Qualche giorno fa ho scoperto che la Red Bull organizzava un torneo competitivo internazionale di Age of Empires II. Fino a pochi mesi fa questa sarebbe stata una notizia inconcepibile, e invece la pandemia di Covid-19 ha reso il circuito competitivo degli esports talmente importante e attrattivo per gli sponsor che nel giro di poche settimane è diventato normale che un grande brand internazionale pensasse fosse una buona idea mettere il proprio nome su un torneo di un videogioco uscito nel 1999 a cui basta un computer con 32 mb di RAM per girare.
Il torneo, concluso il 3 maggio, portava il nome di “Wololo”. Per chi non ha mai giocato a Age of Empires questa specie di verso non significa nulla. Per gli appassionati, invece, evocherà immediatamente ricordi lontani. “Wololo”, infatti, è il suono che emettono i monaci nel primo capitolo di Age of Empires durante le conversioni. Un verso che negli anni è diventato fonte di varimeme, oltre che una sorta di segno di riconoscimento per gli appassionati di Age. Tra cui, come forse avrete capito, ci sono anche io.
Per me “Wololo” è l’equivalente dei ricordi di infanzia degli appassionati di calcio - degli zaini a fare da pali, delle tedesche, dei tornei durante la ricreazione, delle rovesciate sbilenche sul cemento duro dei cortili delle scuole. Capisco che per molti considerare i videogiochi dei veri sport può suonare ridicolo ma dal mio punto di vista uno sport è tale anche per la memoria affettiva condivisa delle persone che lo hanno praticato, a tutti i livelli.
E per me questo significa tornare al tempo in cui con i miei due fratelli andavamo in giro con tre computer che eravamo in grado di montare in pochi minuti ovunque i nostri amici ci dicessero di andare per giocare a Age of Empires II. Quei tre computer non erano dei moderni portatili. Uno, in realtà, non era nemmeno un portatile. Era uno di quei vecchi desktop a torre, privo addirittura della scheda audio e di uno dei due pannelli laterali, tolto brutalmente per poterci lavorare all’interno e migliorarne l’aerazione.
Andavamo in giro con due grosse buste della spesa. In una c’era questo computer desktop scassato e un vecchio monitor in 4:3. L’altra, invece, era dedicata ai cavi: tre cavi dell’alimentazione per i pc, uno per il monitor del fisso, tre cavi ethernet da 10 metri più uno da 5 per sicurezza, quattro mouse (che non si sa mai), un cavo VGA per collegare la torre al monitor, tre ciabatte, una prolunga, due adattatori, due ventole esterne di plastica di quelle che fanno un rumore cane e non raffreddano nulla.
Il nostro equipaggiamento era completato da uno zaino, al cui interno c’erano gli altri due portatili. Uno era un Compaq dell’anteguerra, grigio, con la base altissima, una versione di Windows talmente obsoleta che l’ho rimossa dalla mia memoria, che aveva ormai l'unico scopo di far girare Age of Empires. L’altro era un portatile HP senza batteria, incline al surriscaldamento, quadrato, nero, sottile, in dotazione Windows XP crackato (ovviamente, chi non lo aveva al tempo). Quest’ultimo, nonostante i nostri amici avessero già dei portatili moderni o quantomeno all’altezza dei tempi (stiamo parlando dei primi anni ‘10), era l’unico che aveva una versione di Age of Empires II con la quale era possibile hostare una partita in LAN. Per dirla in termini più comprensibili, su quel pc avevamo scaricato e installato il gioco seguendo tutte le procedure giuste per crackarlo; perciò il gioco non si accorgeva dell’assenza del CD quando andavamo a creare una partita multiplayer e non dava quindi nessun messaggio di errore. Per questo, si era guadagnato il soprannome di Main, un nome che adesso mi sembra incredibilmente poetico.
Il Main era l’unico pc, infatti, che aveva una versione di Age of Empires II in inglese, anch’essa ovviamente crackata, e che per questo poteva creare partite in LAN senza problemi. Tutti gli altri pc avevano invece una versione del gioco diciamo artigianale, di cui non ricordo l’origine.
