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A che punto è il calcio femminile in Italia
01 nov 2017
Quanto l'Italia è indietro nel calcio femminile, perché è inaccettabile, e come recuperare.
(articolo)
17 min
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Durante le qualificazioni al mondiale tedesco del 2011 la nazionale italiana femminile era stata piuttosto sfortunata. Si era dimostrata la quinta forza europea, ovvero la prima tra quelle non qualificate direttamente, e dopo aver battuto Ucraina e Svizzera nei primi due turni di spareggi continentali, si era trovata di fronte gli USA che a sorpresa (erano arrivate terze nel Mondiale precedente e campionesse olimpiche in carica) avevano mancato il loro pass tramite la Gold Cup. L'Italia perse con un doppio 0-1 nonostante i pronostici immaginassero che non sarebbe mai stata in partita, e rimase così fuori dal torneo più importante. Gli USA, in effetti, arrivarono in finale, perdendo però, ai rigori, contro il Giappone.

Nel ciclo di qualificazioni successive, quelle che portavano alla coppa 2015, nonostante l'aumento ad otto rappresentanti UEFA assicurasse la qualificazione a tutte le vincitrici dei gironi, le azzurre si complicarono il percorso finendo seconde dietro alla Spagna, pur avendo affrontato il girone da teste di serie. Battuta di nuovo l'Ucraina nel primo turno di playoff, l'ultimo ostacolo questa volta era più che abbordabile: l’Olanda, che partendo dalla seconda fascia nel sorteggio della fase a gruppi la concluse proprio in seconda posizione. Le olandesi batterono la Scozia nella semifinale playoff e si guadagnarono il diritto di affrontare l'Italia. Quella partita, oltre a qualificare una squadra alla coppa del mondo, avrebbe stabilito chi delle due fosse l'ottava forza europea. L'Olanda vinse di misura nella partita di ritorno in un Bentegodi desolato e desolante, dopo aver pareggiato in casa.

Nel 2010 l'Italia si giocava due partite alla pari con gli Stati Uniti, nel 2014 il progetto italiano e quello olandese erano più o meno su un livello simile. Tre anni dopo, invece, una di quelle squadre - che erano state divise solo da un gol allo spareggio - ha vinto il suo primo Europeo, mentre l'altra ha rimediato una brutta figura nello stesso torneo perdendo la partita più facile del girone contro la Russia. Alla luce di un divario così ampio, nato in soli quattro anni, è lecito quindi chiedersi: dove abbiamo sbagliato?

Lo sviluppo lento e a volte in retromarcia del calcio femminile in Italia si deve ad una serie di fattori che contribuiscono alla mancanza di un giro d'affari sufficiente a supportare il movimento. Le calciatrici non possono ottenere lo status di professioniste per via di leggi medievali (come la 91 del 1981, che nel definire il professinismo sportivo parla solo al maschile), e quando va bene vengono pagate poco. Per poter giocare devono avere una volontà di ferro e nella maggior parte dei casi devono farlo parallelamente ad un altro lavoro.

Per questo motivo si allenano meno, hanno a disposizione strutture più arretrate, ed il calcio femminile finisce per avere scarsa attrattiva verso le bambine e le ragazze, che se pur appassionate si rendono conto ben presto di quanto sia difficile per loro vivere giocando a calcio.

Il principale fattore di questo problema è l’interesse del pubblico e, di conseguenza, anche dei potenziali investitori. Il business economico del calcio ruota intorno ai diritti tv, ai ricavi dello stadio, alle sponsorizzazioni e al merchandising. Il calcio femminile genera in quasi ogni paese del mondo (con eccezioni) un interesse minore rispetto a quello maschile, e quindi minori ascolti, ricavi, stipendi per le calciatrici.

Il miglioramento di un movimento passa necessariamente per l'interesse che genera, ma mentre per il calcio maschile si crea un circolo virtuoso - in cui i ricavi portano agli investimenti, gli investimenti migliorano la qualità del prodotto (anche semplicemente perché gli atleti possono dedicarvisi), la qualità porta a maggiori ricavi, e così via - per quello femminile accade il contrario. Oltretutto, il prodotto finale viene ingiustamente misurato con quello degli uomini, nonostante una base economica svantaggiosa che contribuisce, almeno in parte, a creare quello stesso divario.

Partendo da questa considerazione, possiamo farci tre domande fondamentali. Perché il calcio femminile ci interessa poco? Perché dovremmo migliorarlo? E infine, come?

