Reinier, 2002, Real Madrid/Borussia Dortmund (Brasile)
Qualche mese fa circolava un meme in cui si mostrava un bambino nascere in Brasile e una persona, che rappresentava il Real Madrid, chiedere «È per me?». Non si dovrebbero spiegare i meme, lo so, ma il gioco nasce dall’abitudine recente del Real Madrid di comprare ancora giovanissimi alcuni talenti brasiliani. Dopo Vinicius, 2000, e Rodrygo, 2001, è il turno quindi di Reinier. Se Vinicius e Rodrygo, per quanto diversi, giocavano nello stesso ruolo, Reinier invece non è un esterno ma una mezzala, o comunque un giocatore che ama ricevere nelle fasce centrali del campo.
È cresciuto nel Deportivo Ninho de Urubu, lo stesso centro di formazione di Vinicius, e ha esordito nel Flamengo campione di Libertadores ancora minorenne. Col Flamengo ha messo insieme, in 15 presenze e appena 9 da titolare, 6 gol e 2 assist, mettendo in mostra un repertorio tecnico raffinatissimo. Dice di ispirarsi a Lucas Paquetà, ma è certamente più dinamico del giocatore del Lione. Ha un’attitudine tecnica e offensiva, ma istinti da vero centrocampista, nella protezione della palla sotto pressione e nel duello difensivo con l’avversario. Possiede ottime scelte di tempo nei tackle e nei recuperi all’indietro. Insomma non cadiamo nella pigrizia di associare Reinier ai suoi predecessori brasiliani: è un giocatore totalmente diverso e per certi versi già più europeo di Rodrygo e Vinicius. Il fatto però che giochi in zone più sensibili del campo, dove gli sarà richiesta più attenzione tattica, potrebbe però rallentarne l’inserimento in questo 2021 in cui è finito in prestito al Borussia Dortmund. In un inizio di stagione complesso per i tedeschi, ha giocato pochi minuti contro lo Stoccarda, spendendosi in un paio di strappi centrali notevoli. Speriamo non cada nell’equivoco di un centrocampista sudamericano troppo offensivo per il calcio europeo.
Mohamed Ihattaren, 2002, PSV (Paesi Bassi)
Nonostante abbia poco più di 18 anni, Ihattaren è ormai da qualche tempo la next big thing dell’Eredivisie, un campionato che regala gioie e dolori quasi in egual misura quando c’è da esportare il talento. Con appena due gol segnati a metà di dicembre, l’ala del PSV non sta avendo la sua migliore stagione (d’altra parte è appena la sua terza tra i professionisti), con sprazzi di talento che però sono difficili da ignorare. In una delle ultime partite di campionato, contro il Waalwijk, Ihattaren ha condotto palla fino alla trequarti al piccolo trotto, toccandola con entrambi i piedi come se lo facesse tanto per farlo e poi, quando nessuno più se lo aspettava, ha tirato con grande violenza, di sinistro a incrociare, bucando il portiere avversario.
Ihattaren è proprio un giocatore che vive di momenti, come si dice, cambiando il ritmo in continuazione e alternando conduzioni a passaggi creativi da numero 10 puro (per esempio quando cambia gioco con lanci affilatissimi che ricordano quelli di Hakim Ziyech). Come ha scritto Emanuele Mongiardo ormai quasi un anno fa: «Il rapporto di Ihattaren col pallone è eccellente in ogni sua sfumatura, da quelle più sgargianti come i primi controlli a quelle più tenui, come il modo in cui la palla esce dal piede e raggiunge i compagni: un giocatore raffinato sia se si tratta di tenere il possesso, sia se si tratta di liberarsene». Il 2021 per lui potrebbe essere l’anno del passaggio in uno dei cinque principali campionati europei, un passaggio sempre delicato per un giocatore proveniente dal campionato olandese, figuriamoci per uno così giovane. Probabilmente, quindi, non sarà l’anno dell’affermazione per lui, ma dell’attesa. Attesa nostra che speriamo di poter vedere un giocatore così creativo ogni domenica nel nostro campionato, anziché solo nei video highlights su YouTube.
