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50 giovani da seguire nel 2021 – Quinta parte
08 gen 2021
Ansu Fati, Moises Caicedo, Myron Boadu e altri giovani da tenere d’occhio nel nuovo anno.
(articolo)
17 min
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Mai come in questo inizio di 2021 vogliamo buttare via il passato e guardare il futuro. E poche cose ci parlano di futuro come i giovani talenti dello sport. Come da tradizione, nei primissimi giorni dell’anno, su l’Ultimo Uomo stiliamo il menù dei giovani più interessanti seguire nella propria stagione. Dopo la prima, la seconda, la terza e la quarta parte pubblicate nei giorni scorsi, eccovi la quinta e ultima parte con altri dieci nomi.

Matías Arezo, 2002, Club Atlético River Plate (Uruguay)

A seconda della vulgata a cui deciderete di prestare, o non prestare, ascolto Matías Arezo potrebbe essere, o non essere, il nuovo Luís Suárez, o il nuovo Edinson Cavani, e/o un esperimento mengeliano di fusione tra i due: il decotto di un brodo primordiale di istinto innato per il gol inoculato in un corpo da atleta già piuttosto formato, nonostante la giovane età.

Wunderkind di un movimento in costante crescita, che sta coltivando negli anni ricambi funzionali a un ciclo ben rodato, è stato aggregato alla prima squadra del River Plate montevideense nel 2018, poco più che quindicenne, dopo uno sfavillante Sudamericano Sub15 in cui aveva messo in mostra doti tecniche e fisiche fuori dimensione (qua un gol, contro la Repubblica Ceca, in cui la delicatezza del tocco mette in mostra, tanto per scombinare le carte, la sua somiglianza con Forlán). Arezo ha bruciato tutte le tappe che potesse bruciare: nel 2019 ha debuttato in Primera, collezionando sei reti in ventidue presenze che ne hanno fatto la matricola più interessante del Campionato. Qualche mese più tardi ha disputato con la Sub23 uruguayana il torneo di qualificazione preolimpico, sfiorando anche la convocazione, a novembre scorso, nella Celeste maggiore, quando un focolaio di COVID ha “falcidiato” la rosa dei titolari e solo un infortunio non gli ha permesso di venire aggregato alla rosa. Ad oggi Arezo ha collezionato 48 presenze tra i professionisti e diciassette reti.

Arezo è un centravanti moderno, tutt’altro che statico, che ricerca con testardaggine l’occasione da gol, ma che si abbassa spesso alla ricerca del pallone, per farsi funzionale alla manovra e fornire, grazie a una visione di gioco mai scontata e una fantasia un po’ naif, l’ultimo passaggio. È dotato di una notevole capacità nello stacco di testa, nonostante l’altezza non proprio da gigante, ma anche e soprattutto di una naturale attrazione per il tiro, anche da fuori area: in media punta la porta avversaria 3.8 volte a partita, trovando lo specchio nel 50% dei casi, e ha una predisposizione clinica al gol, con un tasso di xG di 0.41.

La recente doppietta segnata in Copa Sudamericana contro l’Atlético Nacional è una specie di bignami del calciatore che è, e che potrebbe diventare, Matías Arezo: nel primo gol attacca lo spazio al centro dell’area, facendosi infine trovare nella posizione giusta per ribattere in gol una respinta del portiere (la sua interpretazione per il ruolo di nove è che «quando la palla non arriva è frustrante, [...] ma quando arriva devi farti trovare dove devi farti trovare»); nel secondo si avventa su un passaggio errato e, anche se in posizione molto defilata, trova una soluzione fantasiosa per concretizzare.

Secondo di quattro fratelli dai nomi quantomeno affascinanti (uno si chiama Iker, un altro nientemeno che Beckham), Arezo è soprannominato “El Búfalo”, un apodo sulla scia di quello, sempre per rimanere in tema taurino, affibbiato a “el toro” Maxi Gómez: una linea di continuità, se vogliamo, in cui scorgere il futuro dei centravanti uruguayani, forti fisicamente, compatti e al tempo stesso agili e dirompenti.