Sta di fatto che era tutto in una semplice cartella all’interno della quale si trovava il gioco già installato, in italiano, con due file .exe ma solo uno funzionante. Non avevamo la minima idea di come facesse a funzionare e quindi avevamo deciso di mantenere anche il file .exe sbagliato, per evitare di rompere l’equilibrio magico su cui si basavano i nostri pomeriggi. Per evitare che qualcuno si sbagliasse avevamo inserito nella cartella anche un file .txt - una sorta di cartello di ammonimento a cui mancava solo un teschio: “Quello giusto è Age2x1.exe”. Tutta questa cartella pesava circa 500 MB ed entrava in una banalissima pennetta USB. Per giocare, bastava passarsi la pennetta, copia incollare la cartella così com’era sul desktop e fare doppio click su Age2x1.exe. Tecnicamente non ho mai capito come fosse possibile tutto ciò, ho semplicemente ripetuto quel procedimento come un rito religioso per anni.
Una volta dentro, bisognava cercare la partita creata dal Main inserendo il giusto indirizzo IP (solitamente qualcosa come 192.168.0.2, un’altra di quelle sequenze numeriche di cui non conosco il contenuto tecnico ma che nella mia mente sono scolpite come una preghiera).
Il Main, però, non era esente da problemi. Innanzitutto non aveva batteria, quindi per funzionare doveva essere sempre attaccato alla corrente. Sempre. Questo comportava che al minimo errore saltava tutto. Bastava che la spina decidesse per un momento di fare male contatto che la partita era persa per sempre.
Il secondo problema era il surriscaldamento. Il Main tendeva a surriscaldarsi nella parte sinistra (e nei miei ricordi questo dettaglio è diventato talmente importante che adesso penso che tutti i portatili HP si scaldino nella parte sinistra) e poteva raggiungere temperature tali da scottarsi le dita al tocco. Penso seriamente ci si potesse cuocere sopra un uovo. Anche questo lo portava a spegnersi improvvisamente.
Per ovviare a questo problema avevamo inventato questa soluzione: prendevamo quei grossi ghiaccioli blu che si mettono nelle borse frigorifere (magari qualcuno li conosce con il nome di “mattonelle” o con il termine tecnico di “piastre eutettiche”), li mettevamo in una busta di plastica e li poggiavamo sopra e sotto il pc nella zona della ventola, evitando accuratamente che quello posto sopra andasse a premere il tasto di accensione/spegnimento del pc.
Di conseguenza, oltre alle buste e allo zaino, portavamo anche una piccola borsa frigo con quattro ghiaccioletti e due buste di plastica. Quattro e non due perché a metà partita i due ghiaccioletti erano ormai bollenti e andavano sostituiti con i due di riserva che erano ancora nel congelatore. E via così per tutta la sessione.
Eravamo in grado di montare tutto in pochi minuti. A casa di un amico giocavamo addirittura su un tavolo in giardino e dovevamo far passare i cavi ethernet dalla finestra con un complicato sistema di incastri. Una volta trovato il metodo giusto, era questione di pochi minuti.
Di che cosa parliamo
Mi sono reso conto che mi sono fatto prendere la mano con i ricordi di infanzia e che i molti che non hanno mai giocato a Age of Empires II si stanno chiedendo di cosa diavolo si sta parlando nello specifico.
Age of Empires II (per gli amici: Age 2) è un videogioco strategico in tempo reale (in gergo RTS, ovvero Real Time Strategy) uscito per la prima volta nel 1999 come “Age of Empires II: The Age of Kings”. Era il seguito del primo Age of Empires che era soltanto di due anni prima (1997) ma che sembra appartenere a un’altra era geologica. Se il primo Age era ambientato in epoca romana e pre-romana, Age 2 si sposta invece nel Medioevo. Le civiltà che si possono impersonare quindi sono quelle di quel periodo storico: non più Greci, Romani o Ittiti, ma Franchi, Britanni, Saraceni o ancora Goti e Vichinghi, per fare degli esempi.
