Il periodo della Summer League è un momento molto particolare della stagione NBA, perché segna tre momenti differenti. Da una parte segna il “rompete le righe” anche per gli ultimi giocatori—perlomeno per i veterani—impegnati nelle Finali, che al massimo si fanno vedere al Thomas & Mack Center per ingannare il tempo tra una serata al Marquee e una all’Hakkasan. Dall'altra è l'ultimo appuntamento stagionale per le dirigenze NBA, impegnate nel valutare e scoutizzare i giocatori presenti a Orlando/Salt Lake City/Las Vegas per completare i roster che poi si ritroveranno a settembre per l'inizio dei training camp.
La categoria che interessa a noi è la terza, quella dei rookie che iniziano la loro carriera professionistica impegnati in queste partite dal dubbio gusto estetico, utili però per capire, almeno inizialmente, come si comportano in un contesto ben differente rispetto a quello a cui sono abituati. Andiamo quindi a vedere quali sono i temi sorti dopo 20 giorni di partite e sfide, prima ancora che approdino definitivamente al mondo dei grandi.
Il ROY punta verso la Pennsylvania
No, non sarà neanche questa la stagione in cui i Sixers invertiranno la rotta rispetto a quanto hanno fatto in questi anni. Agli occhi del GM Sam Hinkie, la squadra sembra ancora lontana da quello stadio che lo porterebbe a premere il bottone rosso con su scritto “Stop Tanking”, quindi c’è da aspettarsi un altro girovagare nei bassifondi della Lega alla ricerca di un pessimo record per poter avere una scelta alta anche nel prossimo Draft.
Ma rispetto alle stagioni precedenti sembra esserci qualcosa di differente: un giocatore su cui porre quelle basi solide che la franchigia sembra non avere. Jahlil Okafor è senza alcun dubbio il realizzatore più pronto uscito dal Draft di quest’anno, uno scienziato del post basso con un corpo ingombrante, l’agilità di piedi di una ballerina e una discreta faccia tosta nel cercare, trovare e sfruttare i contatti fisici sotto canestro. Ha tutte le qualità per essere una pietra angolare nel futuro della franchigia, soprattutto se inserito in un contesto dove le grosse falle difensive possono essere coperte dal suo compagno di reparto, Nerlens Noel, e da una filosofia che punta sempre a subire un canestro in meno rispetto all’avversario. Senza dimenticare che nel ruolo c’è sempre una grossa incognita—perché Joel Embiid salterà anche questa stagione, dopo essersi infortunato di nuovo al piede destro.
Nonostante i dubbi al momento della scelta, Okafor sembra essere arrivato nel posto che maggiormente gli darà garanzie per dare un forte contributo sin dalla prima palla a due, ed è per questo che l’osservato speciale per il premio di Rookie dell’Anno non può che essere lui.
Democratic Republic of Mudiay
Nella notte tra il 13 e il 14 luglio Ty Lawson è stato fermato per guida in stato di ebbrezza, la seconda volta in meno di sei mesi, un'altra brutta esperienza da aggiungere alla lista dei problemi con la legge avuti dall'inizio della sua carriera professionistica. Per i Nuggets è stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso che sembrava già pieno da tempo, ma che non poteva cadere con un tempismo migliore: pochi giorni dopo infatti Lawson è stato ceduto agli Houston Rockets in cambio di quattro giocatori (Nick Johnson, Kostas Papanikolaou, Joey Dorsey e Pablo Prigioni) e una scelta al primo giro nel prossimo Draft. La convenienza di questa trade non è da cercare nell'elenco degli acquisti—anche se la prima scelta fa sempre molto comodo—ma nel fatto che così si apre lo spazio necessario per la crescita di Emmanuel Mudiay.
Il ragazzo di origine congolese è stato probabilmente il miglior rookie tra quelli visti alla Summer League di Las Vegas, mostrando uno stile di gioco poco attribuibile a un ragazzo classe 1996. La sua abilità di leggere il gioco da pick & roll, le soluzioni trovate da questo tipo di situazione, la visione periferica di tutto ciò che succede nella propria metà campo, sono aspetti nel ruolo di point-guard che "non si insegnano", così come la capacità di capire in poco tempo le caratteristiche dei suoi compagni e metterli sempre nelle migliori condizioni per concludere.