Eric García, 2001, Manchester City (Spagna)
Pur avendo concluso la stagione 2019-20 tra i giocatori più utilizzati dal Manchester City, in estate l’allenatore Guardiola in conferenza stampa ha detto che Eric García ha scelto di non rinnovare il contratto in scadenza l’anno successivo. Qualche giorno dopo il giocatore ha esordito nella nazionale spagnola pur non avendo giocato neanche 30 partite tra i professionisti e lo stesso City ha rifiutato un’offerta d’acquisto del Barcellona. Guardiola che non si è ancora rassegnato a perderlo ne parla sempre col solito tono a metà tra l’estasiato e lo stupito da quando l’ha promosso in prima squadra. Ha detto dopo un’amichevole estiva nel 2018: «Eric Garcia ha 17 anni ma gioca come se ne avesse 25». E dopo il suo esordio con la prima squadra: «Ha buona visione di gioco ed è ottimo nei passaggi. È incredibile, sono davvero impressionato. Non ha commesso un solo errore e con la palla ai piedi ha grande personalità».
Non parliamo però di un centrocampista, ma di un difensore centrale. In tal senso l’allenatore ne poi ha più volte lodato l’intelligenza, il senso della posizione, la sicurezza con cui esce in anticipo sull’attaccante o a intercettare le linee di passaggio. Eric García fonda tutto il suo gioco difensivo nella capacità di leggere in anticipo cosa succederà in campo. Un aspetto che ha dovuto necessariamente affinare visto lo svantaggio fisico e atletico che spesso ha rispetto agli attaccanti avversari: non supera i 183 cm che per il calcio contemporaneo ne fanno un difensore centrale di bassa statura e non è il più veloce o rapido nella mobilità laterale, aspetti che evidentemente sono già stati esposti e ingigantiti da punte che lo sovrastano fisicamente o atleticamente.
Vari giornali riportano di un suo accordo con il Barcellona per l’estate, per un ritorno quattro anni dopo aver lasciato la Masia (in cui era entrato a 7 anni) per Manchester, a ricalcare le orme di chi questo percorso l’ha già fatto con grande successo, ovvero Gerard Piqué. Non si esclude neanche un tentativo di convincere il City a lasciarlo andare già a gennaio per una piccola cifra. Dietro la sua scelta di tornare a casa potrebbe esserci l’idea che è il momento giusto per essere l’erede proprio di Gerard Piqué, ma anche la consapevolezza di trovare nella Liga un contesto più adatto al suo stile di gioco, dove i suoi pregi possono risultare più evidenti dei suoi difetti.
Bryan Reynolds, 2001, FC Dallas (Stati Uniti)
Per capire cosa renda così interessante, in prospettiva, Bryan Reynolds, laterale a tutto campo dell’FC Dallas accostato con insistenza alla Juventus, ma anche alla Roma e al Bruges, bisogna scomodare un illustre predecessore dalla parabola sfavillante: Alphonso Davies. Entrambi giovanissimi, entrambi cresciuti nella MLS statunitense, entrambi nati esterni d’attacco e riconvertiti al ruolo di terzino, Reynolds ha però il pregio di aver anticipato il percorso fatto da Davies, e di averlo fatto con una certa consapevolezza. Sembra sia stato lui, infatti, a chiedere a Oscar Pareja, DT dei texani, di arretrare il suo campo d’azione, così da sviluppare doti difensive che lo avrebbero completato, e lasciarlo comunque libero di esercitare la sua prorompente fisicità, la sua capacità di accelerazione e il suo talento nella fase offensiva.
C’è qualcosa, nel gioco di Reynolds, di ansiogeno: attacca, attacca sempre, non solo quando si spinge in progressione come una mandria di bisonti sulla fascia, ma anche quando aggredisce il portatore di palla avversario, quando lo pressa, quando si incunea tra le linee per chiudere gli spazi.
