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Vita, morte e miracoli di 90° Minuto
22 lug 2024
Lo storico programma della Rai è stato quasi cancellato.
(articolo)
9 min
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«La nostalgia è davvero la più grande debolezza umana. Seconda solo al collo», dice con tono serio il personaggio di Dwight Schrute in una delle scene più sottovalutate di The Office. Inevitabilmente la nostalgia ha dominato i commenti e le analisi nelle ore che hanno seguito l’annuncio della sostanziale cancellazione di 90° Minuto, che in realtà non sparisce del tutto (verrà infatti trasmesso in tre giorni diversi - il sabato, la domenica e il lunedì - in versione estremamente ridotta). Una decisione così logica da apparire persino in ritardo sulla tabella di marcia: da quanti anni, ormai, un contenitore dedicato ai riflessi filmati della Serie A risultava del tutto inutile?

Il tentativo di virare leggermente verso il talk non è servito a tenere in vita quello che per decenni è stato qualcosa in più di un programma. 90° Minuto è stato un fenomeno culturale, un fatto di costume, un appuntamento irrinunciabile: di quanti altri contenitori televisivi si può dire altrettanto? Generava attesa in un mondo che andava a una velocità diversa da quella a cui siamo abituati e che quindi concedeva il lusso del pensiero, dell’immaginazione: il brivido di vedere a un paio d’ore dalla fine delle partite quello che si era ascoltato solamente alla radio, oppure la possibilità di rivedere ciò che si era visto allo stadio. Era uno squarcio nel buio, la fantasia che prendeva vita e si scontrava con la realtà, talvolta aderendovi in maniera perfetta. Non ha senso ragionare sul perché, palese, della rimodulazione voluta dalla RAI in vista della stagione 2024/25: ma com’era nato, e come era cresciuto, 90° Minuto?

Dall’ottobre del 1953, gli italiani hanno preso confidenza con la possibilità di vedere un po’ di gol in TV: risale infatti a quell’anno la nascita della Domenica Sportiva, che dopo anni di mera informazione aveva cambiato forma dal febbraio 1965, diventando una trasmissione in diretta che non aveva paura di strizzare l’occhio al talk sportivo. Per arrivare alla realizzazione e alla messa in onda di Novantesimo Minuto – questa la prima denominazione, soppiantata qualche anno più tardi da quella “numerica” 90° - si deve attendere il settembre del 1970.

Il modo in cui i giornali ne danno l’annuncio è uno scintillante tuffo nel passato: "È prevista la messa in onda di una serie di telefoto provenienti dai campi di Serie A e di alcuni filmati riguardanti i primi tempi di tre o quattro partite", scrive La Stampa, mentre il Corriere della Sera si limita a una brevina in cui registra la novità inserendola nel novero della programmazione sportiva del Programma Nazionale, il nome con cui era conosciuto il primo canale televisivo predisposto dalla RAI all’epoca. Roma, in quei giorni, è in fermento: Richard Nixon, da un anno e mezzo presidente degli Stati Uniti, è appena arrivato in città, accolto dal capo di Stato, Giuseppe Saragat, per la prima tappa del suo secondo viaggio in Europa.


Palinsesto decisamente scarno, ma dopo i gol della Serie A spazio a Magilla Gorilla.


L’idea di 90° Minuto è figlia di tre menti: quelle di Paolo Valenti – rimasto nel cuore di una bella fetta d’Italia anche come il conduttore storico del programma – e Maurizio Barendson, anch’egli in conduzione per alcuni anni, e di Remo Pascucci, l’uomo-ombra di una trasmissione che ha rivoluzionato il modo di raccontare il calcio in Italia.

