Il 15 agosto 1992, poco prima di Arsenal-Norwich, un paracadutista plana dolcemente sullo stadio di Highbury. Al contrario di quanto previsto dal cerimoniale, però, non riesce ad atterrare sul campo e finisce per scomparire dietro un’alta parete che delimita il terreno di gioco sul lato nord. Più che una parete, in realtà, un gigantesco murales che occupa tutto il lato di fondo campo, e rappresenta una vista in prospettiva della gradinata North Bank dello stadio, con centinaia di tifosi dipinti per ricreare l’effetto della curva sulla percezione dei giocatori in campo. Quel murales serviva in primo luogo a nascondere il cantiere per la ricostruzione della gradinata di Highbury, che l’anno dopo sarebbe stata inaugurata nella sua nuova veste a due livelli e con tutti i posti a sedere come da nuove normative del calcio inglese ed europeo.
È solo un esempio fra i tanti di come gli stadi si siano adattati nel tempo a quei momenti transitori in cui non potevano ospitare i tifosi, o del tutto o solo in alcuni settori. Ma non è l’unico. Ci sono stati anche casi infatti in cui questo tipo di interventi è stato pensato per non dare l’impressione che lo stadio fosse vuoto. Nel 2010, ad esempio, la Triestina fece installare nello Stadio Nereo Rocco di Trieste, lungo tutto il primo anello della grande tribuna centrale, una serie di teloni raffiguranti la tifoseria di casa, per ovviare alle basse affluenze dell’epoca e creare una scenografia migliore per le immagini televisive.
Soluzioni a cui siamo sempre più abituati oggi, mentre gli stadi devono rimanere chiusi per via degli effetti della pandemia da Covid-19. Alcune squadre di Bundesliga, in Germania, ad esempio hanno riempito settori vuoti dello stadio con cartonati con le foto dei tifosi, ciascuno posizionato al proprio posto. Soluzione che poi è stata adottata anche da diverse squadre in Europa, anche in Serie A.
Foto di Julian Finney/Getty Images
Anche se ovviamente le contingenze sono molto cambiate, la necessità è rimasta la stessa: restituire un’immagine, e uno sfondo, il più possibile dinamici e vitali di un luogo che viene (temporaneamente, speriamo) privato della sua stessa identità culturale e sociale.
Audio e pubblico virtuale
L'assenza di pubblico è stato un problema anche per chi era abituato a guardare le partite da casa. In Inghilterra, nel corso delle prime amichevoli pre-ripartenza della Premier League, il pubblico televisivo del canale BT Sport ha potuto usufruire di un servizio che punta a ricreare qualcosa di simile all’atmosfera tradizionale delle partite di calcio: così come già accaduto in Bundesliga, in Germania, e poi in Serie A e in Liga, anche gli appassionati inglesi stanno sperimentando gli effetti sonori del pubblico applicati dalla televisione nel corso della partita, e a seconda dei diversi momenti di gioco.
La dimensione sonora di una partita di calcio è spesso sottovalutata, per il motivo che molto raramente dobbiamo assistere a un incontro senza pubblico. Ma la vocalità della folla restituisce un’energia di cui ci si accorge solo quando ne siamo privati, e che, televisivamente, richiama l’attenzione dello spettatore sul gioco e contrasta con l’appiattimento derivante dal silenzio quasi totale di una partita a porte chiuse. Il rumore del pubblico, in questo senso, conferisce un’importanza alla gara che il silenzio invece le toglie quasi del tutto.
Per quanto finti, gli effetti sonori aggiunti alle partite trasmesse in questi giorni hanno ricevuto un discreto grado di apprezzamento da una fetta appassionati, anche se i risultati dei sondaggi rimangono contrastanti: il 58% dei tifosi riconosce che l’audio virtuale riesce a ricreare una situazione familiare agli occhi del telespettatore ma, allo stesso tempo, non è vista come una soluzione necessaria e molte persone, anzi, la trovano un elemento di fastidio. C’è da notare, per esempio, che in Bundesliga sono stati particolarmente creativi e non si sono limitati ad applicare semplicemente un tappeto sonoro. Lo si è visto, per esempio, con gli applausi scroscianti inseriti dopo un’uscita perentoria dalla difesa di Emre Can, durante una partita del Borussia Dortmund, o con la richiesta dell’utilizzo del VAR per un possibile rigore in un match giocato dall’Hertha Berlino.