È molto probabile che Denver—con cui Mudiay non ha fatto alcun workout pre-Draft—affidi a lui le chiavi della squadra sin dal primo giorno, sapendo di poter contare sulla pazienza della dirigenza, sulla guida di Mike Malone (uno dei migliori a crescere e sviluppare giovani prospetti) e sulla presenza di Jameer Nelson al suo fianco, primo riferimento per la crescita tecnica e mentale. Dal canto suo, Mudiay ha già fatto capire di tenere alla franchigia quando alla quarta partita di Summer League, in cui non giocava, si è presentato con la Hardwood Classic dei Nuggets di Dikembe Mutombo, ultimo congolese a vestire quella maglia. E anche questa è una cosa che non s'insegna.
Gli unicorni
L'eco dei “booooo” tende ancora a risuonare nei corridoi della dirigenza dei Knicks, che, nonostante siano abituati a questo genere di esternazioni da parte del proprio pubblico (soprattutto in sede di Draft), sanno benissimo che tipo di rischio hanno corso nell'andare a scegliere un giocatore così particolarmente atipico come Kristaps Porzingis.
Il fenicottero lettone è il vero mistero del Draft: non per le sue qualità—quando giochi più di 700 minuti nella seconda lega mondiale, la ACB, non sei uno sconosciuto—ma per il suo potenziale, per quello che può diventare, per il tipo di ruolo che potrà andare a coprire in futuro in una franchigia NBA. Al momento è un lungo (veramente lungo) con caratteristiche adatte per essere un ottimo stretch-5, un ruolo prettamente tattico dettato dalla grande abilità al tiro e dalle lunghe leve che ne fanno un fattore anche a livello difensivo. Ma riuscirà a diventare qualcosa di più di questo? E in che modo?
La verità è che di giocatori di questo tipo non se ne sono mai visti e lo dimostra anche la discordanza nel paragonarlo ad altri veterani dei campi NBA: c'è chi lo avvicina a Pau Gasol, chi ad Andrea Bargnani, chi lo vede come un nuovo Dirk Nowitzki e chi addrittura come un incrocio tra il tedesco e Kevin Durant. Sarà curioso osservare la sua evoluzione e come riuscirà ad adattarsi alla NBA già da questa stagione, anche perché a New York—nonostante fischi e continue lamentele—difficilmente vedremo un basket pronto per essere ripagato con delle vittorie. Con buona pace di Carmelo Anthony.
Discorso differente per quanto riguarda Myles Turner, scelto da Indiana alla scelta numero 11. A differenza di Porzingis è un lungo molto più interno, soprattutto dal punto di vista difensivo, dove può diventare uno dei migliori rim-protector della Lega, ed è già molto più formato fisicamente per il ruolo che andrà a ricoprire. Non è un tiratore naturale come il lettone, ma ha mano molto morbida e un giro-e-tiro dal post che sembra già automatico. Anche lui è tutto da scoprire e da modellare, considerando che il gioco offensivo ha lacune sotto molti aspetti, ma anche qui siamo di fronte a un nuovo concetto di giocatore: un 5 con caratteristiche fisiche e atletiche attribuibili al più classico dei lunghi interni, ma con sfumature che gli permetterebbero di agire anche dal perimetro in attacco. I Pacers puntano molto su Turner e dopo quanto fatto vedere alla Summer League di Orlando hanno deciso di andare all-in cedendo Hibbert ai Lakers e affiancandogli un veterano-mestierante come Lavoy Allen. Non ci sarà quindi da stupirsi se riuscirà a guadagnare minuti fin da subito.
Piccola curiosità: i due sono stati i protagonisti del famoso workout alla palestra della Impact Basketball, dove si narra di scout NBA usciti elettrizzati da quanto fatto vedere da Porzingis. C’era anche Turner e anche lui fece vedere ottime cose, ma senza fare lo stesso rumore. Stai a vedere che Jason Kapono aveva ragione ai tempi di questa dichiarazione…
KAT, D’Angerous e Super Mario, senza fretta
Tra gli altri giocatori scelti nelle prime posizioni troviamo tre giocatori che si possono accomunare sotto un tetto di aspettative che probabilmente al primo anno non verranno mantenute, per situazioni e dinamiche differenti, ma che non per questo devono essere etichettati nell'immediato.