Il gioco consiste fondamentalmente nell’eliminare gli avversari. Si parte da un centro cittadino con tre abitanti del villaggio e un esploratore, e da lì si deve costruire un esercito per andare a combattere contro i nemici. Dalla prima epoca (l’Alto Medioevo, o Dark Age) in cui praticamente non si può fare nulla se non abitanti del villaggio per raccogliere risorse, si passa poi all’Età Feudale, all’Età dei Castelli e infine all’Età Imperiale. Nei vari passaggi si sbloccano nuove tecnologie, nuovi edifici e nuove unità sempre più potenti.
Il tipo di vittoria più comune è ovviamente la distruzione del nemico che può avvenire in vari modi. Se si gioca in PvP (contro avversari umani), il nostro nemico potrebbe arrendersi non appena capisce di non avere più possibilità di vittoria. Se si gioca contro il computer, invece, per vincere definitivamente la partita bisogna andare a distruggere tutti i suoi abitanti del villaggio, i centri città e gli edifici di produzione delle unità (non serve, quindi, distruggere le case o il fabbro o l’università).
Essendo ambientato nel Medioevo, in Age 2 non troverete gli opliti o i legionari ma altri tipi di unità che fondamentalmente possiamo dividere in cinque rami: la fanteria (formata da soldati con spada o con picca), la cavalleria (divisa in cavalleria leggera, pesante e i cammellieri), gli arcieri (anche qui: arcieri classici o giavellottisti), navi e armi d’assedio. Ognuna di queste unità ha i suoi pro e i suoi contro, ognuna è più o meno forte contro uno specifico nemico. Se la cavalleria pesante (la linea che dal semplice cavaliere porta al paladino) è fortissima contro la fanteria con spada, è altrettanto debole contro i picchieri. I giavellottisti (gli skirmisher o nella versione del gioco in italiano fanteria leggera) sono perfetti per contrastare gli arcieri ma vengono devastati da qualsiasi altro tipo di unità in mischia.
Questo sistema di debolezze a catena genera una quantità enorme di possibili strategie diverse che devono di volta in volta cambiare in base a quella degli avversari. Se sto giocando contro un avversario che fa solo cavalleria, è inutile sviluppare la fanteria con spada ma è meglio mandargli addosso schiere di picchieri. E così lui si doterà di arcieri o spadaccini e lì io dovrò contrastarlo con skirmisher, altra cavalleria o chissà cos’altro.
Ogni civiltà ha poi un’unità unica (o due in alcuni casi) che può reclutare nel Castello a partire dalla terza epoca (l’Età dei Castelli, per l’appunto). Queste unità sono spesso molto forti anche se tendenzialmente molto costose e non è detto che il rapporto “qualità/prezzo” sia sempre vantaggioso. Ad esempio, se per i Persiani fare gli Elefanti da Guerra può sembrare una strategia infallibile vista la loro forza, basta che l’avversario risponda con dei semplici picchieri per mandare in vacca tutta la partita. E dato che un picchiere costa incredibilmente meno di un Elefante da Guerra, ecco che oltre al danno subirete anche la beffa di aver speso molte più risorse degli altri senza aver ottenuto risultati. Ma vi può succedere anche di peggio: se il vostro avversario vi risponde con dei monaci e inizia a convertire i vostri possenti Elefanti da Guerra, a quel punto potete cliccare nel menù in alto a destra e selezionare direttamente “Termina partita corrente”.
Multiplayer
Ad Age 2 oltre alle partite uno contro uno si può giocare a squadre fino a 8 giocatori totali, su mappe sempre diverse con stili completamente differenti che richiedono quindi differenti strategie di gioco che si adattino al contesto.
Quando ancora eravamo nell’epoca in cui internet non era così solido e diffuso come oggi, personalmente ho quasi sempre giocato in single player, da solo contro l’AI. Insieme ai miei fratelli e ai miei amici, in quel periodo abbiamo completato più e più volte tutte le campagne, portando Giovanna d’Arco a liberare la Francia dal dominio britannico o aiutando Saladino a respingere gli invasori Crociati. E ancora abbiamo passato innumerevoli ore guidando l’orda di Gengis Khan alla conquista del mondo o difendendo vanamente (o forse no?) la gloriosa civiltà azteca dall’invasione dei conquistadores spagnoli.