Anche in Italia Sky Sport ha introdotto l’audio virtuale di sottofondo (selezionabile tramite un’apposita opzione sul telecomando). Un’opzione gradevole per alcuni, che al di là di come la si pensi contribuisce a costruire per lo spettatore televisivo un prodotto finale più realistico. In queste prime partite di Serie A abbiamo visto però come i telecronisti spesso chiedano di alzare il volume dei microfoni di bordo campo per regalare ai telespettatori l’audio di ciò che viene detto in campo, un dietro le quinte che di solito è coperto dal rumore dello stadio e che può dare spunti interessanti sulla lettura della partita da parte degli allenatori e dei giocatori.
L’aspetto forse più interessante di questi esperimenti, però, non sono solo le novità che apportano alla nostra esperienza televisiva, quanto anche l’impatto che avranno sul modo in cui vivremo gli stadi anche nei prossimi anni. Perché è possibile che questo tipo di accorgimenti non se ne vada con il coronavirus. Secondo l’architetto Bill Johnson, Design Principle presso HOK, uno degli studi d’architettura più importanti al mondo, uno degli insegnamenti di cui la tecnologia dovrà far tesoro dopo l’emergenza Covid-19 è infatti proprio la possibilità che certe soluzioni di “pubblico virtuale” siano nuovamente necessarie in futuro. «L’impatto che gli spalti vuoti possono avere sul risultato di una partita è direttamente collegato a quello che ha sul pubblico da casa. Dovessimo nuovamente avere a che fare con periodi di crisi del genere, avremo bisogno di tecnologie adeguate e già presenti negli stadi con una progettazione mirata, e che possano simulare il pubblico sia a favore degli atleti in campo sia dei telespettatori».
Foto di SHAUN BOTTERILL/POOL/AFP
L’installazione di maxi-schermi a bordo campo per trasmettere l’immagine di tifosi collegati da casa tramite piattaforme di video-call, è stato un altro esempio delle soluzioni che i club stanno esplorando in questo periodo di emergenza. Il primo tentativo in assoluto è stato fatto dall’Arhus, nel campionato di Superliga in Danimarca, con circa 10mila tifosi collegati da casa e “in video” su un maxi-schermo lungo 40 metri e alto 3. Per farlo, il club danese ha stretto un accordo di collaborazione con Zoom, la famosa piattaforma online di video-conferenze, che ha fornito il supporto tecnologico supplementare. In più, ha noleggiato gli schermi grazie a uno degli sponsor del club, e ha implementato l’intero segnale Wi-Fi già presente all’interno dello stadio, il Ceres Park, per poter garantire il funzionamento complessivo del sistema.
Soluzioni che necessitano di uno sviluppo tecnologico e infrastrutturale di alto livello per gli attuali impianti sportivi, soprattutto se dovessero servire di nuovo in futuro. In questo senso, è interessante parlare anche dell’adozione da parte di alcune televisioni, oltre che dell’audio virtuale, anche del pubblico virtuale. L’abbiamo visto durante la finale di Coppa Italia e soprattutto in Liga, dove sia l'audio che il pubblico virtuale è prodotto da EA Sports, anche se in versioni ancora artigianali. Ma chi ce lo dice che queste soluzioni, che presumibilmente saranno sempre più convincenti da un punto di vista estetico per via dell’evoluzione tecnologica, non vengano adottate anche in futuro, magari per coprire degli spalti vuoti dentro lo stadio? Come ha scritto Musa Okwonga su The Ringer, non sarebbe poi così diverso rispetto a quanto già si fa abitualmente su Instagram, dove i filtri per certi versi abbelliscono e rendono più gradevole la realtà. Magari verrà lasciata la scelta ai telespettatori così come oggi si fa con l’audio, chissà.
Per adesso, comunque, i club fanno affidamento su modalità più artigianali. L’Inter, ad esempio, ha lasciato al buio il secondo e il terzo anello, spegnendo tutti i faretti di servizio, e creando uno scenario più intimo e teatrale in occasione della partita in notturna contro la Sampdoria, di domenica 21 giugno.
In Premier League, invece, la ripartenza a porte chiuse è diventato uno spunto per sottolineare l’identità di ogni club e il sistema di brandizzazione della lega: praticamente tutte le squadre hanno installato teloni lungo il primo anello dei propri stadi, riempiti con citazioni dai cori più celebri delle proprie tifoserie, declinati nei colori sociali dei club e alternati con gli sponsor della società.
Nuova Piazza Urbana Digitalizzata?