L'Olanda che festeggia a Utrecht la vittoria dell'Europeo davanti a migliaia di persone (foto di Olaf Kraak / Getty Images). Qui trovate tutti i 68 gol quella competizione: per capire l'atmosfera che ci siamo persi basta ascoltare il primo.

Perché il calcio femminile ci interessa poco?

La risposta più sbrigativa a questa prima domanda viene spesso data da chi non segue affatto il calcio femminile, e più o meno recita il seguente copione: è la qualità del prodotto a non essere sufficiente. Eppure anche se il calcio maschile e femminile non saranno mai due spettacoli uguali, in un Paese che ha una forte cultura calcistica come il nostro, in cui anche le serie minori fanno grandi ascolti, non dovrebbe essere così difficile attrarre un interesse quanto meno sufficiente a professionalizzare il calcio femminile.

Ai mondiali e agli europei femminili passano quasi inosservate sui nostri canali delle gare con intensità, ritmo, tattica e tecnica. Non solo quelle di scarsa qualità. Allo stesso modo non si parla neanche delle calciatrici migliori.

L’esempio da seguire potrebbe arrivarci da altri sport, molto meno seguiti del calcio in Italia, per cui è bastata una campagna mediatica relativamente piccola per invogliare gli spettatori a seguire le squadre femminili. Prendiamo il basket, ad esempio: Sky ha definito un successo la trasmissione delle partite della nostra nazionale femminile di basket ai recenti campionati europei, reso possibile grazie alla spinta mediatica fatta sull'evento, e poco importa che la maggioranza dei “nuovi” tifosi siano dei casual, un movimento cresce principalmente grazie a questo. Bisogna attrarre nuovo pubblico, non per forza “convertire” quello dello sport maschile o “convincere” chi ha dei pregiudizi profondi.

La questione dell’interesse è strettamente legata a quella della percezione del pubblico: il calcio femminile in Italia, semplicemente, non è considerato qualcosa di “importante”. Paradossalmente possiamo immaginare che anche se le azzurre avessero vinto a sorpresa l'Europeo olandese, con grande probabilità quasi nessuno sarebbe sceso in piazza. In Olanda, invece, i tifosi ci tenevano molto anche prima che fosse diventato chiaro che avrebbero avuto una possibilità di vincere il torneo, riempiendo stadi e divani di fronte alla TV. Ma questa differenza non esiste solo con l’Olanda.

I tifosi tedeschi hanno fatto tutto esaurito all'Olympiastadion per la partita inaugurale del mondiale di casa nel 2011, e si sono ripetuti in quasi tutti gli altri stadi, anche quando non giocava la loro Nazionale. Le campionesse degli USA quando giocano in casa hanno sempre grande seguito, mentre il Brasile si era acceso per la propria seleção feminina durante le Olimpiadi. Anche altri Paesi che, come il nostro, possiamo considerare indietro su questi temi stanno iniziando a muoversi: l'Inghilterra, ad esempio, ha fatto una forte campagna di supporto alla propria nazionale durante l'ultima estate. A Parigi, i ritratti delle calciatrici convocate per il Mondiale e dello staff tecnico sono rimasti appesi per settimane sulle cancellate dell’Hotel de Ville.

Il calcio femminile quindi conta. Almeno qualcosa, per qualcuno. Ignorando questa creascita l'Italia rischia di restare esclusa da una cerchia a cui invece per tradizione sportiva dovrebbe appartenere. Non sarebbe nemmeno uno sforzo eccessivo, considerando che il vero sviluppo del calcio femminile - anche se ha una storia sufficientemente lunga da avere foto in bianco e nero - è piuttosto recente e pochi Paesi possono davvero dire di avere già una tradizione ben affermata. Il che significa che con una piccola spinta si può facilmente raggiungerli prima che la ripetizione dei risultati cristallizzi queste posizioni.

Gli Stati Uniti sono riusciti a diventare la prima potenza mondiale del calcio femminile nonostante non ottengano nessun risultato in quello maschile: non era richiesta una tradizione pregressa, hanno semplicemente investito e sfruttato il potenziale di una popolazione molto vasta. Un paese con una tradizione calcistica più forte come l'Italia dovrebbe essere in prima linea e sfruttare il know-how sviluppato coi maschi per progredire con entrambi i sessi.

