C’è un proverbio togolese che recita: «Ogni rinoceronte è fiero del suo corno». Il corno, Emmanuel Adebayor, ce l’ha nella testa. Non sulla testa: le acconciature per le quali è celebre sono un imbellettamento, la facciata pop di un uomo fortunato nella sfortuna, ricchissimo in un paese poverissimo, un ossimoro con le treccine. La forza e il fascino di Adebayor sta tutta nei pensieri, e nei demoni che li infestano. Nell’aura da Messia vessato, nell’attitudine da rinoceronte sedato che ciononostante trova la maniera di rialzarsi e caricare i cacciatori di frodo che lo aspettano a fucili spianati.
Adebayor è la Vendetta che smette i panni della Pigrizia proprio nell’istante in cui stai scrollando il capo per la rassegnazione.
Pubblicazione di Emmanuel Adebayor.
Infanzia: Lomé. Gioventù: Metz. Adolescenza: Monaco, Principato di (1984 – 2006).
A Kodjoviakopé, suburbia malfamata di Lomé, capitale del Togo, trovi di tutto: spacciatori, ubriaconi, gente che si spara per strada, che fuma sugli scalini di fango coi piedi nella polvere. Emmanuel fino all’età di quattro anni non camminava. La madre disperata gli ha fatto fare - letteralmente - il giro delle quattro chiese. E in ognuna erano preghiere.
La storia della domenica mattina in cui, mentre è sdraiato sul pavimento di una chiesa, all’improvviso si alza e rincorre un pallone rotolato dal portone d’ingresso ha l’odore nauseante, dolciastro e malmostoso della carne che imputridisce sui banchi dei mercati africani, della frutta tropicale troppo matura e delle leggende che sembrano un po’ forzate.
Il rinoceronte che nasce senza corno fa notizia, eppure Ade finisce per tirare calci a un pallone per strada come tutti. Solo, ha più ore libere per farlo: il tempo del gioco in Africa è un tempo dilatato, una vertigine spazio temporale che finisce solo quando viene risucchiata dallo sguardo di un osservatore europeo.
Francis De Taddeo, l’allenatore del Metz, lo nota in un torneo in Svezia. A quindici anni lo porta in Francia, lo lascia maturare nelle giovanili, due anni più tardi lo fa esordire in Ligue1: non è neppure maggiorenne. Porta le treccine equidistanti dal centro della testa, morbide come un anemone.
De Taddeo gli lascia un consiglio banale, un consiglio che ci si aspetta un adulto tramandi a un giovane: «Non montarti mai la testa». Per Ade significa «non dimenticare da dove vieni né dove vai». Per quanto retorico.
Pubblicazione di Emmanuel Adebayor.
A 19 anni il Principato deve sembrargli il Paradiso in terra. Tutto quello sfarzo, quel benessere, quel lusso ostentato. Non somiglia neppure un po’ a Kodjoviakopé. Ci arriva nell’anno in cui i monegaschi, sfidando ogni pronostico, si spingono così in là da giungere a giocarsi la finale della Champions League a Gelsenkirchen, contro il Porto di Mourinho.
Passano due stagioni, poi un’altra mezza: gioca poco, segna in maniera più che proporzionale. Arsène Wenger, che ha il vizio (e la lungimiranza) di scovare i suoi prospetti preferiti nel Monaco, punta il dito verso di lui.
Passare dal Metz al Monaco all’Arsenal è come prendere un treno dall’agropontino a Roma e attendere una coincidenza per Milano. L’odore che emana l’emozione del viaggio, di lacca frammista a cera, è lo stesso che si può sentire passeggiando da Largo dei Laziali a Piazza dei Cinquecento, lungo la Stazione Termini a Roma, se costeggi i negozi di parrucche afro.
Il salto dalla Ligue1 alla Premier League capita giusto a sei mesi dalla prima partecipazione del Togo a un Mondiale. Ogni cosa sembra incastrarsi nel verso giusto, come un’acconciatura ben rifinita.
Pubblicazione di Emmanuel Adebayor.
Togo (2006).
C’è una storiella simpatica che ha raccontato Otto Pfister, il tecnico tedesco del Togo al Mondiale di Germania del 2006. A Marzo Pfister va all’Emirates Stadium per visionare lo stato di forma di Adebayor: tutte le speranze togolesi di fare una figura discreta al Mondiale poggiano sulle spalle di questo ventiduenne che durante le qualificazioni ha segnato più reti di quanto abbia mai fatto nessun calciatore degli Sparvieri.
A fine partita (contro il Liverpool) negli spogliatoi ci sono Pfister, Adebayor e Thierry Henry, che ha segnato una doppietta.
«Hey coach», dice Henry.
«Un giorno o l’altro non sarò più io, ma lui». Poi indica Adebayor.
«Sarà lui il boss qua».
Pubblicazione di Emmanuel Adebayor.
Londra, Vol.1: Arsenal (2006-2009).