La prima versione è asciutta, snella, modellata attorno a quelle che sono le possibilità dell’epoca: mandare in onda alle ore 18 un servizio su una partita finita un’ora-un’ora e mezza prima è sostanzialmente impossibile. La prima versione di 90° Minuto è dunque un’entità dalla durata di quindici minuti circa: lettura dei risultati, colonna vincente del Totocalcio, qualche riflesso soprattutto delle partite giocate a Roma e Milano, le due sedi più tecnologicamente evolute della Rai. È la fase embrionale di un’idea geniale che proprio Barendson racconta a Tv Sorrisi e Canzoni tre anni più tardi, nel 1973, in un’intervista ripescata dagli archivi dal fondamentale La tv per sport scritto da Pino Frisoli: "Partimmo da un’idea in un certo senso concorrenziale. Come uomini di televisione, non ci era sfuggita la sproporzione fin troppo evidente sul piano informativo fra radio e tv rispetto al campionato di calcio e allo sport in genere. E non ci andava giù, a riprova che la concorrenza può essere un ingrediente necessario per una informazione rapida e completa. La radio doveva buona parte del suo orgoglioso rilancio proprio allo sport e specialmente a Tutto il calcio minuto per minuto, che è un perfetto esempio di trasmissione-staffetta, mentre la televisione, avendo costruito il suo successo sulla potenza delle immagini, si era un po’ addormentata sugli allori da questo punto di vista. Bisognava rompere quindi gli schemi. Da principio fummo visti con diffidenza e incredulità. Forse ci temevano senza dirlo, forse erano davvero convinti che il tentativo sarebbe fallito".

90° Minuto, quindi, riempie uno spazio deserto con le sue idee semplici e allo stesso tempo geniali. Intercetta un’esigenza, forse la crea addirittura: si costruisce un pubblico affezionato settimana dopo settimana. Si piazza alle 18 e abbraccia tutta quella fetta di italiani che non può e non vuole aspettare l’appuntamento con la Domenica Sportiva, perché il lunedì si lavora e si va a letto presto. Con il passare degli anni, le sedi regionali diventano sempre più centrali: a Roma e Milano si aggiungono innanzitutto Torino e Napoli, le prime a incrementare la pattuglia dei servizi confezionati a tempo di record. "Da ogni stadio, dopo aver montato i film dei match, partivano delle staffette dirette alle sedi regionali della Rai. Lì, attraverso collegamenti con la sede di Roma, si parlava con l’inviato e si trasmettevano i riassunti delle partite. Oggi con la tecnologia che abbiamo a disposizione si fa fatica a capire cosa riuscivamo a fare", ha raccontato in un’intervista a Tempi Fabrizio Maffei, che di 90° Minuto sarebbe poi diventato conduttore dopo anni da inviato.

Nei primi anni le immagini sono grezze, provenienti dalla ripresa principale, e per lungo tempo sarà soprattutto questo a segnare la differenza tra i servizi della Domenica Sportiva, più elaborati nella scelta delle riprese e nella costruzione del servizio stesso, e di 90° Minuto, che invece mira, quasi per una questione di sopravvivenza, all’essenziale: immagini il più secche possibili, racconto cronologico, nessuno spazio per gli svolazzi in sede di montaggio.

Gli svolazzi arriveranno, e saranno tutti frutto di una pattuglia di giornalisti in grado di piacevoli variazioni sul tema. La doppia conduzione Valenti-Barendson decade nel 1976 con il passaggio di quest’ultimo alla Seconda Rete Rai (l’attuale Rai 2): lì darà vita a un incredibile mix tra racconto sportivo e momenti di spettacolo insieme a Renzo Arbore (L’altra domenica) e all’alter ego di Novantesimo, Domenica Sprint, altro programma la cui fortuna rimane in parte legata anche all’irresistibile sigla (il finale di Pancho per 90° Minuto, Stadium per Domenica Sprint: due madeleine di inaudita potenza). Al timone rimane dunque il solo Valenti, ma con l’aumentare delle sedi in grado di confezionare servizi, trova sponde sempre più frequenti negli inviati. È la seconda fase del programma, quella che lo consegna all’immortalità.


Valenti diventa dunque una sorta di commissario tecnico di una squadra di giornalisti profondamente variegata. Alla fine degli anni Settanta, il programma può finalmente avvalersi della tecnologia RVM: è la prima trasmissione ad avvalersi di questa innovazione, dopo aver già attinto a piene mani, dal 1977, alle immagini a colori, inizialmente un privilegio consentito solamente ai servizi in arrivo dalle sedi di Roma e Milano. Dopo essere nato in un contesto in cui il calcio in tv era soltanto un’eccezione, 90° Minuto cresce fino a diventare un fenomeno incontenibile, dilagante, con picchi di 20 milioni di spettatori.