Ad esempio la prima scelta assoluta, Karl-Anthony Towns, non è da escludere nella corsa al premio di Rookie dell'Anno, come ha dimostrato anche a Las Vegas, giocando una ottima Summer League e facendo vedere flash da lungo moderno molto intriganti. Il suo stile di gioco attuale però non sembra essere ancora adattabile contro la fisicità dei pari ruolo NBA e questo potrebbe rallentare il suo innesto nei primi mesi, amplificata anche dalla presenza di un giocatore navigato come Nikola Pekovic, visibilmente sgradito alla dirigenza, ma ancora a libro paga per 36 milioni di dollari in 3 anni. A tenere tranquilli i tifosi TWolves comunque ci pensa il personaggio Karl-Anthony Towns, un ragazzo amato dai media per il suo essere coinvolgente dentro e fuori dal campo, il perfetto complemento con il ROY uscente Andrew Wiggins, molto silenzioso e introverso.
Gli stessi problemi a livello fisico potrebbe trovarli anche D'Angelo Russell, primo tassello della ricostruzione Lakers e per questo motivo lanciato nella mischia sin da subito, come raccontato in precedenza per Mudiay. Se mantengono le intenzioni intraviste a Las Vegas, l’idea del front office losangelino è di mettere l'ex-Ohio State in una posizione dove gli è concesso provare e sbagliare—anche se ci sarà da confrontarsi con quel piccolo particolare chiamato Cattiveria-Agonistica-Del-Signor-Kobe-Bryant—in modo da prendere confidenza con un ruolo che sarà suo negli anni a venire. Principale candidato nell'essere il capofila tra i rookie nel conto delle palle perse, ma senza disperarsi.
Per quanto riguarda invece Mario Hezonja, a rallentare il suo innesto potrebbe essere il rapporto con un sergente di ferro come Scott Skiles. Il croato si è già distinto in passato per la sua disinvoltura e per la faccia tosta mostrata in più occasioni, e proprio questi comportamenti sono stati più volte motivi di scontro con il suo coach al Barcellona, Xavi Pascual, che cercava di usare bastone e carota, ma che ne limitava il minutaggio per gran parte della sua esperienza in prima squadra. Con Skiles il discorso potrebbe essere lo stesso e lo scarso senso tattico di Mario potrebbe essere un ulteriore problema al suo minutaggio. Il talento rimane comunque indubbio, come ha già dimostrato nei primi giorni di Summer League.
La pressione su Frank The Tank
Notte del Draft. Suona il telefono nella war room degli Charlotte Hornets, poco prima della loro scelta, la 9. Dall'altro capo del telefono i Boston Celtics che offrono la loro 16, la 15 di Atlanta pronta per essere ceduta e due prime scelte future, di cui una non protetta dei Brooklyn Nets. Un pacchetto tanto corposo quanto invitante. La maggior parte del front-office sembra pronta per lo scambio, ma arriva il no di Michael Jordan, proprietario della franchigia, che attacca il telefono e sceglie Frank Kaminsky.
La telefonata dei Celtics era chiaramente indirizzata per andare a prendere Justise Winslow, caduto poi alla scelta successiva a Miami, ma questo fa capire quanto MJ punti forte sul lungo in uscita da Wisconsin e quanta pressione gli abbia messo addosso rifiutando una trade con un valore decisamente superiore a quella scelta. È il classico pick di Jordan—ottima carriera scolastica, maturo, vincente—che vede in Kaminsky una possibile stella nonostante gli evidenti limiti fisici e atletici per un giocatore con quel ruolo e quelle qualità.
Chi lo ha visto giocare almeno una partita in NCAA se ne sarà innamorato all'istante per la completezza tecnica e la grande intelligenza che dimostra in ogni minuto in cui è in campo. E la sua comprensione del gioco avrà ottimi risultati sull'attacco degli Hornets—uno dei peggiori lo scorso anno—e sulle prestazioni di due giocatori cardine come Kemba Walker e Al Jefferson. Ma difficilmente si prevede per lui un ruolo da prima opzione offensiva, perché è quello il valore che gli ha dato Jordan rifiutando quell'offerta.