In ogni caso, è interessante notare che gli accorgimenti di cui abbiamo parlato si inseriscono perfettamente nel solco della rivoluzione digitale che sta investendo gli stadi, sempre più luoghi di intrattenimento a 360° che uniscono architettura, tecnologia e marketing. E non solo perché oltre allo stadio vero e proprio ospitano molteplici servizi, ma anche perché sono sempre più pensati come spazi direttamente connessi con l’esterno.
L’impianto sportivo contemporaneo si sta evolvendo più da semplice stadio a quello che potremmo chiamare nuova piazza urbana. Un luogo, cioè, sostenibile e super-connesso, con l’ambizione di essere un’arena sportiva versatile, che sa adattarsi anche ad attività ricreative diverse. È sotto questa luce che va letta la costruzione di quegli spazi intorno allo stadio, come centri commerciali, auditorium e uffici, che lo rendono qualcosa simile a un vero e proprio “ecosistema architettonico”, doverosamente sostenibile a livello energetico.
Foto di Julian Finney/Getty Images
La sempre più profonda mediaticità dello sport, che si pensava avrebbe allontanato il grande pubblico dagli eventi live, relegandolo alla visione di massa su schermi più o meno piccoli, ha in realtà acuito la necessità del pubblico per l’esperienza dal vivo. Un sondaggio di Live Nation, società internazionale leader nella promozione di eventi e spettacoli, proposto nel 2018 su un campione di 22.500 persone fra i 13 e 65 anni d’età (in 11 Paesi diversi), ha fornito riscontri molto chiari in questo senso: il 66% si è detto “affamato di eventi dal vivo, che permettano di condividere emozioni con le altre persone” e il 73% ha dichiarato che “ora più che mai, gli eventi dal vivo sono la cosa più eccitante e divertente possibile” rispetto alle possibilità offerte dal digitale.
Ecco dove la pandemia ha creato un incredibile (e affascinante) paradosso: siamo costretti a rimanere fuori dai luoghi di aggregazione per eccellenza, gli stadi e le arene, ma possiamo rimanere connessi a loro proprio grazie alla tecnologia sempre più potente della quale questi luoghi si sono dotati.
Non è un caso che la tecnologia venga sfruttata proprio per migliorare l’esperienza del tifoso, e non per separarlo da esso. La connettività 4G (e ormai 5G) permette soluzioni sempre nuove. Nel 2018, ai Giochi Olimpici Invernali di PyeongChang, ad esempio sono state rese disponibili in tempo reale le immagini della visione VR dal punto di vista degli snowboarder in gara, direttamente sui dispositivi mobili dei tifosi. Le app ufficiali per smartphone, in questo senso, sono il mezzo che collega in modo più diretto il tifoso allo stadio e alla sua squadra del cuore.
Un altro esempio è quello del Manchester United, che ha deciso di installare a Old Trafford un mosaico di volti dei propri tifosi lungo tutta la tribuna centrale: per farlo, ha promosso l’iniziativa tramite l’app ufficiale, a cui i tifosi hanno inviato la propria foto. Sono arrivati selfie da oltre 40mila tifosi dei Red Devils, sparsi in 190 Paesi del mondo.
Queste sono soluzioni che potrebbero essere adottate sempre più in futuro, calcolando quanto i club puntino ormai sulla propria tifoseria globale, oltre che quella radicata nella città di appartenenza del club. Una presenza fantasmatica che fa pensare al celebre coro “We’re not really here” dei tifosi del Manchester City, riportato in questi giorni sui teloni in tribuna: “Ci siamo, anche se non siamo davvero qui”. Una realtà che si andrà probabilmente ad integrare con quella che conosciamo già, e non a sostituirsi, perché il pubblico continuerà ad avere voglia di vivere gli eventi di persona, forse ancora di più una volta capito come convivere o superare la pandemia di Covid-19.
La tecnologia, in realtà, può avvicinare i tifosi ai club, soprattutto quelli sparsi in giro per il mondo, e continuerà a farlo, garantendo soluzioni interessanti per superare gravi periodi di emergenza. Gli stadi, già prima della pandemia di Covid-19, erano diretti a trasformarsi sempre più in “arene digitali”, sia nelle soluzioni tecnologiche adottate al loro interno che nella loro concezione come luoghi aperti e connessi sempre più verso l’esterno e l’esperienza dei tifosi da casa. Adesso, però, questo trend si è trasformato in realtà ed è improbabile che non lascerà segni anche sul futuro.