Un ampio dietro le quinte realizzato nel 1979.


Ci riesce non solo grazie alle immagini, ma anche al racconto, in alcuni casi decisamente vivace, degli inviati locali. Chi ha vissuto l’era dei Necco e dei Giannini, dei Carino e dei Bubba, dei Vasino e dei Castellotti, ricorda infatti più i volti dei gol: il giornalista che diventa parte integrante della notizia, la colora, la dipinge a modo suo, stuzzica il collega della sede locale rivale. Uno schema che oggi ci risulta persino difficile da comprendere e che invece ha rappresentato il segreto del successo quasi ventennale della seconda fase di 90° Minuto, in un arco temporale che abbraccia il periodo d’oro della nostra Serie A, arrivando fino all’esplosione delle pay-tv.

Valenti, fino al giorno della sua scomparsa, nel novembre del 1990, tiene le redini di questo schema vincente, tira i fili dei collaboratori che egli stesso, con la sua gestione, ha reso personaggi nazional-popolari, consentendogli di sfondare il muro delle redazioni regionali assurgendo a fama nazionale. Era stato un pioniere anche prima, Valenti, come quando aveva raccontato il leggendario duello Benvenuti-Griffith per il Mondiale dei pesi medi: la prima radiocronaca notturna intercontinentale, un prodigio che aveva tenuto milioni di italiani incollati alla radiolina.

Era convinto che per attirare un pubblico non soltanto accanitamente calcistico, ma anche leggermente meno appassionato, fosse necessario quel pizzico di colore in più che aveva richiesto agli inviati: un prezzo da pagare per la notorietà. E aveva azzerato, sempre con garbo, le critiche che gli erano giunte spesso sia sul registro dei suoi inviati, sia sulla scelta di mettere quasi sempre in coda al programma le immagini del big match di giornata. Cito da una sua lettera indirizzata a La Stampa nel novembre del 1984: "Sono un giornalista, ma con questa trasmissione offerta a un pubblico così eterogeneo come quello della domenica mi regolo con i criteri dello spettacolo, prima che del giornalismo. Se do il meglio all’inizio, poi la trasmissione cade un po’; e se ci sono tre 0-0 in apertura, qualcuno si stufa". Una settimana dopo la sua morte, ad aprire il programma appare il ricordo di Nando Martellini, che rivela al pubblico di 90° Minuto la fede calcistica di Paolo Valenti, tifoso della Fiorentina.


Gli anni Novanta sono quelli delle prime avvisaglie della fine: l’arrivo inizialmente del posticipo serale (format inaugurato nell’agosto 1993), quindi la diffusione sempre più capillare delle partite sui canali pay, infine la rivoluzione di Diretta Gol che consente di vedere tutto, non solo la propria squadra del cuore, in tempo reale. Alla conduzione, negli anni Novanta, si alternano Maffei e Gian Piero Galeazzi, mentre l’impatto degli inviati svanisce settimana dopo settimana. I volti e le voci restano inconfondibili, da Nesti a Cerqueti, da Strippoli a Cattozzi, ma con un tono via via più professionale, meno confidenziale. Paradossalmente è proprio Galeazzi a percepire l’esigenza di restituire a 90° Minuto un’aria meno abbottonata e accetta di buon grado una sorta di fusione con Domenica In, andando in onda direttamente dallo studio di Mara Venier, in una commistione in cui Galeazzi partecipa attivamente anche agli sketch del programma principale, mostrandosi particolarmente a proprio agio fino ad arrivare a Sanremo, nel 1996. L’ingresso nel nuovo millennio vede Novantesimo costretto a sgomitare in un’offerta sempre più ampia, con turni spezzettati fino all’eccesso degli ultimi anni, fasce orarie create ad hoc per le pay-tv e il senso del programma costantemente svuotato, fino all’inevitabile conclusione.

L’esigenza che 90° Minuto aveva colto o creato ha finito per essere spazzata via e non era rimasta che la copertina di un programma leggendario, capace di riscrivere i codici del racconto sportivo abbinando l’essenziale al commento di colore, offrendo un vero servizio pubblico. Qualcosa di cui avremmo molto bisogno.

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