Ansu Fati, 2002, Barcellona (Spagna)

Oggi ci sembra passato un secolo - forse per via delle continue partite ogni tre giorni o forse perché Pedri ne ha nel frattempo preso il posto come astro nascente del Barcellona - ma prima del grave infortunio al menisco di inizio novembre la stagione di Ansu Fati stava andando alla grande. Prima di farsi male il centravanti spagnolo aveva segnato 5 gol in 10 partite, partendo quasi sempre da titolare e in un ruolo da punta centrale che sembrava calzargli sempre meglio. Soprattutto, con il suo dinamismo sembrava essere la risposta ai problemi in fase di attacco posizionale del Barcellona, la cui pigrizia senza palla sembra essere quasi un segno di resa di fronte al lento ma inesorabile declino fisico di Messi. Ansu Fati, dopo l’esplosione della scorsa stagione partendo dalla Cantera, aveva ridato elettricità a un club che da sempre sembra essere soddisfatto solo quando si convince che il proprio sistema funziona. Ma al di là del suo riverbero fuori dal campo, era ciò che aveva mostrato Ansu Fati in campo ad aver restituito entusiasmo, con una serie di gol che sembravano confermare la sensazione di un attaccante estremamente completo - forse la qualità più rara in un talento di 18 anni da poco compiuti. Un esempio è la doppietta segnata a inizio stagione contro il Villarreal: prima un piatto destro da dentro l’area secco e violento che si va a infilare sotto il sette, poi un sorprendente tiro sul primo palo a tu per tu con il portiere dopo aver attaccato lo spazio lasciato libero dalla difesa avversaria.

Nel 2021, però, per Ansu Fati arriverà il primo ostacolo insidioso della sua carriera. Non solo perché superare un infortunio grave è difficile anche per il fisico super-elastico di un diciottenne, ma anche perché adesso tutti si aspettano qualcosa da lui - tifosi, compagni e avversari. Il peso delle aspettative può far deragliare o rallentare il processo di crescita di qualsiasi talento, anche in un tempo di stadi vuoti, e sarà quindi interessante vedere come Ansu Fati tornerà in campo - come, per esempio, inizierà a modellare il suo talento di fronte ai primissimi segni della deperibilità del suo fisico. Lui, in ogni caso, sembra non vedere l’ora. «Nel 2021 sogno di conquistare un titolo col Barcellona», ha dichiarato pochi giorni fa, «In un Camp Nou pieno di tifosi».


Danila Prokhin, 2001, Zenit San Pietroburgo (Russia)

Nato nella cittadina di Kirishi, in mezzo alla campagna a 150 km da San Pietroburgo, Prokhin a 10 anni entra a far parte delle giovanili dello Zenit bruciando rapidamente tutte le tappe fino alla prima squadra, dove debutta una volta maggiorenne nel 2019. Dal 2020 passa stabilmente in prima squadra come prima riserva dell’esperta coppia Rakitskiy-Lovren, disputando qualche partita con la seconda squadra per tenere il ritmo. Per una società solitamente poco avvezza a far giocare i giovani in ruoli delicati, essendo costretta a vincere sempre in patria, è comunque un grande attestato di fiducia aver inserito stabilmente Prokhin come prima riserva in difesa. Il giovane difensore ha giocato nell’ultimo scorcio della scorsa stagione, a titolo già vinto, ma anche in qualche partita più complicata come contro il Brugge (facendo male) o contro il Dortmund (facendo bene) nelle ultime due partite del girone di Champions League.

Ora che le possenti spalle di Sergei Ignashevich non sorreggono più la difesa della Russia, è in corso una disperata ricerca di un erede all’altezza, tanto che i nuovi centrali di difesa vengono convocati in nazionale sempre più giovani. Per candidarsi a erede di Ignashevich non basta però una fronte ampia per vincere i contrasti aerei e occhi glaciali per guidare il reparto, servono anche capacità di calcio e distribuzione del pallone per raggiunge il petto di Dzyuba. In tal senso Prokhin è sicuramente il più avvantaggiato tra i giovani centrali del campionato russo, non fosse altro perché si allena tutti i giorni con Rakitskiy, uno dei migliori centrali al mondo nei lanci dalla difesa. Già strutturato fisicamente nonostante i 19 anni, sfrutta il corpo per cercare l’anticipo in maniera aggressiva sia palla terra che in aria. Prokhin distribuisce il pallone dalla difesa già a un più che buon livello per lo standard attuale russo, soprattutto per la sicurezza con cui lancia. Chissà che Ignashevich non possa dormire sonni tranquilli a breve.