Reynolds non è un Concorde dal volo scomposto alla DeAndre Yedlin: è più uno Zeppelin che fluttua, massiccio ed elegante, dotato tecnicamente, che si esalta in pisaditas e cross pennellati tanto quanto nel controllo in corsa, con entrambi i piedi. Benché ancora adolescente, o forse proprio in virtù di questo, Reynolds dà l’impressione di essere argilla facilmente modellabile: un atleta per niente anarchico, che nelle mani della giusta guida tecnica può diventare uno degli esterni più divertenti da osservare, e al contempo più diligenti, dei prossimi anni.
Fabio Silva, 2002, Wolverhampton (Portogallo)
Il nome di Fabio Silva è arrivato al grande pubblico a inizio settembre, quando il Wolverhampton ha investito 40 milioni di euro per prenderlo dal Porto, un affare che rafforza se possibile l’influenza di Mendes sul club inglese, dove il giovane attaccante ha trovato un mucchio di connazionali. Esistono vagonate di racconti della precocità di Fabio Silva, che ha rapidamente attraversato i campionati giovanili portoghesi con il Porto (33 reti in 39 presenze con l'Under 19) prima di esordire in prima squadra a 17 anni e 22 giorni.
Oltre a somigliare a uno degli Strokes, Fabio Silva è uno di quegli attaccanti che sembrano poter far tutto. Forte di testa grazie a 185 centimetri d’altezza su un fisico slanciato, sa calciare bene con tutti e due i piedi e ha già un ottimo uso del corpo per orientare il controllo spalle alla porta e smarcarsi. Quello che sorprende, a vederlo giocare, è una capacità quasi naturale di sapere dove sono i compagni. Soprattutto a livello giovanile Silva ha mostrato una notevole capacità nell’ultimo passaggio. Tuttavia il suo pane è il gol dentro l’area di rigore, grazie a una notevole naturalezza nello smarcarsi.
Proprio per la sua vena realizzativa è stato paragonato a Cristiano Ronaldo, anche se non sembra somigliargli per nulla. Silva non è elettrico o esplosivo, anzi nella corsa è un po’ meccanico e impacciato e anche nel dribbling lo esegue usando il corpo e non ubriacando gli avversari. Le presenze tra i professionisti sono ancora poche per disegnarne il futuro con precisione, ma il brutto infortunio di Raul Jimenez potrebbe regalargli un 2021 con diversi minuti in Premier League, un campionato dove se ti buttano in acqua devi dimostrare rapidamente di saper nuotare.
Curtis Jones, 2001, Liverpool (Inghilterra)
Allenato da Steven Gerrard con l’U-18, è stato a lui paragonato negli anni delle giovanili. Jones con Gerrard condivide la città di nascita, la squadra, la struttura fisica, l’essere centrocampista e la versatilità tecnica. Rispetto a Gerrard, cresciuto con il calcio inglese “kick and rush” anni ’90, Jones è cresciuto a pane e gegenpressing, con i suoi anni di sviluppo che sono coincisi con l’arrivo di Klopp a Liverpool e l’impostazione del settore giovanile per ricreare il gioco della prima squadra. Sono quindi entrambi giocatori dinamici e verticali come da costume delle giovanili del Liverpool, ma sono anche due giocatori diversi perché figli della loro epoca: dove il giovane Gerrard era famoso per la sua ubiquità, le sue folate offensive e le bombe da fuori, Jones invece impressiona per la sensibilità tecnica ad alto ritmo, il dribbling nello stretto e la capacità di resistere alla pressione avversaria.
Come descritto da Klopp al momento della sua promozione in prima squadra: «È alto ma dinamico e abile nel dribbling, serve che capisca il momento giusto nel passaggio: saper venir fuori dalle situazioni complicate e poi passare il pallone». Le letture con la palla sono un aspetto del gioco in cui è già sensibilmente migliorato negli ultimi mesi, ora che è in prima squadra può permettersi anche di gestire il pallone contro il Tottenham di Mourinho.
