Gli viene più naturale giocare a sinistra, dove può rientrare e calciare col piede naturale, il destro, con cui riesce già a calciare sia a giro con precisione che di potenza. Quello che sa far meglio però è orientare il controllo per saltare la prima pressione, anche per questo in futuro potrebbe giocare anche in mezzo al campo, come trequartista, grazie anche a una progressione importante. A fine ottobre se lo è accaparrato il Manchester City, battendo una concorrenza molto folta con un’offerta di oltre 8 milioni di euro. A gennaio dovrebbe trasferirsi nella squadra di Guardiola, dove potrà sicuramente affinare un gioco ancora un po’ acerbo. Magari per un po’ verrà aggregato all’Under 23 del City, ma è facile immaginarlo come un veloce trampolino di lancio. Già oggi Stevanovic sembra avere le qualità per giocare con profitto a un buon livello e nel 2021 speriamo di poterlo vedere il più possibile.
Rayan Cherki, 2003, Olympique Lione (Francia)
Rayan Cherki è il terzo esordiente più giovane della storia della Champions League ed è il marcatore più giovane della storia del Lione, certificato di qualità in materia di talento verde. Ha compiuto diciassette anni solo ad agosto, ma il suo nome popola le compilation di YouTube almeno da un paio d’anni. Non avrebbe potuto essere altrimenti: senza neanche una stagione intera tra i professionisti, palla al piede sono pochi i giocatori virtuosi come Cherki, ala o trequartista di formazione francese ma di tocco e inventiva inequivocabilmente algerini (e con una bisnonna italiana).
Nelle partite del Lione, il giocatore di Pusignan è un’attrazione a parte. Quando gli arriva la palla, i suoi tifosi potrebbero astrarsi dal risultato e rimanere comunque soddisfatti davanti a un tale prodigio di tecnica. Cherki gioca un calcio creativo e prima di liberarsi della palla pensa sempre a inventare qualcosa di speciale. È ancora difficile inquadrare la sua funzione per il collettivo e la sua collocazione in campo (di solito Garcia lo schiera da esterno destro, a piede naturale, ma con libertà di accentrarsi o cambiare fascia); tuttavia, il suo stile e le sue giocate sono già inconfondibili. C’è un fondamentale, in particolare, in cui è già uno dei migliori al mondo: il tocco di suola. Cherki usa i tacchetti non solo per proteggere palla o per eseguire controlli orientati, ma anche per dribblare l’avversario. Lo fa sia nell’uno contro uno frontale, sia, soprattutto, spalle alla porta, quando può sfruttare il contatto col marcatore. In questo senso, il francese possiede una forza notevole nella parte bassa del corpo: quando dribbla nello stretto, per difendersi dai tackle allarga la gamba d’appoggio e gli avversari gli rimbalzano addosso.
Oltre alla suola, il giocatore del Lione padroneggia alla perfezione tutta la superficie del piede. La palla scorre da una parte all’altra della scarpa senza soluzione di continuità, per questo Cherki non perde quasi mai il possesso nello stretto. Il particolare straordinario è che la mia descrizione vale sia per il destro che per il sinistro: «Non ho mai capito quale fosse il suo piede forte», ha detto Cyrille Dolce, suo allenatore nell’Under 15 del Lione, un’impressione che potrebbe insinuarsi anche nella mente dello spettatore. Quando gioca a destra non sempre punta il fondo col suo piede teoricamente forte, ma usa il mancino per convergere. Il fatto è che anche a sinistra, dove potrebbe convergere col destro, a volte usa il piede debole per portare palla verso l’interno del campo: un mistero che rende ancora più affascinante e unico Rayan Cherki. L’alternanza di destro e sinistro, d’altronde, lo rende più efficiente nell’uno contro uno: la possibilità di far passare la palla da un piede all’altro gli permette di nascondere fino all’ultimo il dribbling per avvicinarsi il più possibile al marcatore e incentivarlo al tackle; non è un caso che tra le sue skill preferite vi sia la cosiddetta croqueta. In rifinitura e nei tiri, invece, preferisce affidarsi al destro.
Il video vale la pena guardarlo tutto, ma se non avete tempo gustatevi la giocata a 4:14.
Al momento stiamo assistendo al calcio di Cherki in purezza, con poche sovrastrutture tattiche e tutto incentrato sulla sua supremazia tecnica, fatta di doppi passi, trick da strada e scucchiaiate per i compagni. Negli anni, probabilmente, dovrà rinunciare a qualche ricamo, perché è impossibile giocare una partita di soli highlights. Passa anche da qui la crescita del suo minutaggio.
Samuele Ricci, 2001, Empoli (Italia)
A partire da Verratti, sono diversi i centrocampisti italiani passati per la Serie B prima di spiccare il volo. Un destino che sembra attendere anche Samuele Ricci, capace di mettersi in luce l’anno scorso con la maglia dell’Empoli ad appena 18 anni (e di suscitare l’interesse di mezza Serie A). Ricci è un centrocampista dal fisico slanciato - 186 centimetri per 68 chili - che fa della gestione del pallone la sua migliore qualità. Negli ultimi due anni l’Empoli ha cambiato diversi allenatori, ma tutti hanno impiegato Ricci principalmente davanti alla difesa, dove può far valere la sua visione di gioco nel corto e nel lungo. Ovviamente per questo è stato paragonato ad Andrea Pirlo, ma insomma: le qualità nel palleggio sono evidenti.