A Londra lo chiamano “Baby Kanu”. Oppure “Henry the Second”. Deve raccogliere l’eredità del nigeriano e preparare il terreno affinché l’addio del francese, un anno dopo, possa essere il meno doloroso possibile.
Nella stagione della sua consacrazione, 2007-2008, la butta dentro 30 volte, quasi quanto in tutta la sua carriera da professionista.
Gli Yoruba associano un significato a ogni taglio di capelli. Anche Adebayor, in fondo. L’acconciatura è segno di iniziazione, stato mentale, messaggio agli altri membri della tribù, o ai nemici.
Nel suo primo periodo londinese Adebayor sembra poter fare tutto. Porta un tipo di trecce che in Yoruba si chiamano Kolẹsẹ: partono dalla fronte e corrono longitudinalmente lungo il capo, scavando solchi profondi come quelli che lasciano i pensieri malvagi. Kolẹsẹ significa “senza gambe”. L’alternanza treccia-cute disegna la merlatura di una torre inattaccabile, o una successione di muretti tra il pubblico e i pensieri di Adebayor.
L’anno successivo gioca come se non avesse più le gambe. Quando decide di tagliare le treccine, e la sua precisione sotto porta svanisce, i tifosi lo ribattezzano “il nuovo Sansone”.
L’idillio con i Gunners finisce nell’estate del 2009: il Manchester City lo acquista per 25 milioni di sterline, quasi tre volte tanto quanto era costato a Wenger. Solo una manciata di mesi prima Adebayor ha segnato quello che forse è il gol più bello della sua carriera, una rete importante (1-1 contro il Villareal al Madrigal nella gara d’andata dei quarti di finale della Champions League) quanto sontuosa.
Pubblicazione di Emmanuel Adebayor.
Interlude: Problemi in famiglia (sempre).
Quando sei il vitello d’oro di una famiglia media africana gestire il successo non è facile, e si porta dietro tutto un corollario di problematiche fastidiose. Immagino non sia facile sbarcare all’aeroporto di Lomé e realizzare che ti troverai casa piena di parenti, amici, tutti questuanti.
«Ho un po’ un problema - o se vuoi un grande problema - con la mia famiglia. Quando li vedo, voglio dire: mia madre, i miei fratelli, le mie sorelle. Sono africani: quando hai un po' di successo, loro vogliono tutto. Dicono “Voglio questa macchina, voglio questa casa”, il che è impossibile. E allora tu gli dici “Senti, posso darvi soldi, non è questo il punto, ma non posso darveli come se avessi ancora 15 anni”. Perché adesso sono cresciuto, ho una famiglia, una casa, devo pagare le mie bollette, il mio mutuo, tutto».
Pubblicazione di Emmanuel Adebayor.
«È qui che è uscito fuori il problema: non l’hanno capita. Nella mia famiglia non lavora nessuno. Aspettano che gli dia soldi da spendere. Gli ho detto che così non possiamo andare avanti. Dovete fare qualcosa, se volete i miei soldi».
(il risultato finale dell’acconciatura in giardino, sui divani coi cuscini griffati dai colori della bandiera togolese, è qualcosa che rende Adebayor simile a un broccolo romano, anche se a tavola c’è un’acqua raffinatissima)
Pubblicazione di Emmanuel Adebayor.
Manchester (2009-2011).
Nelle prime tre giornate di Premier League 2009-2010 Adebayor segna una rete a partita. Alla quarta di campionato il calendario mette di fronte Manchester City ed Arsenal. «Quando sono andato via dall’Arsenal dicevano: “Ade è finito, è un calciatore finito.”».
«Il giorno della partita l’appuntamento allo stadio era alle 10.00. Alle 9.30 ero già là. Sentivo i tifosi dell’Arsenal cantare “Tua madre è una puttana. Tuo padre lava il culo agli elefanti.”». «L’unica maniera che avevo per zittirli era segnare un gol ed esultare. Ed è stato esattamente quello che ho fatto».
Nella foto dell’esultanza, forse la più controversa dell’ultimo decennio di Premier League, la sua capigliatura Trono-Di-Spade sembra simboleggiare un perverso delirio d’onnipotenza. O forse è solo che asseconda l’aerodinamica. Oppure a piegarla come giunco al vento sono i boati di disapprovazione dei tifosi Gunners.
«Perché l’hai fatto?», gli ha chiesto Fabrice Muamba (ex centrocampista del Bolton che ha rischiato di morire sul campo e dopo quell’incidente ha deciso di cimentarsi con il giornalismo). «Voglio dire: attraversare tutto il campo. Un campo da calcio è lungo. Eppure hai deciso di farlo, di correre da un estremo all’altro. Perché?».
«Perché sono un essere umano. E ho un cuore, e respiro proprio come tutti gli altri».
Nella sua prima stagione segna quasi una rete ogni due partite. Ma poi sulla panchina del City arriva Roberto Mancini, e Adebayor perde il posto. «Mancini ha sempre fatto di testa sua, quando è arrivato è stato tipo “Non ti voglio tra i piedi, voglio Balotelli”».
