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Adattamento canario
13 mar 2016
Roque Mesa non è il solito esteta, ma un ottimo jolly da tenere d'occhio.
(articolo)
8 min
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È difficile non trovarsi d’accordo con il principio della meritocrazia, soprattutto quando resta in linea di massima e non viene declinato in dettaglio. La cosa però si complica quando entra in gioco ciò che è bello, che a volte segue sentieri così arbitrari che il problema della corrispondenza con un sistema di eque ricompense nemmeno se lo pone.

Così, se la Liga più giusta è quella in cui promozioni e retrocessioni vengono decise sul campo, la Liga più bella sarebbe una in cui alcuni posti fra le 20 partecipanti siano per decreto riservati a:

1. l’Athletic Bilbao e il Rayo Vallecano, per la loro diversa ma ugualmente fortissima identità;

2. le due squadre di Sevilla, per il derby più vivo nella città in cui si vive di più il calcio (non Madrid né Barcellona!)

3. almeno una squadra canaria.

Il fútbol delle Canarie porta con sé una peculiarità irrinunciabile se si vuole dare alla Primera un tocco che fa la differenza. “Nelle Canarie, sin da piccolo, se non sei un esteta, se non sei tecnico, sembra che ti prendano di mira”. La pausa di Valerón e le pose alla Neymar o Ronaldinho di Jonathan Viera sulla sinistra non vengono dal nulla: il clima, il giocare continuamente per strada o in spiaggia ha sviluppato una particolare abilità tecnica del giocatore canario e una predilezione del pubblico per la giocata di fino. Al tempo stesso, la distanza dalla penisola iberica ne ha però accresciuto la singolarità, amplificato le idiosincrasie e, talvolta, l’incapacità di adattarsi ad altre realtà fuori dalle Canarie. Così, per ogni Valerón o Silva che sfonda, ecco un Jorge Larena o un Guayre (o il mago underground David González) che non riesce a superare quella certa leggerezza che rende il talento canario così attraente ma talvolta anche inconsistente.

Pur essendo pienamente parte dello “stile canario” di un Las Palmas da sempre orgoglioso di un settore giovanile che compone gran parte della rosa della prima squadra, Roque Mesa (7-6-1989) sembra un’altra cosa: non un esteta con i suoi tic incomparabili, ma un “normale” buon giocatore spendibile in tanti possibili contesti, anche al di fuori dell’isola.

In una delle squadre oggettivamente più fragili della Liga, alle prese con un cambio di allenatore e una rivoluzione nello stile di gioco avvenuta in corso d’opera (da Paco Herrera, l’artefice della promozione, difesa a 5 e contropiede, a Quique Setién, promotore di un calcio di possesso grazioso ma di scarso peso nelle due aree), ha sorpreso la capacità di Mesa di adattarsi e rappresentare anzi un elemento-chiave della squadra in contesti tattici e ruoli totalmente differenti.

Roque Mesa è un piccoletto (1,71 per 72 kg) che alla prima accelerazione si scrolla di dosso ogni sospetto di inadeguatezza atletica: quello che perde in altezza lo guadagna infatti in compattezza, e all’esplosività nel breve accompagna velocità anche in allungo e capacità di sostenere sforzi prolungati. E così nel sistema di Paco Herrera, fatto di strappi improvvisi, Roque Mesa non sfigura come terzo attaccante/quarto centrocampista a destra, a seconda che i movimenti suoi e dei partner offensivi Jonathan Viera e Araujo disegnino un 5-2-3 o un 5-4-1. Mesa è sulla carta l’unico centrocampista dei tre, ma con un dinamismo e un’aggressività tali da finire spesso come uomo più avanzato nei suoi ricorrenti tagli in diagonale verso il centro dell’area, á la Callejón o Giuly per intenderci. Esemplare in questo senso il gol al Sevilla nella gara d’andata.

A questa iper-attività senza palla alterna poi alcune avventure palla al piede efficaci nel superare di colpo la linea del pressing avversario, sempre nel segno di un’apprezzabile tendenza a velocizzare le transizioni con un buon primo tocco (più per la scelta di tempo che per l’esecuzione tecnica), seppure in qualche caso con un eccesso di precipitazione nel chiedere o nel chiudere subito il triangolo invece che aspettare mezzo secondo in più per continuare, divagare sulla trequarti o cambiare fronte al gioco con una visione panoramica (fosse così parleremmo di un giocatore un po’ più speciale).

Il gol di Roque Mesa al Zaragoza nel play-off per la promozione 2015.

