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Cosa è successo ad Adrien Rabiot?
17 dic 2021
Il capro espiatorio perfetto dei problemi della Juventus.
(articolo)
10 min
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C’è stato un momento in cui la partita contro il Venezia, per la Juventus, ha preso la forma angusta e claustrofobica profetizzata da Allegri prima del match - «Un campo che nessuno conosce (…). Ci sono quei campi dove tutto sembra più piccolo, stretto». Per questo campo piccolo e stretto, Adrien Rabiot pare avere i piedi troppo grandi e duri. A volte per lui il problema pare essere più anatomico che tecnico, come se avesse delle sporgenze (dei “bozzi”) sui piedi, o fosse davvero troppo pesante per avere un rapporto in qualche modo sensibile con la palla. Quando gli arriva un passaggio banale da riciclare, con un appoggio di piatto semplice per un calciatore di primo livello, Rabiot indirizza la palla sugli spalti. Non è certo una giocata decisiva, nel bene o nel male, ma è uno di quei momenti in cui il tifoso della Juventus a casa sta per cedere alla tentazione di strapparsi gli occhi. Meglio la cecità che continuare a guardare Rabiot che sbaglia questo genere di cose.

Non era la prima cosa brutta della partita di Rabiot, che contro il Venezia - come gli capita nelle giornate più oscure - ha costruito la sua personale camera degli orrori. Primi controlli ruvidi, accelerazioni sgangherate, passaggi sbilenchi. L’impressione, mentre parte palla al piede, che possa distruggere il gioco del calcio stesso, e poi invece si perde in qualcosa di profondamente sbagliato. Controlli palla che sono l’equivalente delle unghie passate sopra la lavagna.

Il campo del Venezia sembrava effettivamente troppo piccolo per Rabiot.

Questi errori ci arrivano negli occhi come pugni, i tifosi della Juventus continuano a pensarci per giorni. Molti di loro sanno che i problemi sono più complessi e generali, ma se proprio si volesse usare il principio della “reductio ad unum”, Rabiot è una buona risposta. Rabiot e il suo contratto da sette milioni e mezzo a stagione, ovviamente.

Adrien Rabiot era stato raccontato in uno dei nostri primi preferiti, la galleria di ritratti che dedichiamo ai nostri amori calcistici - fortunati e sfortunati come possono essere gli amori di una vita. Nell’incipit dell’articolo Oscar Svensson lo descriveva così: «Se vi dicessi che esiste un giocatore alto ed elegante come Marco van Basten, con una faccia da quinto moschettiere, le gambe lunghe di Patrick Vieira e l’audacia di Marco Verratti, vi interesserebbe sapere di chi si tratta?». Oggi questa descrizione non sembra falsa, o iperbolica, sembra proprio riferirsi a un’altra persona, a un altro essere umano, a un altro corpo e a un’altra mente. Era verosimile, allora, eppure non lo è assolutamente per questo Rabiot, che pare un gigantesco carro di carnevale che barcolla sbilenco in mezzo al campo. Non erano diversi i nostri occhi, era diverso Rabiot. I suoi highlights della stagione 2014/15 incorniciano una mezzala efebica, con i ricci scolpiti di Louis Garrel, che attraversava il campo con leggerezza infantile. Le sue partite erano piene di giocate di grande audacia e raffinatezza tecnica, di dribbling in spazi stretti e sotto pressione che sembrano appartenere a un giocatore diverso. Che fine ha fatto quel Rabiot?

Il remake di Le vent nous portera dà un’aria spettrale a questo antico Rabiot.

Ha il torace stretto, le gambe fini. Una versione di essere umano così ridotta di quella attuale che sembra essere solo la larva di Rabiot, prima dell’esperimento genetico che lo renderà il giocatore - l'uomo - che è oggi. È il periodo in cui firma il suo primo prolungamento di contratto con il PSG, dopo un braccio di ferro portato avanti dalla madre. Carlo Ancelotti aveva detto «Rabiot è molto forte per la sua età e ha tutte le qualità per far parte del gruppo fin da questa stagione». Guardate questa prestazione individuale contro il Barcellona: è davvero lui? È lo stesso che ruba palla a Messi con astuzia nell’azione del gol del PSG?