Klopp ha dato fiducia a Jones in questa stagione, complice l’infortunio a Thiago Alcantara e il fatto che Wijnaldum è in scadenza di contratto a fine stagione, ha già superato la dozzina di partite da titolare. Sembra evidente come a medio termine viene visto come un centrocampista titolare, ma già ora è considerato abbastanza affidabile da giocare tanto. Certo non sappiamo se Jones potrà anche solo avvicinarsi allo status raggiunto da Gerrard nel picco della sua carriera, in cui era considerato tra i migliori centrocampisti della storia del calcio inglese, ma è già ora parte integrante di una delle migliori squadre al mondo, una squadra che non a caso ha uno stile di gioco che gli calza a pennello. Come inizio della carriera non poteva andargli meglio.
Jeremy Doku, 2002, Rennes (Belgio)
Ci sono due indizi che fanno intuire le potenzialità di Jeremy Doku: il primo è che ad appena 18 anni ha già 5 presenze con la Nazionale maggiore del Belgio, nel ruolo di esterno d’attacco, dove forse i "diavoli rossi" sono una delle migliori squadre al mondo; l’altro è che lo sta cercando con insistenza il Liverpool, che di attaccanti sembra capirne ultimamente.
Doku è una di quelle ali dal baricentro basso e la velocità di un motorino. In corsa o partendo da fermo è davvero difficile capire come si muove senza rallentare la velocità delle sue giocate. Quello che gli riesce meglio è puntare l’avversario e saltarlo con un movimento secco scegliendo di andare verso l’esterno o entrando dentro al campo. Preferisce giocare a piede invertito, ovvero a sinistra con il destro, ma è stato schierato anche a destra dove può arrivare sul fondo praticamente ogni volta che riceve. Dopo una stagione da 6 gol e 7 assist nell’Anderlecht è stato comprato dal Rennes dove si è rapidamente guadagnato un posto nell’undici titolare.
Doku è di quegli esterni che fanno succedere cose, creano caos positivo. Ogni volta che ha il pallone prova qualcosa, spesso un dribbling, un accelerazione. Grazie a delle gambe forti e potenti è in grado anche di assorbire i contatti, uscire indenne dal corpo a corpo col difensore. Certo deve ancora migliorare molto nelle scelte: a volte volte tutto quello che fa è abbassare la testa e partire. Al Rennes ha trovato una squadra che non ha paura di far giocare i giovani (hanno lanciato Camavinga a 16 anni) e dove fare esperienza in un campionato più difficile rispetto alla Jupiler League. Per dire, in questa stagione è sceso per 6 volte in campo in Champions League. Pur senza brillare è quella che chiamiamo esperienza. Doku ha bisogno di affinare il suo gioco, ma le potenzialità sono in bella mostra e il 2021 non potrà che essere un anno di crescita per lui.
Jamal Musiala, 2003, Bayern Monaco (Inghilterra)
Non è da tutti esordire a 17 anni, e poi giocare con una certa regolarità, nel Bayern Monaco, forse la migliore squadra al mondo oggi, di certo una delle più esigenti, poco abituata a dare un’opportunità ai giovani e a valorizzare il loro talento. Nel Bayern giochi solo se sei pronto, se riesci a sostenere le pressioni di una squadra condannata a vincere sempre e il livello della concorrenza per un posto, che di norma comprende alcuni tra i giocatori più forti al mondo nel loro ruolo. Che Jamal Musiala sia riuscito a ritagliarsi uno spazio nel Bayern, piccolo ma comunque importante (ha battuto il record di esordiente più giovane in Bundesliga e quello di marcatore più giovane per i bavaresi), è quindi di per sé un fatto straordinario.
Thomas Müller lo ha benedetto dopo la partita contro il RB Lipsia, in cui Musiala è entrato al minuto 25 per l’infortunio di Javi Martínez e ha segnato un gol subito dopo: «Quando entra un ragazzo di 17 anni le richieste per uno con il suo talento sono alte allo stesso livello di qualsiasi altro giocatore. Oggi Jamal ha avuto grandi momenti, ma in qualche situazione si è vista la sua inesperienza. Col tempo ci può lavorare, ma in generale sono rimasto molto contento».