Worth a look
La caduta di Winslow fino alla 10 ha messo in secondo piano la scelta dei Pistons di passarlo per prendere Stanley Johnson, che a Orlando ha dato piena dimostrazione di quanto sia pronto per i palcoscenici NBA dal punto di vista fisico. Probabilmente non avrà il potenziale e i margini di cresciti dell'ex-Duke, ma rischia di essere l'ala piccola titolare di Detroit sin dal primo giorno di training camp.
Rimanendo nella Eastern Conference, nella grande confusione del roster dei Celtics cercherà di brillare la stella di R.J. Hunter, che durante queste sgambate di metà luglio non solo ha confermato la sua incredibile precisione dalla distanza, ma ha pure mostrato che può dare molto di più offensivamente, dando prova della sua ottima visione di gioco e di come sia molto più a suo agio al fianco di giocatori con la stessa dose di talento rispetto a quando doveva fare pentole e coperchi al college, sporcando percentuali al tiro e gestioni di palla. Da buon figlio di allenatore, R.J. è un gym-rat con una passione enorme per questo sport, che lo porta a guardarsi ore e ore di video per capire dove e come migliorarsi. Partirà dalla seconda/terza fila nelle rotazioni e probabilmente dovrà assaggiare anche la D-League, ma è difficile che una mente come coach Stevens riesca a soprassedere sulle sue potenzialità.
Infine occhio a quello che succede a Dallas, perché Justin Anderson potrebbe trovare minuti come cambio di Chandler Parsons. Anche lui come Johnson è un man-child, un ragazzo all’anagrafe con il corpo da uomo maturo, e ha sviluppato il suo senso tattico dopo aver giocato per tre anni per un guru come Tony Bennett. Per questo sembra avere le caratteristiche giuste per soddisfare le richieste di coach Rick Carlisle, altro figlio della University of Virginia. Anderson sembra la miglior scelta al Draft dei Mavs dai tempi di Josh Howard, datata 2003.
Le perle da secondo giro
Cosa accomuna protagonisti della free agency di quest'estate come Draymond e Danny Green, Paul Millsap, DeAndre Jordan, Marc Gasol e addirittura Manu Ginobili? Sono stati tutti scelti nella seconda metà dei rispettivi Draft, arrivati in NBA nella maggior parte dei casi con contratti non-garantiti e che si sono conquistati minuti e notorietà partendo da veri underdog. E ogni anno è sempre interessante cercare di capire chi riuscirà ad andare oltre le aspettative iniziali.
Il nostro dollaro sporco lo giochiamo su Joseph Young. La scelta n. 43 dei Pacers è il miglior tiratore inch-per-inch del Draft, una combo guard che nell’ultima stagione collegiale ha cercato di prendere confidenza con il pallone in mano quando negli anni precedenti ha vissuto la maggior parte senza, correndo senza sosta da un blocco a un altro. Nonostante gli inevitabili problemi difensivi che dovrà affrontare a causa di una corporatura troppo esile—180 centimetri scarsi per appena 80 chili—sembra poter essere un ottimo uomo di rottura e Bird non ha esitato a offrirgli 4 anni di contratto con i primi due garantiti. Tra tiratori ci si intende.
Altri nome da segnare sul taccuino sono quelli di Montrezl Harrell di Houston, elettrica ala forte sottodimensionata con una gran fame sotto i tabelloni, e quello di Josh Richardson, versatile guardia scelta da Miami alla 40 capace di ricoprire entrambi i ruoli di guardia, anche lui già firmato con contratto garantito al primo anno.
In conclusione, ci tengo a sottolineare un aspetto molto importante. Cercate di rimanere pazienti prima di etichettare prematuramente un giocatore dopo la prima—e in alcuni anche la seconda e terza—stagione professionistica. Perché alla fine, per quanto talentuosi, parliamo sempre di ragazzi in tarda fase adolescenziale, ancora poco formati fisicamente e mentalmente e lontani anni luce da un prodotto che possa definirsi finito. Prendete un normale 20enne/21enne, pensate a voi stessi a quell'età... ed ecco, quando fornite un giudizio su questi ragazzi, ricordatevi di questa immagine per capire a che stadio state guardando i giovani che rappresenteranno il futuro della Lega.