Per l’Italia può essere l’occasione anche per ricollegarsi ad una tradizione che in realtà già ha, nonostante sia poco conosciuta. Negli anni ’60, infatti, l'Italia ha fatto parte dell'avanguardia europea nel calcio femminile, ospitando due tornei per nazioni non ufficiali nel 1969 e nel 1979 (primo e secondo posto), e terminando poi sul podio nelle prime cinque edizioni consecutive degli europei in formato “ufficiale”.

La prima calciatrice della storia a toccare quota 100 gol in nazionale è stata l'italiana Elisabetta Vignotto, e con Carolina Morace e Patrizia Panico abbiamo ben tre rappresentanti nel ristretto gruppo di quindici giocatrici che sono riuscite nella stessa impresa. Solo gli USA ne hanno di più.

Questi numeri per la partita inaugurale di WEURO 2017, quando il titolo era considerato un sogno.

Perché dovremmo migliorare il calcio femminile?

D’accordo, dirà qualcuno, ma se il prodotto è povero e per adesso l'interesse è poco, perché dovremmo investirci dei soldi? Innanzitutto perché ha grandi margini di crescita e investire oggi con uno sforzo finanziario minimo vuol dire avere dei grandi ritorni economici domani. Salire sul treno della crescita del calcio femminile significa entrare in un business che sta crescendo come una torta in forno: dal 2013 al 2016 i ricavi globali da sponsor della Champions League femminile sono saliti del 92%. Persino in Italia le ragazze tesserate sono cresciute del 79% negli ultimi 5 anni.

Finora, in Italia, al calcio femminile è semplicemente mancata la visibilità. In questo senso, sia le istituzioni sportive che i media - cioè gli attori più importanti per la crescita del movimento attraverso l’acquisto dei diritti, la promozione degli eventi, e così via - non si sono dimostrati ricettivi di fronte a tale crescita. Forse, anziché puntare sull’assegnazione di tornei difficilmente raggiungibili, come gli Europei maschili 2012 o le Olimpiadi a Roma, sarebbe potuto essere più vantaggioso provare a giocarsi in casa un Europeo femminile.

In tutto questo, il calcio femminile è passato in TV solo dalla RAI o da Eurosport (con serietà ma anche con mezzi limitati), con tutte le difficoltà di chi comunque si confronta con un pubblico che è ancora molto ristretto. Per non parlare di come il calciomercato maschile affossi qualsiasi grande competizione femminile durante le estati degli anni dispari.

Avere un movimento femminile migliore converrebbe a tutti. Per le TV il calcio femminile potrebbe rappresentare l’opportunità per ampliare ulteriormente i palinsesti calcistici, e i diritti per le manifestazioni principali potrebbero essere acquisiti con un investimento economico relativamente piccolo. Per gli spettatori significherebbe avere una Nazionale e dei club migliori, e quindi un prodotto più interessante, o quanto meno una nuova esperienza sportiva (che, come tutte le esperienze sportive, non deve piacere a tutti).

Certo, al momento la situazione è desolante e , guardare oltre al presente non è semplice, e forse è richiesto un coraggio troppo grande. Quando nel 2016 Reggio Emilia ha ospitato la finale di Champions League femminile, con biglietti a 10 euro non si è comunque riusciti a riempire lo stadio, nonostante fosse presente il tifo organizzato sia del Wolfsburg che dell'Olympique Lyonnais. Una cornice triste rispetto allo spettacolo in campo, che è invece è stato di ottimo livello.

Alex Morgan, una delle più importanti calciatrici del mondo, con la maglietta del Lione. Probabilmente convinta a firmare per la squadra francese dopo questa partita (Foto di Christopher Lee / Stringer).

Come cambiare la situazione?

Il calcio femminile non si scontra solo con gli ostacoli che tutti i movimenti condividono nel momento in cui iniziano a crescere, ma anche con problemi culturali e politici, che affondano le proprie radici proprio in quelle istituzioni che invece dovrebbero impegnarsi a sostenerlo. In Italia bisogna fare i conti anche con un sessismo di cui Felice Belloli, allora presidente della Lega Dilettanti (lega a cui appartiene ancora il movimento femminile), ci ha fornito un esempio nel 2015, con la celebre frase “basta dare soldi a queste quattro lesbiche”. Lo stesso Carlo Tavecchio, presidente della FIGC in carica, parlò di “donne handicappate nel calcio”, mostrando di non sapere neanche come si deve parlare dell'argomento.