Lothar Matthäus ha dichiarato di rivedersi in Musiala, per la sua capacità di giocare in diverse posizioni a centrocampo. In effetti Flick ha impiegato Musiala un po’ su tutta la trequarti, a destra e a sinistra, ma anche da mezzala e da centrocampista centrale. Alla fine del 2020, il giovane nato in Germania ma cresciuto nel Chelsea aveva messo insieme 15 presenze tra tutte le competizioni - solo 4 da titolare però - e segnato 3 gol, tutti in campionato. Musiala è il più impiegato di un gruppo di ragazzi del settore giovanile - che comprende Chris Richards, Bright Arrey-Mbi e Angelo Stiller - a cui Flick ha dato spazio nella prima parte della stagione, l’esempio più evidente di un cambio di programma che probabilmente in futuro porterà anche il Bayern a dare sempre più opportunità ai giocatori usciti dal suo Campus, la struttura inaugurata nel 2017 per il suo settore giovanile.
A oggi Musiala è anche conteso tra due dei paesi più importanti in Europa, l’Inghilterra e la Germania, entrambe interessati a farlo giocare con la loro nazionale. Il giovane trequartista del Bayern ha giocato perlopiù nelle selezioni giovanili inglesi, arrivando già a esordire nell’Under-21, ma conta anche due presenze nell’Under-16 tedesca. Non è ancora chiaro se Musiala abbia già fatto la sua scelta, e forse solo una convocazione con la nazionale maggiore potrà togliere ogni dubbio.
Thiago Almada, 2001, Vélez Sarsfield (Argentina)
Thiago Almada ha fatto il suo esordio in Primera nell’agosto del 2018, appena diciassettenne: era reduce da un Sudamericano Sub20 un po’ sbiadito, da cui le aspettative sul suo talento erano uscite leggermente ridimensionate, e da una spedizione in Russia in cui con la giovanile Albiceleste aveva fatto da sparring alla Nazionale di Sampaoli. Quando al “Gringo” Heinze, DT che lo ha aggregato alla prima squadra del Vélez, hanno chiesto un parere su di lui ha detto «quando lo vedo allenarsi penso che abbia solo 17 anni». Poi ha chiosato: «Però torno a guardarlo e penso che uno con quelle qualità non puoi non farlo giocare, anche se dovrò prendermi dei rischi, dargli la possibilità di sbagliare».
Almada è l’esatta reincarnazione di quell’archetipo di giocatore che nella cosmogonia fenotipica del fútbol argentino è il pibe cara sucia, funambolo de potrero. Dietro la faccia irriverente, lo sguardo sempre di taglio che tradisce la furbizia declinata nel suo calcio, c’è la solidità motivazionale di un ragazzino fiorito non in una delle villas miserias qualsiasi, ma nella villa per eccellenza, il barrio di Ejercito de las Andes, o se preferite Fuerte Apache, come Tévez: alla stregua di Carlitos è cresciuto nel campetto di terra di Santa Clara, e girava per le strade vendendo frutta e verdura, in mezzo a droga e pistole. Eppure nel suo modo di giocare c’è qualcosa di più maturo dell’esuberanza di chi vuole mangiarsi il mondo a morsi. Soprannominato “Guayo”, storpiatura fonetica di “Guacho”, che vuol dire ragazzo di strada, “orfano”, Thiago Almada mette al contrario ben in mostra i crismi della sua paternità, perché è il figlio della tradizione dei diez argentini - baricentro basso, accelerazione fulminea, controllo di palla elegante - che però hanno saputo adattarsi alla reinterpretazione moderna del ruolo.
Heinze ne ha forgiato il gioco utilizzandolo in parti del campo in cui l’abilità nel dribbling, la sfrontatezza nei duelli mano a mano, lo scatto bruciante potessero esaltare la sua caratteristica principale, che è quella di essere disequilibrante, spostandolo sugli esterni - preferibilmente a sinistra, dove gioca a piede invertito con la libertà di accentrarsi e cercare il tiro col piede forte - o utilizzandolo da mezzapunta centrale, con libertà di inserirsi negli spazi; ma anche - come nella sua gara d’esordio da titolare, contro il Defensa y Justicia, da falso nueve, con responsabilità tattiche che richiedono una maturità e una sensibilità ancora maggiore.