Poi, crescendo, e con internet che è diventato quello che conosciamo oggi, abbiamo scoperto le gioie del multiplayer. Eravamo finalmente entrati in un’età tale che ognuno dei nostri amici più affezionati di Age aveva a disposizione un pc con cui giocare e il più delle volte si trattava di veri portatili. Noi tre, invece, avevamo sempre quei due vecchi portatili di nostro padre - anche lui un vecchio giocatore di Age, fra l’altro -, il Main e il Compaq, oltre al fisso sgangherato che ben presto si guadagnò il soprannome di Tower.
Per anni abbiamo continuato a giocare senza sosta alla versione originale del gioco, con il sistema della pennetta USB che ci passavamo di computer in computer come una reliquia. Piano piano i pc degli altri però iniziavano ad evolversi, spesso rimediando pc usati da congiunti e affetti stabili vari, raramente c’era chi comprava davvero un portatile nuovo. I miei fratelli ed io, invece, continuavamo a conservare con cura i nostri tre computer che in tutti i modi cercavamo di tenere in vita il più possibile.
Erano tre pc scassatissimi, abbandonati al loro destino già da qualche anno. Totalmente inutilizzabili per qualsiasi altra cosa a parte giocare a Pokémon Giallo col simulatore del GameBoy. Chiamammo un vecchio amico delle medie, all’epoca studente di fisica a Pisa, e piano piano li rimettemmo in sesto quel tanto che bastava per reggere un gioco del 1999 che richiedeva una manciata di Mb di Ram e meno di 500 Mb di spazio sull’hard disk. Un altro nostro amico - quello del tavolo in giardino - era invece più attrezzato, tecnologicamente parlando, e aveva la fortuna di avere ben due portatili più moderni di cui uno addirittura nuovo. Un altro aveva un vecchio portatile che il padre usava per lavoro.
Eravamo un gruppo di quelli che oggi forse verrebbero chiamati nomadi digitali, un termine in realtà molto cool e che si applicava poco a noi che eravamo un gruppo di ragazzi sfigati provvisti di pc rimediati rovistando quasi letteralmente nella spazzatura. Ci muovevamo di casa in casa in base alle disponibilità del momento ed era necessario sfruttare al massimo quelle finestre temporali in cui la casa ospitante era completamente libera. Per questo dovevamo rendere il processo di montaggio e smontaggio il più rapido possibile: bisognava muoversi in fretta, entrare, montare, giocare, smontare tutto e sparire prima che tornasse il genitore di turno. Poi ci si spostava di nuovo e si ricominciava con un’altra partita.
Pensavamo di aver raggiunto un buon livello, tanto che ormai riuscivamo a vincere contro il computer anche 2 vs 6 a livello hardest. Non ci piaceva molto giocare in pvp fra di noi, non abbiamo mai avuto questo spirito competitivo che invece è il sale degli esport e degli sport in generale. Preferivamo vincere o perdere tutti insieme, aiutandoci a vicenda. Giocavamo in pvp solo quando eravamo in più di 6 e si riuscivano a fare squadre equilibrate, altrimenti anche lì si organizzavano due partite contro il computer e, che ci crediate o no, si poteva tirare avanti per intere giornate.
Adesso posso parlarne pubblicamente senza che nessuno pensi che sia un totale sbandato, come forse al tempo - quando gli esport erano solo un sogno fantascientifico - qualcuno mi considerava. Ma allora Age 2 ci prendeva a tal punto che spesso ci dimenticavamo di mangiare e tutti finimmo per dimagrire moltissimo (adesso, invece, sono riuscito a conciliare le due cose, per fortuna). Eravamo in grado di giocare ininterrottamente per più di dodici ore allo stesso identico gioco, dalla tarda mattina a notte inoltrata. Ci fu un periodo, in cui nostra madre non c’era, in cui staccavamo i pc alle 6 di mattina, annaffiavamo le piante in terrazzo, tutti a dormire per qualche ora e appena svegli via di nuovo a giocare a Age.