Dall’altra parte vanno riconosciuti gli sforzi della FIGC per la creazione di un settore giovanile femminile per tutte le squadre di Serie A e il sostegno che viene fornito alla Nazionale femminile (oggi guidata da Milena Bertolini). Andando più a fondo nei dati, però, si possono ancora scorgere tutte le difficoltà che le donne sono costrette a superare per provare a entrare nel calcio professionistico. In questo senso, è utile tornare al confronto con l’Olanda, perché si può parlare di crescita di un movimento solo in termini relativi.

I Paesi Bassi hanno più o meno 17 milioni di abitanti, ovvero meno di un terzo dell'Italia, ma circa sette volte il numero di calciatrici registrate (153.000 contro 23.200). Negli ultimi diciassette anni, ovvero nel periodo in cui le eroine dell'Europeo 2017 si sono formate, l'Olanda ha più che raddoppiato il numero già alto delle sue giocatrici, mentre l'Italia a stento ha fatto segnare un +50% (dati ottenuti incrociando le ricerche “Women's Football Today” di FIFA e “Women’s football across the national associations” di UEFA).

Andando ancor più nel dettaglio, si vede inoltre che mentre il numero delle nostre calciatrici giovani è cresciuto, è calato drasticamente quello delle maggiorenni (ovvero, di quelle che giocano nelle prime squadre). Qui si capisce dove non funziona un sistema: l'interesse e la passione delle ragazze c'è e cresce, ma vengono spinte a smettere di giocare quando raggiungono l'età in cui nella vita si iniziano a fare delle scelte. L’UEFA stima che nei Paesi Bassi, mediamente, una giovane calciatrice debba fare meno di dieci chilometri per andare al campo sportivo: in Italia ne servono tra i venti e i quaranta per trovare un club femminile.

In questo contesto, è difficile pensare che la crescita possa avvenire dal basso. Certamente le istituzioni potrebbero investire di più, ma i tre milioni e mezzo di euro attuali spesi per finanziare il calcio femminile non sono lontani dal budget stanziato dai Paesi Bassi (quattro milioni e mezzo circa).

Investimenti, pubblicità e sviluppo portano a giorni come questo (Foto di Maja Hitij / Getty Images).

Oltre a maggiori investimenti, un altro modo per migliorare la situazione potrebbe essere quello di dare maggiore importanza e visibilità alla Nazionale, che può raggiungere un pubblico più ampio rispetto a quello dei club. L’aiuto, perciò, deve venire dai canali televisivi.

Come cambierebbe la percezione del pubblico se le partite femminili venissero trasmesse in alta definizione, se gli venissero raccontate le storie e i profili delle giocatrici, il background tattico delle avversarie? Quanto crescerebbe l’interesse se si costruisse un'esperienza completa di pre-gara e post-partita, con interviste e collegamenti dal campo di allenamento, se i match fossero commentati dai personaggi televisivi più conosciuti e competenti?

Perché avvenga davvero la scintilla tra pubblico e calcio femminile, poi, serve aiutare la nazionale a fare il salto di qualità. La Nazionale ha bisogno di giocare in stadi adeguati al pubblico atteso, e il pubblico che non la conosce deve essere incentivato a presenziare. Forse Vivianne Mediema e Lieke Martens erano davvero troppo forti per le nostre ragazze in quello spareggio di Verona, ma in uno stadio più adatto, con un pubblico più folto, magari la Nazionale avrebbe giocato con maggiore convinzione.

L'Olanda ha giocato l'andata di quel playoff in uno stadio piccolo ma pieno, mentre in Italia si poteva sentire l'eco delle urla in campo.

Almeno sino a quando il movimento femminile non potrà camminare sulle sue gambe, è giusto che quello maschile lo aiuti. Magari si potrebbe regalare un biglietto per la Nazionale maschile a chi assiste a una partita di quella femminile; oppure si potrebbero giocare le due partite nello stesso stadio e nello stesso giorno per poter condividere il pubblico: lo si fa già in quasi tutti gli eventi FIFA Under-20 e Under-17. A una parte di pubblico, bisogna semplicemente far sapere che il calcio femminile esiste.

Ma anche la crescita del calcio femminile a livello di club è importante, e in questo senso le squadre maschili giocano per forza di cose un ruolo fondamentale. La grande maggioranza degli appassionati segue le partite per tifare la propria squadra, e il tifo conosce solo i colori del club, al di là dei cambiamenti di presidenti, giocatori e allenatori e, chissà, magari anche al di là delle differenze di genere. Già oggi ci sono dei casi di successo come la Fiorentina (, arrivata ad imporsi rapidamente vincendo il campionato scorso), e la Juventus, che ha acquisito il Cuneo per creare la propria rosa femminile e l'ha dotata di strutture di allenamento compatibili con una squadra che punta a vincere presto.