La personalità con cui Thiago ha raccolto l’investitura ne dimostra, in qualche modo, lo spessore carismatico: si è fatto carico di calciare rigori decisivi, al Monumental contro il River o a Quito in una gara decisiva di Copa Sudamericana, contro l’Aucas, e più in generale sembra aver fatto suo il suggerimento che Riquelme gli ha dato il giorno in cui lo ha invitato a vedere un Superclásico a casa sua, mangiando asado, ovvero quello di farsi epicentro tecnico della manovra della squadra, esigere il pallone sui piedi. Che basti per diventare l’idolo incontrastato del Fortín de Villa Luro è fuor di dubbio, che sia sufficiente per affermarsi in Europa è invece tutto da dimostrare: Thiago Almada, come tutti i talenti fantasiosi che fioriscono nel calcio argentino, cammina in bilico sulla sottile fune tesa tra il diventare Carlitos Tévez, o Ricardo Centurión, e sarà la sua capacità di adattarsi, più che la famelicità di affermarsi, a fare la differenza.
Jude Bellingham, 2003, Borussia Dortmund (Inghilterra)
A quanto pare, la firma di Jude Bellingham è stato il lieto fine di un corteggiamento in cui il Borussia Dortmund ha usato ogni mezzo a sua disposizione. Gli ha mandato delle magliette, lo ha invitato allo stadio e al centro di allenamento, e ha anche prodotto un video per mostrargli le sensazioni che si provano a giocare sotto la sua curva, il famoso “Muro giallo” - un’esperienza che comunque Bellingham non ha ancora vissuto. Più di ogni altra cosa ha contato però l’immagine costruita negli ultimi anni dal Dortmund, uno dei club più attenti ai giovani e abili a valorizzare il loro talento. Gli esempi sono molti, e forse basta citare Haaland e Sancho, un riferimento fondamentale per convincere Bellingham e facilitare il suo ambientamento. «Jadon è davvero importante per me, e non solo perché veniamo dallo stesso Paese o parliamo la stessa lingua», ha riconosciuto il giovane centrocampista, «Lui è un modello per i calciatori inglesi della mia età. Ci tengo molto ai suoi consigli, mi aiutano tanto».
A Bellingham è bastato un solo anno in Championship con il Birmingham - che ha ritirato la sua maglia numero 22, una scelta non apprezzata da tutti - per farsi trovare pronto dal Dortmund, in un contesto nuovo, più esigente, di livello più alto, in cui si è calato con una rapidità e una naturalezza impressionanti. Non è sempre titolare, ma è importante nelle rotazioni, ha giocato con regolarità sia in Bundesliga sia in Champions League, e ha pure esordito con la nazionale inglese.
Nel Dortmund viene schierato soprattutto a centrocampo, ma secondo Pep Clotet, l’allenatore che lo ha lanciato al Birmingham, Bellingham è un giocatore offensivo, capace di giocare tra le linee sia da esterno che si accentra sia da numero 10, ruoli che gli ha fatto occupare nella stagione in Championship. Per Clotet comunque la posizione ideale di Bellingham è da mezzala nel 4-3-3, per la quantità di campo che riesce a coprire e per partecipare all’azione in ogni fase, mostrando sia le sue doti difensive sia il suo talento con la palla, in impostazione e più avanti tra le linee. Una posizione, cioè, in cui può incidere da un’area all’altra e inserirsi nella tradizione di centrocampisti box-to-box tanto cara al calcio inglese.
Finora al Dortmund partecipa molto alle prime fasi dell’azione ed è meno presente nelle fasi finali - ha chiuso il 2020 con un gol e 3 assist tra tutte le competizioni. A oggi è insomma un centrocampista che si occupa della costruzione, che tocca molti palloni e ingaggia molti duelli difensivi. In futuro magari riuscirà a giocare con più continuità in posizioni più avanzate e a completare il suo gioco a livello offensivo, un passo che gli tocca fare per essere davvero un centrocampista box-to-box.