«Mi ha proprio detto che la mia percentuale realizzativa non era buona abbastanza per essere un giocatore del City. E io “Ok, se è così googlami. Googlami e guarda quello che ho combinato prima che arrivassi te.”».
Pubblicazione di Emmanuel Adebayor.
Tragedia: Togo (2010).
All’arrivo di Mancini Adebayor non è un giocatore (ma prima di tutto un uomo) tranquillo, in pace con se stesso: ha ancora dentro di sé i fantasmi di quello che gli è successo appena sei mesi prima.
La Nazionale del Togo è in viaggio verso l’Angola, dove deve tenersi la Coppa d’Africa. «Abbiamo visto militari vestiti come se dovessero andare in guerra, è stato un po’ scioccante all’inizio ma ho pensato Ok, è per una questione di sicurezza, è normale: siamo giocatori, stiamo andando a giocare un torneo importante, siamo tipo ambasciatori per gli Africani, è normale tutta questa sicurezza».
Poco oltre il confine, un gruppo di terroristi apre il fuoco contro l’autobus: tre passeggeri muoiono, molti rimangono feriti. «Dopo una cosa del genere ti dici che ogni singolo minuto potrebbe essere l’ultimo della tua vita. Ogni singolo momento: stai vivendo e poi clac, sei morto. Adebayor è finito. Addio. I compagni indossano il lutto al braccio per quanto? Una partita? Poi magari dieci anni dopo stai parlando ed esce fuori un gol “Ah, Adebayor, quel tipo era proprio bravo. Peccato sia morto.”».
Pubblicazione di Emmanuel Adebayor.
Una svolta inattesa: Madrid (2011).
Quando Mancini lo mette fuori rosa, per Adebayor sembra giunta l’ora del crepuscolo. Ma non tutti i tagli fanno male allo stesso modo. I capelli, per esempio, se li rasi si fortificano: da quel taglio sgorga nuova linfa vitale. Mourinho lo chiede per rinfoltire le file del Real Madrid. Quando viene presentato sembra Terence Trent d’Arby: ha dreadlocks che non taglia da tre anni.
Una settimana dopo la presentazione si fa ritrarre con i capelli cortissimi. In segno di rispetto, e come promessa d’impegno.
«Sai cosa? Il calcio è strano. Ero al City e non giocavo, neppure convocato; poi mi sono trovato al Real Madrid, uno dei più grandi club al mondo, a segnare in Champions League, a vincere la Coppa del Re. L’avresti detto?».
Al termine del prestito torna a Manchester. Passa le prime settimane di preparazione della stagione 2011-2012 ad allenarsi con gli under 15. Non la squadra B. Gli Under 15.
Pubblicazione di Emmanuel Adebayor.
Tottenham (2011- ).
Nella prima stagione con gli Spurs, in prestito, Adebayor ha messo a segno 18 retti, è stato il capocannoniere della squadra e tutti sembravano impazzire per lui: i tifosi, i compagni, il tecnico Redknapp. La dirigenza. Che ha deciso di rilevarlo a titolo definitivo.
Poi è arrivato André Vilas Boas, e la fiamma di Adebayor s’è come affievolita, quasi spenta. L’effetto dell’impatto di AVB sull’attaccante togolese è stato quello di una tinta venuta male: tante aspettative, molta delusione. Quasi vergogna a mostrarsi in pubblico.
«Ogni volta che firmi un contratto», dice ancora Muamba, «per le prime cinque partite è tipo “Ade è tutto fuoco e fiamme”. Poi: “Qualcuno ha visto dov’è andato a finire Ade?”.».
«In Africa, quand’ero piccolo, per che giocavo? Non per un contratto. Mi ricordo che giocavo per avere in cambio acqua. Banane. Non giocavo per un contratto. A me piace giocare», risponde Adebayor.
Giocare, andare a Messa e condurre una vita stilosa. Che poi è sempre, in qualche modo, giocare.
Pubblicazione di Emmanuel Adebayor.
«Però in dieci anni di carriera mai una vittoria. Niente».
«Vedi, alcuni giocatori sono fortunati a trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Ci sono giocatori nel Real Madrid o nel Barcellona che hanno giocato pochissimo. Eppure se gli chiedi “Tu cosa hai vinto?”: hanno vinto tutto».
Adebayor, con il Tottenham, non ha (ancora) vinto nulla. Dopo l’esonero di AVB, l’anno scorso, ha messo a segno, con Tim Sherwood sulla panchina degli Spurs, 13 gol in 25 partite: nella prima parte del campionato ne aveva segnato soltanto uno.
Pubblicazione di Emmanuel Adebayor.
Mauricio Pochettino, quest’anno, gli ha affidato il ruolo che nel suo Southampton era di Ricky Lambert: muoversi davanti ai tre trequartisti Lamela, Eriksen e Chadli. Caricare come un rinoceronte. Aprire spazi e mostrare i denti. Perché denti da mostrare Adebayor ne ha ancora. E pure acconciature.
Sarebbe stato felice James Brown, che una volta ha detto «Capelli e denti. Un uomo che ha queste due cose, ha tutto».