Aster Vranckx, 2002, Malines (Belgio)

C’è sempre qualcosa di speciale in un giovane capace di interpretare il ruolo di centrocampista in maniera completa - box to box come lo definivamo una volta. Questo perché il gioco si costruisce per strati e per completarsi ci vogliono anni. Ma sembra avere fretta Aster Vranckx, se già a 18 anni è diventato uno dei giocatori più importanti della sua squadra, il Malines, nella Jupiler League, il primo livello del campionato belga. Vranckx può giocare mezzala, trequartista o mediano sempre senza sfigurare. Certo, lo aiuta un fisico naturalmente prestante che sembra costruito per giocare a calcio, ma il giovane centrocampista ci aggiunge una personalità non banale a questa età. Nei suoi highlights ci sono eleganti entrate in scivolata, tiri potenti e precisi, dribbling d’astuzia, rapide verticalizzazioni con tutti e due i piedi (è destro, ma usa bene anche il sinistro). Vederlo giocare è un piacere.

A settembre è diventato “famoso” per via di un ridicolo errore a porta vuota, così incredibile che è anche difficile da commentare. Internet l’aveva deriso, lui pochi giorni dopo aveva segnato una doppietta per battere 2-0 il Sint-Truiden. Dopo essere stato al centro di molte voci di mercato, a dicembre è stato comprato dal Wolfsburg, dove si trasferirà in estate. Nel 2021 quindi proverà a fare la differenza nel campionato belga prima di trasferirsi in Bundesliga, un campionato perfetto per svezzare giocatori con le sue caratteristiche.


Khvicha Kvaratskhelia, 2001, Rubin Kazan (Georgia)

Eletto giovane dell’anno nella scorso campionato russo e giocatore georgiano dell’anno 2020, a quelle latitudini Kvaratskhelia è già un giocatore di culto. Spuntato fuori praticamente dal nulla, essendo a metà della stagione 2018/19 (quando era appena maggiorenne) in prestito alla Lokomotiv Mosca dalla squadra georgiana del Rustavi, nelle manciate di minuti in campo è sembrato imprendibile. A fine stagione la dirigenza della Lokomotiv non ha trovato l’accordo per il riscatto, mandando su tutte le furie l’allenatore della squadra Semin e permettendo al Rubin Kazan di inserirsi. Al Rubin sono bastate poche settimane per capire di aver fatto un affare.

L’allenatore Slutsky lo fa giocare a sinistra, per averlo a piede invertito, in una squadra che si dispone con un blocco basso così che Kvaratskhelia possa avere abbastanza campo davanti da sfruttare. Quando ha spazio, infatti, può correre dalla propria area a quella avversaria senza problemi, anche più volte nella stessa partita trovando ogni volta un modo diverso per saltare gli avversari.

Fisico longilineo, dalla corsa elegante, il collo grosso e le orecchie a sventola, Kvaratskhelia è un’ala di quelle che ama puntare l’avversario e poi l’area di rigore. Rapido, agile e sgusciante nei movimenti, se parte in conduzione è imprendibile. La sua specialità, quello che gli sta creando un piccolo culto in patria, è la capacità di saltare l’uomo, possibilmente con un dribbling in velocità: con 8,6 dribbling tentati per 90 minuti (di cui 4,2 riusciti) è quello che ne tenta di più tra i maggiori campionati europei (tra quelli che hanno giocato almeno 1000 minuti in stagione). Al momento ha ancora un rapporto più stretto con il pallone che non con i compagni di squadra: non ama crossare - anche perché schierato a piede invertito - e nelle sue azioni tende ad avere occhi solo per la porta anche quando parte da lontano.

Deve insomma costruirsi un gioco oltre a quello che gli esce naturale: migliorare il primo controllo e in generale il gioco tra le linee e negli spazi stretti, per non rimanere un animale da campo aperto e basta. Ma Kvaratskhelia è un giocatore molto determinato e, visti i mezzi di cui dispone, già oggi raramente da un suo guizzo non ne esce nulla. È un giocatore che in campo fa succedere cose e che per questo costringe sempre gli avversari ad attenzioni speciali. A 19 anni non è cosa da poco.


Pedro de la Vega, 2001, Club Lanús (Argentina)

Pedro de la Vega ha un cognome da hidalgo (che gli è valso, peraltro, l’apodo di “Zorro”), la faccia da personaggio principale di Violeta e una storia simpatica sul suo esordio tra i professionisti: a una settimana da una partita con il Racing il suo allenatore, Luis Zubeldía, ha organizzato un incontro tra la squadra delle riserve e la Séxta, cioè l’U17. Per tutta la partita, racconta, c’era questo biondo che non gli permetteva di osservare quale riserva promuovere in prima squadra: era ovunque. Quando è tornato a casa, la compagna gli ha chiesto se avesse visto quel ragazzino che aveva fatto le fiamme e che era diventato virale sui social. Zubeldía confessa candidamente di essersene accorto solo allora. Il “Chacho” Coudet, invece, da tecnico rivale, ha carpito subito il talento di Pedro: la velocità, la capacità di tenere il ritmo di gara dei grandi, la rapidità nei movimenti e l’intenzione.