Remastered
Dopo anni in cui questa spirale ossessiva sembrava non dovesse portare da nessuna parte, il mondo ha iniziato a inviarci segnali inequivocabili per farci capire che non eravamo soli. Nel 2015 scoprimmo che su Steam, una piattaforma digitale su cui comprare videogiochi via internet (antesignana di quelle che saranno le piattaforme online delle console, come il PlayStation Network e XBox Live) era uscita nel 2013 la versione rimasterizzata in HD di Age of Empires II, con tanto di espansioni con nuove civiltà, un’intelligenza artificiale di gran lunga migliorata e altre migliorie tecniche che catapultavano improvvisamente il vecchio Age 2 nel mondo moderno.
Circa un mese prima di comprarlo, a ottobre, avevo comprato il primo vero portatile della mia vita, che poi è lo stesso che sto utilizzando in questo momento per scrivere questo pezzo. All’epoca mi sembrava un’astronave: 16 Gb di Ram, 1 Tera di spazio sull’hard disk, scheda video Nvidia Geforce GTX 850M. Oggi è un vecchio carrozzone pieno di polvere che fa un rumore simile a un tosaerba quando lo accendo e la ventola parte a mille non appena apro qualcosa di più pesante di Word. Dovrei aprirlo, pulirlo, togliere la polvere e magari sostituire l’hard disk con un SSD ma, insomma, a questo punto dovreste aver capito come sono fatto.
L’edizione di Age HD fu una rivoluzione: niente più pennette che si passano da un pc all’altro, niente più Compaq, niente più Tower senza scheda audio. Al di là dell’avanzamento tecnologico (comunque relativo in un’era in cui c’erano videogiochi decisamente più elaborati da un punto di vista grafico di Age of Empires II HD), comunque, il dato più rilevante è che quella che pensavamo fosse una nostra follia personale, condivisa con una manciata di amici, in realtà coinvolgeva migliaia di persone. C’era un’enorme comunità di pazzi che continuavano a giocare a quel gioco del 1999. E con Steam si poteva giocare in multiplayer con altri giocatori sconosciuti, fare le partite Classificate, scoprire nuovi mondi. Fu in quel momento che capimmo di essere rimasti fermi per anni, tagliati fuori dal mondo esterno di giocatori di Age che nel frattempo aveva sviluppato nuove strategie.
Usciti dalla nostra bolla abbiamo quindi scoperto qualcosa che da soli non avremmo mai scoperto: eravamo scarsi. Anni di partite in single player ci avevano allenato a uno stile di gioco totalmente obsoleto. Fu questa la cruda realtà che dovemmo affrontare.
Esport?
Quando giochi per una vita a un videogioco pensi di essere fortissimo, di averne esplorato ogni possibilità. Poi ti ritrovi dopo quindici anni di gioco ad affrontare sconosciuti online e perdi miseramente in un modo che non riesci nemmeno a capire. Incontri giocatori che usano tattiche che non avresti neanche immaginato, o che sono talmente rapidi da farti pensare al ritiro immediato per la quantità impressionante di variabili che riescono a gestire contemporaneamente.
Ed è in quei momenti che capisci l’essenza del termine esport: per essere davvero bravo non basta semplicemente “giocare” ma serve allenamento, studio, preparazione. Come un ciclista che fa le ripetute in salita, un tennista che prova il servizio centinaia di volte, allo stesso modo un videogiocatore che vuole diventare forte deve ripetere ossessivamente ogni singolo gesto, fino a limare tutti i dettagli.
C’è anche la teoria, ovviamente, che passa attraverso video di partite su Youtube di giocatori professionisti per carpire ogni trucco o attraverso tutorial online che spiegano ogni dettaglio della partita. Un buon esempio, se siete interessati, è il canale YouTube di “Spirit Of The Law”, che analizza il gioco fino ad arrivare a una profondità inimmaginabile. Arrivando, ad esempio, a farti riflettere su domande all’apparenza banali ma che fanno tutta la differenza del mondo. Tipo: quanto ci mette un abitante del villaggio a costruire una casa? E se ne metto due, quanto tempo guadagno? Quanti picchieri servono per uccidere un paladino?