L’ideale, ovviamente, sarebbe che non fosse necessario l'intervento della Federazione per obbligare i club ad avere squadre femminili, per evitare squadreformazioni che esistono ma non sono davvero supportate.

La confederazione sudamericana, CONMEBOL, ha recentemente approvato una misura che obbliga le squadre ad avere una divisione femminile per poter ottenere la licenza per giocare le competizioni continentali. I risultati di questa decisione si potranno valutare solo tra alcuni anni, ma nel frattempo il calcio femminile in Sudamerica appare molto arretrato, e le giocatrici che riescono a distinguersi da giovani, come Deyna Castellanos, scelgono ben presto di spostarsi in campionati più attrezzati come quello statunitense.

La Fiorentina vince in casa lo scudetto 2016/2017 di fronte a 8000 persone. Un buon inizio.

Questione di opportunità

Ma la ragione principale per cui i vari attori coinvolti dovrebbero impegnarsi maggiormente nel promuovere il calcio femminile è più profonda e va oltre quelle opportunistiche di business di cui abbiamo parlato, per media e club. È un dovere dello Stato, ma eticamente è un impegno che dovremmo prenderci tutti, affinché vengano rimossi gli ostacoli sociali ed economici che al momento rendono per una donna quasi impossibile entrare nel mondo professionistico, quei legacci che, come dice l’articolo 3 della nostra costituzione: «limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».

In definitiva, ci riferiamo sostanzialmente alla questione che, con un’espressione un po’ abusata, viene definita delle “pari opportunità”. Cioè uguaglianza di stipendi per giocatori, allenatori, arbitri, giornalisti, opinionisti uomini e donne. In questo senso ci vorrebbero anche più donne fuori dal campo: più commentatrici, più arbitri, più allenatori donna nel calcio maschile. Ma il futuro è dietro l'angolo, come ci dimostrano, tra le altre, Katia Serra, presenza fissa dell'approfondimento sportivo RAI; Martina Angelini, commentatrice su Eurosport e giurata italiana per l'assegnazione del premio FIFA The Best; o Patrizia Panico, assistente allenatrice nello staff dell'Under-16 maschile, di cui ha già diretto una partita. E servirebbe inoltre che anche che gli uomini con capacità sportive che hanno beneficiato di un percorso più facile per ottenerle, abbiano più incentivi a utilizzarle nel calcio femminile.

È un tema che l’Italia condivide con paesi molto più avanti nello sviluppo del calcio femminile, basti pensare alla diatriba che sta dividendo le calciatrici della Nazionale e la federazione americana. La vastità di queste problematiche sono il segno della loro profondità, ma il presente ci sta riservando anche dei segnali incoraggianti. Recentemente la Norvegia si è fatta portabandiera della questione annunciando parità di stipendi per le due selezioni, novità resa possibile anche dalla diminuzione di stipendio accettata dagli uomini. Chiaramente non è un atto eroico accettare una paga uguale, ma rinunciare ai privilegi con cui si è nati è sicuramente lodevole. La stessa iniziativa era stata presa qualche mese prima dal Lewes FC, club che gioca nel settimo livello del calcio inglese. Siamo ancora lontani dalla vetta del mondo calcistico, ma è un esempio coraggioso che magari qualcuno deciderà di seguire.

È un problema difficilmente risolvibile, che tira in ballo il concetto stesso di uguaglianza e che non si può pensare di risolvere semplicemente affidandosi al mercato stesso economico, che di fatto condannerebbe cinicamente il calcio femminile al semi-dilettantismo, che tira in ballo il concetto stesso di uguaglianza. Ovviamente ognuno è libero di pensare che sia giusto così, da parte mia lasciatemi difendere la causa di una bambina che si appassiona al calcio e che penso sia giusto abbia almeno una squadra, di bambine della sua età, nella provincia in cui vive. La causa di una ragazza di talento, che vorrebbe fare del calcio la propria vita, senza guadagnare milioni, ma neanche essendo costretta a farlo come secondo o terzo lavoro.

La causa di una donna che è disposta a sudare, soffrire e allenarsi duramente per mettersi un giorno la maglia della Nazionale, e che non debba rinunciarci perché - in contraddizione con quanto accade altrove - in Italia il calcio non è considerato uno sport per donne.

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