Nelle prime giornate Roque Mesa si è distinto come acceleratore della manovra, piuttosto lontano dal centro della stessa, sia per il ruolo ricoperto che per le difficoltà oggettive del sistema di Herrera nel far arrivare continuamente e in maniera fluida la palla dalla difesa sino alla trequarti. Ha sorpreso perciò che il successore di Herrera, Quique Setién, abbia provato a risolvere il problema riconvertendo Mesa a quasi-playmaker, in un 4-2-3-1 fluido, nel quale in realtà uno solo dei due mediani, Vicente Gómez (centro-sinistra) e appunto Mesa (centro-destra) rimane a turno davanti alla difesa a ricevere palla dai difensori e l’altro scala a creare linee di passaggio più avanti. Nessuno dei due fa il regista in modo stabile, nessuno lo è di ruolo, ma la circolazione di palla di un Las Palmas comunque pieno di problemi migliora. Mesa non è un regista di ruolo, ma per caratteristiche tecniche e fisiche riesce a sbrigare ciò a cui non è abituato per formazione. Un cambio a 360 gradi: da scalmanato innesco di molti contropiedi a cardine di un possesso ragionato.

Prima di tutto gioca semplice, che non guasta, si offre sempre ai difensori come primo riferimento per iniziare il gioco, anche arretrando fra i due difensori centrali, e quando il posizionamento non è perfetto o gli avversari si addensano risolve la situazione facendo quello che sa: portare palla oltre l’ostacolo, dato che il baricentro basso gli consente di girarsi in poco spazio e eludere il pressing. Poi, una volta fatta uscire la palla dalla linea difensiva, se Vicente Gómez lo copre, Mesa può “volare” come piace a lui, e accompagnare il gioco muovendosi senza palla fino alla trequarti avversaria.

Intervista dopo la vittoria con il Sevilla all’andata: “Il mister (allora Herrera, ndr) mi dà libertà, mi chiede di essere pericoloso in qualsiasi modo dalla trequarti in avanti”. Probabilmente non si immaginava che un altro tecnico poco dopo gli avrebbe chiesto cose completamente diverse.

Il punto è proprio questo, non restare in una posizione fissa. Quando Vicente Gómez si è infortunato Mesa si è trovato recentemente a giocare solo davanti alla difesa in un 4-3-3, puro uomo d’ordine che non è: è più incline a portare il pressing o raddoppiare che a equilibrare davanti alla difesa tenendo la posizione, e non ha né la visione di gioco né la gittata nel lancio richieste per assicurare ai compagni un riferimento per il retropassaggio e il successivo cambio di gioco verso il lato opposto. Poca gittata e anche poca varietà nei tocchi, realizzati quasi esclusivamente con il piatto e il collo del piede per la scarsa abilità nell’uso dell’esterno, che in situazioni intricate può sempre aiutare a guadagnare un tempo di gioco e far passare la palla dove altrimenti non potrebbe.

Ci sentiamo di dire che la posizione ideale di Mesa è quella di mezzala destra in un centrocampo con tre centrali, che paradossalmente non ha mai coperto quest’anno. Mezzala destra perché ogni volta che si è trovato a muoversi sul centro-sinistra ha denunciato serie difficoltà sia a smarcarsi che a dare continuità all’azione una volta in possesso, quasi come se calcisticamente avesse un occhio solo.

La sua dimensione è quella di jolly da squadra media, ma tirando le somme di tutte le sue riconversioni, un’ulteriore evoluzione tattica potrebbe renderlo appetibile anche come ricambio in una squadra di fascia medio-alta. Infatti il Roque Mesa con più potenziale potrebbe essere quello adattato a terzino destro: considerando il contesto di una grande squadra, abituata ad attaccare difese schierate, da esterno destro verrebbe chiamato più spesso a cercare il dribbling partendo da fermo, qualità che non possiede, mentre da mezzala nel cuore del centrocampo la mancanza di pausa e qualche errore di misura nello stretto potrebbero risaltare negativamente.

Partire da terzino potrebbe al contrario valorizzare i punti forti di Mesa occultandone i punti deboli: il dinamismo, la resistenza, la scelta di tempo negli inserimenti, le percussioni palla al piede partendo dalla posizione di terzino disporrebbero di una maggior porzione di campo per esprimersi, e più ampi margini di sorpresa.

Sia i movimenti senza palla che le digressioni palla al piede lo rendono potenzialmente adatto all’ultima evoluzione del ruolo di terzino nel calcio contemporaneo, quello in cui di fronte a sistemi difensivi chiusi le possibilità di creare superiorità si spostano sempre più dietro (vedi la teoria di van Gaal sui difensori centrali come play-maker del futuro in assenza di spazi più avanti, poi applicata al meglio da La Volpe e Guardiola). Questi "nuovi" terzini cominciano a mostrare la tendenza a giocare non solo in sovrapposizione esterna ma anche interna, per caratteristiche individuali (Dani Alves e Marcelo) o per sistema (il Bayern di Guardiola), alternandosi con le ali nel creare linee di passaggio interne per togliere ulteriori punti di riferimento alle difese, sfruttando da quella posizione la sua istintiva aggressività in un ipotetico primo pressing a palla persa. Roque Mesa potrebbe seguire la tradizione recente di esterni o ali adattati a terzini (Jordi Alba, Juanfran, Bernat) ma con caratteristiche diverse. Potrebbe rivelarsi l’eccezione che conferma la regola, un vero e proprio giocatore universale emerso dall’affascinante particolarismo canario.

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