De la Vega viene stabilmente impiegato da laterale sinistro, a piede invertito: ma l’epicentro del suo gioco si sposta sempre molto rapidamente verso il centro, dove converge per cercare il tiro o per creare spazi per l’inserimento del laterale basso, ma anche per prendersi la libertà di creare. Dribblomane funambolico, spesso confusionario ma in maniera comunque sgargiante, de la Vega è dotato di un tiro pieno di cattiveria, e gioca con una rabbia che rende il suo talento, più che leggiadro, brutale.

Il suo Lanús è in semifinale di Copa Sudamericana, e sarebbe bene che il “Granate” non se ne privasse già a gennaio. Tuttavia il suo futuro sembra essere dall’altra parte dell’Oceano, magari in Premier League, dove la sua abitudine di giocare sempre al limite delle possibilità atletiche - e come se avesse il tasto fast-forward spinto sul telecomando dei piedi, potrebbe addirittura - potrebbe facilitarne l’ambientamento nel calcio che conta.




Tanguy Nianzou Kouassi, 2002, Bayern Monaco (Francia)

Dopo aver esordito con la maglia del PSG, suo club formatore, aver accumulato una decina di presenze tra i professionisti e aver segnato anche tre gol (tra cui il numero 4000 della storia del club parigino), Tanguy Nzianzou Kouassi è arrivato a scadenza e ha firmato con il Bayern di Monaco. Salihamidžić ha detto che lo tenevano d’occhio da tempo e hanno fatto di tutto per portarlo in Germania: «Ai nostri occhi, è uno dei più grandi prospetti in Europa».

Nianzou (come ha scritto sulla maglia, ma i commentatori lo chiamano Kouassi) è un difensore centrale alto quasi un metro e novanta e i suoi due punti forti sono il gioco aereo e la distribuzione del gioco. Se il primo aspetto dipende in parte dalle doti atletiche, è sorprendente la tranquillità con cui gestisce ogni pallone, considerando che quando Tuchel lo ha fatto esordire in Champions League contro il Galatasary aveva diciassette anni. In quell’occasione, come gli è capitato anche nelle giovanili, ha giocato a centrocampo. La duttilità non è più un valore aggiunto ma una qualità sempre più richiesta dai club d’élite, mentre la maturità con cui gioca Nianzou si direbbe una sua caratteristica naturale (considerando che anche nelle giovanili ha sempre giocato sotto età).

Appena arrivato in Bundesliga si è infortunato alla coscia e ha fatto appena in tempo a esordire con il Bayern Monaco a fine novembre (venti minuti nella vittoria esterna contro lo Stoccarda) prima di infortunarsi di nuovo. Il Bayern sembra credere molto in lui e probabilmente ha tanta voglia quanto noi di veder crescere ancora il suo talento.


Charles De Ketelaere, 2001, Club Bruges (Belgio)

Per dirla con parole riferite a personaggi più illustri, al momento Charles De Ketelaere è un giocatore più bello che utile. Cresciuto nel settore giovanile del Bruges, è diventato titolare dei nerazzurri a fine 2019 e ha già in bacheca un campionato belga. De Ketelaere quest’anno ha segnato due gol in Champions, entrambi contro lo Zenit, e a momenti trascinava il Bruges agli ottavi nell’ultima partita contro la Lazio, con un tiro da posizione angolata che ha colpito la traversa nel recupero.

Se amate i calciatori freak che abbinano la tecnica a un’altezza da cestisti, allora De Ketelaere potrebbe diventare un vostro feticcio. Alto un metro e novantadue, mancino, in campo sembra un fenicottero, con una muscolatura poco sviluppata e due gambe chilometriche. Il belga agisce alternativamente da punta o da trequartista. Da punta, se anticipa il contatto del difensore, ha un’ottima sensibilità nel gioco di prima; da trequartista è un giocatore associativo, con un buon controllo del corpo da fermo, che ama svariare per tutta l’ampiezza del campo. Nonostante la statura, il gioco aereo non è il suo forte. De Ketelaere, infatti, non ama sporcarsi le mani nei contrasti, ma è un calciatore di grande eleganza: si evince dal primo tocco e dal modo in cui tiene la palla lontana dagli avversari quando da destra rientra sul sinistro. Purtroppo, lo si nota anche quando eccede coi colpi di tacco: il problema è che sotto la patina da giocatore elegante deve ancora sviluppare letture e fondamentali adeguati a un calcio diverso da quello belga, soprattutto nel corpo a corpo. In un’intervista, comunque, ha dichiarato di aver messo su muscoli durante l’ultima stagione: da 73 chili a 79. Si spera che lo sviluppo fisico e l’esperienza rendano più consistente il suo gioco.