La sua situazione a Parigi è sempre stata instabile e chiacchierata; in un articolo di Eurosport del 2014 si parlava già di un possibile trasferimento alla Juventus. E quando è arrivato in effetti alla Juve, cinque anni dopo, Rabiot ha i capelli lunghi e l’aria più consumata. Un anno prima aveva rifiutato di entrare nella lista di riserva della Francia ai mondiali, guadagnandosi la fama del viziato, del capriccioso, del cocco di mamma. Poi, negli ultimi mesi al PSG, non aveva giocato, fuori rosa per aver rifiutato il rinnovo. Eppure per la Juve sembrava un acquisto sensato, in fin dei conti: Rabiot aveva ventiquattro anni, esperienza internazionale, un talento indiscutibile, almeno per certe cose. Non si era però ancora capito che giocatore fosse, in cosa fosse speciale. Era tecnico in conduzione, ma meno nel primo controllo; forte e veloce, ma senza sapere come usare quella forza e quella velocità. Si diceva che potesse diventare un grande centrocampista incursore, aveva un bel tiro, ma alla fine i suoi gol sono rimasti sempre pochi.

Era uno di quei giocatori di cui si diceva: «Ha tutto, deve solo mettere su chili», poi però Rabiot li ha messo su i chili, chili di muscoli, e tutto il resto è rimasto lo stesso, come se la sua crescita fisica fosse servita a nascondere il limbo tecnico in cui era imprigionato. Nel frattempo, Rabiot ha perso ciò che lo rendeva speciale davvero, le vibrazioni estetiche dei suoi primi anni in cui pareva la cosa più vicina a un attore della nouvelle vague che giocava a calcio. I suoi movimenti si sono arrugginiti, ora Rabiot pare cigolare come l'uomo di latta del Mago di Oz.

Nella conferenza di presentazione ha detto che il suo ruolo preferito era quello di mezzala sinistra, ed è stato accontentato. Lì Rabiot ha ereditato la croce lasciatagli da Blaise Matuidi: mezzala sinistra con pesanti compiti difensivi, che copre tanto campo per compensare i vuoti lasciati da Cristiano Ronaldo. Un ruolo forse troppo tattico per un centrocampista istintivo come Rabiot, che veniva da tanti mesi di inattività e che ci ha messo un po’ a capire qualcosa del calcio italiano. Verso la fine della stagione migliora, e contro il Milan ha segnato uno dei più classici gol dell’illusione, quelli che fanno dire a tutti: «Ecco il vero Rabiot, quello che stavamo aspettando».

A San Siro è partito di corsa dalla propria porta, ha fatto tunnel a Theo Hernandez, per poi mangiarsi il campo avversario con andatura da levriero, i capelli che danzano all’indietro mentre porta la palla con l’esterno sinistro, e poi conclude la corsa con un tiro enfatico di interno sotto l’incrocio dei pali. Un’azione potente ed elegante, in cui Rabiot sembra essersi liberato dai vincoli gravitazionali che lo appesantiscono mentre gioca. Dentro quel gol era possibile vedere un futuro che non si è mai realizzato.

Nell’anno con Pirlo in panchina Rabiot ha continuato ad alternare grandi momenti di supremazia tecnica e fisica a espressioni di inadeguatezza struggente, dolorosa. Nessuno dei due lati dello spettro, però, è capace di descrivere davvero Rabiot come giocatore.

Il suo problema non è né quello di fare grossi errori né di riuscire in grandi giocate. Il problema è tutto quello che sta nel mezzo. Rabiot a volte sembra avere problemi troppo grandi nei fondamentali tecnici necessari per essere un centrocampista. Guardate quest’azione qui sotto, per esempio: la posizione del corpo non è corretta per ricevere, prima non ha mai mosso la testa per osservare i movimenti, e col controllo orientato si preclude la metà del campo. Il passaggio, concettualmente o tecnicamente sbagliato (era un passaggio in profondità?) è solo una conseguenza.