Per la sua capacità di giocare in verticale, con filtranti bassi o lanci lunghi, Ricci può giocare anche sulla trequarti, ma non essendo un calciatore particolarmente abile vicino alla porta (ancora zero gol tra i professionisti) forse quello di mediano è il ruolo che sembra calzargli meglio. Pur non essendo particolarmente fisico - deve ancora svilupparsi al meglio - ha già un buon gioco con le anche per evitare la pressione avversaria. In fase difensiva deve ancora migliorare molto, ma sembra avere dei buoni istinti nel leggere le linee di passaggio e nel difendere in avanti. In questa stagione Ricci sta giocando leggermente meno a causa dell’arrivo di Stulac, che forse offre più garanzie in una squadra che punta alla promozione. Tuttavia Ricci rimane uno dei giovani centrocampisti italiani più di talento e la speranza è di vederlo a breve, magari già in questo 2021, in Serie A.
El Bilal Touré, 2001, Stade Reims (Costa D’Avorio)
Lo Stade Reims è andato a scovare El Bilal Touré direttamente in un’accademia calcistica in Mali. Dopo averlo portato in Francia, ci ha messo pochissimo per promuoverlo in prima squadra e farlo esordire contro l’Angers, partita in cui Touré è andato subito in gol. Pochi mesi prima aveva vinto la Coppa d’Africa Under 20, venendo inserito nella formazione ideale del torneo.
Quello che distingue Touré da altri attaccanti della sua età, ovvero che non hanno ancora compiuto 20 anni, è la capacità di saper fare molte cose. È discreto nel gioco aereo, sa attaccare la profondità, associarsi con i compagni, finalizzare con tutti e due i piedi (è ambidestro). In poco più di mille minuti giocati in Ligue 1, ha già segnato 5 gol, in una squadra non particolarmente prolifica.
Certo, per un attaccante è un rischioso saper far bene tante cose, ma magari niente benissimo. Touré è ancora un po’ informe: può giocare sulla fascia grazie alla sua velocità, ma non ha un dribbling o uno spunto eccezionale, può giocare dietro a una prima punta, ma non è un passatore particolarmente creativo. Sicuramente il ruolo di prima punta è quello che gli si addice meglio e quello in cui lo Stade Reims sembra volerlo impostare. In questo 2021 Touré potrà giocare con continuità in Ligue 1, un vantaggio che si è guadagnato in questi mesi. Potrà sicuramente migliorare nelle scelte quando ha il pallone tra i piedi e nella continuità, difetti tipici dell’età che possono essere limati solo giocando.
Giovanni Reyna, 2002, Borussia Dortmund (Stati Uniti)
C’è un gesto che definisce Gio Reyna meglio di ogni altro: il primo tocco, pulito, magnetico, che fa continuare l’azione senza farle perdere velocità. Un gesto esibito ad esempio nell’assist a Haaland in Champions League contro il Paris Saint-Germain. Reyna riceve un passaggio forte e in verticale dalla difesa, nel corridoio interno sulla destra all’altezza del centrocampo, e gli basta un tocco per girarsi verso la porta e prepararsi ad accelerare palla al piede. Gran parte dell’assist è racchiuso in quel gesto, nella rapidità e nella pulizia con cui si gira con quel primo tocco con il destro. Dopo un piccolo scatto, infatti, l’assist è tutto sommato semplice, un passaggio in orizzontale a Haaland, che butta giù la porta con una cannonata con il sinistro.
Gio Reyna è insomma un trequartista con un controllo eccezionale, inteso non solo come la capacità di tenere la palla attaccata al piede, di non perderla in spazi stretti e circondato da avversari, ma di tenere sotto controllo la situazione attorno a lui, di rimanere lucido, di non perdere la calma e di vedere il passaggio migliore. Un paio di mesi fa anche Fabrizio Gabrielli si era soffermato sull’incredibile controllo esercitato da Reyna, analizzando il suo primo gol con il Borussia Dortmund, un tiro a giro stupendo da sinistra dopo aver saltato tre avversari: «Il punto, però, il centro di gravità attorno a cui dovrebbe ruotare il processo di comprensione di Giovanni Reyna, è tutto nei tre secondi che precedono il tiro, piazzato dopo uno sguardo concentratissimo: e cioè nel controllo. Riceve palla da Brandt, con il sinistro l’ammaestra portandola sul destro, quasi la stoppa. Di lì, con un tocco leggero ma perentorio, accelera puntando l’avversario, lo aggira con un “put” leggero con l’esterno del destro e fa una pausa. Lì, ok, la meraviglia».
Dal momento in cui è uscito quel pezzo Reyna ha continuato a giocare con regolarità, quasi sempre da titolare, firmando altri 2 gol e 2 assist tra tutte le competizioni. Sembra aver già trovato un’intesa speciale con Haaland, e non solo in campo. Reyna è uno dei pochi ad aver tirato fuori il lato sensibile del norvegese nelle interviste post-partita, un rituale a cui Haaland si presta sempre malvolentieri. In una di queste, comunque, l’attaccante del Dortmund ha definito Reyna «the American Dream», il “sogno americano”, magari una definizione poco originale ma che inquadra bene le attese che circondano il trequartista statunitense.