Moises Caicedo, 2001, Indipendiente del Valle (Ecuador)

Il 13 ottobre Moises Caicedo è diventato il più giovane marcatore con la sua nazionale e il primo nato nel ventunesimo secolo a segnare nel girone sudamericano di qualificazione. Se riceverà il work permit a gennaio si trasferirà dall’Indipendiente del Valle al Manchester United, per iniziare la sua formazione europea. Curiosamente arriverebbe nella squadra che sta per lasciare andare il giocatore a cui è spesso paragonato, Paul Pogba. Come il francese, anche Caicedo ha gambe lunghe che sa già usare benissimo. Pur giovanissimo è già un elemento chiave per la sua squadra, con cui ha segnato 6 gol in 31 presenze. «Moises capisce il gioco, è cresciuto molto nella sua comprensione da quando è arrivato in prima squadra», ha detto di lui il suo allenatore Ramirez, che ci ha messo un attimo a farne un titolare. Nell’Indipendiente del Valle è stato schierato sia come mediano davanti alla difesa che come mezzala, ruolo che a oggi sembra più congeniale alle sue caratteristiche, vista la facilità che ha nella conduzione del pallone. In realtà nel contesto sudamericano tutto sembra facile per Moises Caicedo: il tiro, l’ultimo passaggio, il recupero del pallone.

Non è facile predire se un giocatore di appena 19 anni che arriva da un campionato di livello così inferiore come quello ecuadoriano possa essere già pronto per la Premier League, eppure a veder giocare Caicedo viene da pensarlo. Se tutto andrà bene a livello burocratico, il 2021 sarà l’anno in cui avremo risposta a questa domanda. In ogni caso Caicedo sembra avere le idee chiare sul suo futuro: «La mia sfida è un giorno essere nell'élite del calcio mondiale. L'ho promesso a me stesso, il mio sogno è giocare in un grande campionato».


Myron Boadu, 2001, AZ Alkmaar (Olanda)

A novembre del 2019 Myron Boadu è diventato il primo giocatore nato nel nuovo millennio ad aver segnato un gol per la nazionale olandese. È un fenomeno precoce, per quanto riguarda esordi e marcature, ma Arne Slot, suo allenatore all’AZ, ci dice che non possiamo giudicarlo solo in base ai gol e agli assist.

Pur partendo nominalmente da numero 9, in effetti, Boadu si sposta spesso sulle fasce per aiutare la squadra a risalire il campo. È uno dei giocatori più talentuosi, e a 19 anni non scansa le responsabilità. Si abbassa di qualche metro al centro al posto di de Wit, o si defila a destra nella posizione di solito occupata dall’altro talento della squadra, Calvin Stengs. Ma è difficile trovare un pattern fisso nella grande fluidità generata dall’AZ. La cosa sicura è che Boadu non ama concentrarsi sulla finalizzazione ma partecipare alla creazione del gioco. Quando si defila sull’esterno ha un decision-making sorprendentemente maturo per la sua età; è veloce, tecnico in conduzione. Sempre un po’ lineare, senza la creatività di un vero rifinitore, ma comunque efficace.

In ogni caso Boadu è una punta ed è negli ultimi metri, negli smarcamenti dietro la difesa, nel modo in cui calcia in porta con entrambi i piedi, che è davvero di alto livello. Non è sempre presente nei duelli corpo a corpo, specie spalle alla porta, ed è un giocatore che preferisce sempre ricevere già girato. In ogni caso oggi è difficile trovare un attaccante di meno di vent’anni così completo, e già così maturo. Ancora minorenne ha rifiutato le offerte di Ajax e Arsenal, preferendo crescere in un contesto che gli ha permesso di accumulare molte presenze già molto giovane. Giocare in una squadra così complessa dal punto di vista tattico di certo gli sta permettendo di crescere con più consapevolezza, soprattutto in fase di pressing. Boadu è un giocatore che pensa il gioco in maniera completa, di sicuro nel 2021 qualcuno proverà a portarlo via dall’AZ.


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