E poi l’allenamento, che è una cosa totalmente differente dal gioco. Ripetere più e più volte la partenza, prima fino al passaggio all’Età Feudale, poi fino all’Età dei Castelli. Poi imparare a fare le varie rush, come le varie Feudal rush o Dark rush, strategie di attacco che prevedono di andare a colpire l’avversario molto presto, prima che possa essersi preparato, per coglierlo di sorpresa. Si tratta di allenarsi, ripetendo ogni singola mossa fino a renderla un automatismo, un modulo da attivare semplicemente premendo un tasto mentale.
Noi, che pure ci abbiamo speso quasi tutta l’infanzia e l’adolescenza, siamo l’equivalente dei giocatori abituali di calcetto di fronte a un professionista di Serie C.
Qui trovate un video-tutorial sulla “drush” (Dark Age Rush, ovvero un attacco durante i primi minuti di gioco, nell’Alto Medioevo) fatto da Hera, il numero 3 nel ranking mondiale.
La comunità di giocatori di Age of Empires II è diventata negli anni sempre più nutrita, composta sia da vecchi nostalgici che da nuovi appassionati. Attualmente, il numero 1 al mondo è indiscutibilmente “The Viper”, cioè Ørjan Larsen, norvegese classe 1991 attualmente al decimo anno di attività. The Viper ha iniziato a 19 anni, cioè nel 2011, quando vincere un torneo online ti garantiva un premio di qualche centinaio di dollari. In questi primi mesi del 2020 ha già incassato più di 25mila dollari in premi.
Una crescita che è stata ovviamente aiutata dal ritrovato interesse di Microsoft Games nei confronti della serie dopo il clamoroso flop di Age of Empires III, uscito nel 2005 con grandi aspettative puntualmente e brutalmente disattese. Dopo la versione HD del 2013, che rimette insieme dando loro un tono e un senso generale alcune delle migliori mod uscite negli anni, è infatti uscita la Definitive Edition nel 2019. Un evento che ha fatto impennare i premi dei vari tornei di Age of Empires II e che ha destato l’interesse sul gioco della Red Bull che proprio in questi giorni ha dato il via al “suo” torneo, il Wololo per l’appunto, con un prize pool di 20mila dollari. Che, in realtà, è meno della metà dei 50mila del torneo più ricco al momento, e cioè la Hidden Cup.
Wololo
Nonostante questo, il fatto che dietro ci fosse la Red Bull ha ovviamente fatto impennare l’interesse intorno al movimento: il numero di condivisioni sui social è letteralmente esploso, il video dell’ultimo giorno di gare ha già abbondantemente superato le centomila visualizzazioni e la diretta delle partite della finale è stata vista da oltre cinquantamila persone. E in particolare, tantissimi vecchi appassionati hanno riscoperto questo gioco o in qualche modo hanno scoperto che tanti altri, intorno a loro, non l’avevano mai del tutto abbandonato.
Noi stessi, col solito gruppo di vecchi amici, ci siamo dati appuntamento per guardare le semifinali e la finale. A sfidarsi, senza grandi sorprese, erano i primi quattro pro-player del ranking mondiale: da una parte TheViper contro Hera, dall’altra Liereyy contro Mr Yo.
Liereyy è un giovane giocatore austriaco che da poco tempo si è affacciato nel mondo dei grandi di Age e ha subito dimostrato di aver studiato a fondo ogni aspetto del gioco. In particolare, è universalmente considerato il miglior player nella gestione delle micro e uno dei migliori rushatori del panorama. Mr_Yo invece è un esperto giocatore cinese, vecchia scuola, un robot quando c’è da gestire più fronti, fastidiosissimo nella sua strategia di piazzare castelli in faccia al nemico (una strategia che è molto cara ai giocatori più anziani come DauT, meno in voga fra i più giovani).