Se a inizio carriera era imprevedibile per il modo in cui spezzava i raddoppi avversari, per i dribbling coraggiosi in spazi ristretti, oggi Rabiot fatica a giocare sotto pressione. Non ha i tempi, i movimenti, la tecnica di un centrocampista. Il che è assurdo, visto che stiamo parlando di un essere umano che sembrava nato per giocare a centrocampo. Fatto sta che ormai sia nella Juventus che in Nazionale viene talvolta confinato sull’esterno, dove i suoi difetti vengono limitati e la squadra può comunque approfittare del suo spirito di sacrificio, dell’attenzione difensiva, della sua potenza fisica. Se ce lo avessero detto sei o sette anni fa non ci avremmo creduto: un centrocampista tecnico e delicato, diventato irrinunciabile solo per una solidità e una sostanza difficili da cogliere. In un'epoca in cui un calciatore francese che gioca in Nazionale è sottoposto a grandi pressioni, è come se Rabiot si fosse concentrato nello sviluppo della parte più visibile del gioco, tralasciando l'intangibile.

Rabiot ha risintonizzato anche il proprio carattere su delle frequenze più modeste: ha gettato via gli abiti del bambino viziato, non fa che parlare del bene della squadra, che può giocare in tutti i ruoli e che l’importante è giocare. Non può più permettersi capricci? Rabiot si è ritrovato in questo strano paradosso: titolare nella Juventus e sempre convocato nella Francia, eppure non considerato all’altezza né dell’uno né dell’altra. Almeno dall’opinione pubblica, come se ci fosse qualcosa di seccante nell’esistenza stessa di Rabiot, o nel suo successo. Gli allenatori lo fanno giocare come se le sue qualità fossero troppo evidenti per essere ignorate, ma al contempo rimangono delusi. Allegri lo ha criticato: «Inutile parlare del potenziale, Adrien deve fare molto di più. Punto». Eppure non lo toglie mai dal campo, facendo impazzire i tifosi bianconeri. Secondo questo articolo di So Foot finora ha fatto «Davvero troppo poco», e poi viene scritta una cosa cruda e perfida: «Il suo rendimento rimane piuttosto mediocre». Lui stesso qualche settimana fa ha ammesso, come per rilanciare le proprie quotazioni, «Non avete ancora visto il vero Adrien».

Nella Juventus Rabiot è diventato un esempio da portare per spiegare la carenza qualitativa del centrocampo. In un reparto più equilibrato e ricco, Rabiot potrebbe magari toccare meno palloni, avere meno responsabilità, mentre così è condannato a mostrare di continuo i propri difetti. La sua cattiva reputazione lo precede, e ne ha alterato la percezione in campo. Ogni errore di Rabiot sembra la causa e l’effetto del precedente, e ci porta a guardare solo una porzione delle sue partite. C’è tutta una serie di giocate che passano inosservate, dimenticate l’istante dopo, come un accidente insignificante. Eppure sono giocate che dimostrano che Rabiot non è uno dei più grandi raccomandati della storia del calcio, e che invece ha un suo talento piuttosto evidente.

Bello questo cambio di gioco, no?

Proprio per questo su YouTube esiste tutto un filone di video intitolato “Rabiot è molto sottovalutato”. Non è difficile trovare una quindicina di grandi giocate da montare. Rabiot rimane un centrocampista muscolare, temibile nei duelli fisici. I suoi numeri difensivi sono di tutto rispetto e offensivamente sbaglia tanto ma allo stesso tempo offre sempre una sensazione di pericolosità con le sue corse incoscienti. Nell’ipotesi migliore, è il centrocampista che abbiamo visto lo scorso anno nel doppio confronto con il Porto in Champions League, quando ha messo insieme un gol e un assist fra andata e ritorno.

Rabiot, insomma, non è “scarso”. Semmai, arrivato all’inizio dell’epoca di decadenza della Juventus, ne è diventato il simbolo. Ogni squadra entrata in una spirale di crisi storica negli ultimi anni, ha trovato il suo capro espiatorio. Montolivo per il Milan, Ranocchia per l’Inter, per parlare solo delle grandi squadre italiane, sono stati negli anni caricati di colpe più simboliche che reali. La loro presenza era la rappresentazione del declino del club, lo scontro tra aspettative e realtà la parabola dei tentativi delle squadre di tornare grandi.

Rabiot - insieme a compagni come Ramsey o Bernardeschi - incarna per tutti le scelte sbagliate della Juve degli ultimi anni: il calciomercato portato avanti per occasioni, i parametro zero ricoperti di soldi, i contratti inestinguibili. I giocatori buoni in astratto, disastrosi nel concreto. Rabiot non è solo un giocatore sbagliato nel contesto sbagliato, è anche un memento perenne degli errori della Juventus. In questo, di certo, paga colpe non sue.

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