C’è da dire, per comprendere la dinamica delle sfide, che per questo torneo gli organizzatori avevano scelto un’impostazione specifica, la Empire War, che prevede la partenza già in Età Feudale e quindi con un’economia avviata e delle costruzioni base fatte. Inoltre, dopo 55 minuti di partita, se nessuno dei due fosse riuscito ad avere la meglio, la partita si sarebbe interrotta e avrebbe vinto chi aveva il punteggio più alto (perché il videogioco assegna un punteggio ad ogni singolo evento come ogni unità uccisa in base alla percentuale del costo di produzione, ad esempio).
La finale (al meglio di 7) fra Mr_Yo e TheViper è stata sorprendentemente a senso unico. Mr_Yo ha da subito preso il sopravvento e ha rifilato un clamoroso 4-0 al numero 1 del mondo. In tutte e quattro le sfide, il cinese è riuscito a sorprendere TheViper con attacchi immediati, rapidi e variegati. Anche quando TheViper riusciva a trascinare la partita più avanti nel tempo, Mr_Yo rispondeva continuando a pressare e mettendo ancora una volta in mostra tutta la sua capacità di colpire contemporaneamente in più punti diversi della mappa.
Nonostante questo, TheViper resta il numero 1 al mondo. Mr_Yo ha semplicemente giocato meglio di lui sulla sfida singola, sfruttando i suoi punti di forza e le possibilità della Empire War. Per sua stessa ammissione è stato avvantaggiato dall’aver potuto studiare la strategia di TheViper nelle semifinali contro Hera e studiare le giuste contromosse. In ogni caso, questa nuova modalità di gioco, la Empire War, se da un lato è molto spettacolare, dall’altro toglie una parte fondamentale del gioco, ovvero lo sviluppo della propria civiltà nella Dark Age.
«Si può dire che ho vinto molte delle mie partite semplicemente facendo una Dark Age migliore [rispetto al mio avversario, nda]», ha scritto lo stesso TheViper in un lungo post in cui racconta come è diventato il giocatore che tutti oggi conosciamo. È infatti in questa prima Era del gioco che si iniziano a costruire tutte le strategie future, che si può provare a impostare un rush per rallentare lo sviluppo dell’avversario e via dicendo. Tagliare la Dark Age, come ha detto anche Mr_Yo nell’intervista post-partita, significa amputare un pezzo del gioco e non è detto che la spettacolarità compensi con la perdita di questo aspetto tecnico.
Quel che è certo, comunque, è che anche attraverso l’iniziativa della Red Bull, Age of Empires è uscito dal suo piccolo guscio e si sta affacciando a un pubblico sempre più ampio.
Una community in crescita
Dall’aprile 2013, data di uscita della versione HD, su Steam siamo passati a una media nei primi sei mesi (da maggio a ottobre, togliendo il picco del lancio ad aprile) di 1934 utenti attivi giornalieri agli 8807 considerando lo stesso periodo dell’anno nel 2019, ovvero nei mesi precedenti all’uscita della Definitive Edition. Quest’ultima edizione si è subito stabilita molto più in alto rispetto alla precedente: da quando è uscita (novembre 2019) a oggi, il numero di utenti medi giornalieri (solo su Steam) è stabilmente sopra i 10mila ogni mese, con un picco negli ultimi trenta giorni ovviamente dettato dalla situazione attuale che lo pone stabilmente fra i primi 50 giochi più popolari su Steam (ma se sommiamo i giocatori della versione HD arriviamo ampiamente fra i primi 25).
Siamo ovviamente molto lontani dai numeri fuori scala dei giochi più in voga del momento, ma come abbiamo già avuto modo di osservare si tratta comunque di numeri incoraggianti per un titolo che sembrava morto ormai tanti anni fa.
Ormai la scena competitiva degli esport ci ha insegnato che a prevalere non sono i videogiochi più realistici, quelli con una grafica migliore, ma quelli che hanno dinamiche complesse, su cui si possono elaborare strategie che portano centinaia di persone a spaccarcisi la testa sopra. E anche se nessuno l’avrebbe detto fino a qualche anno fa, anche per i videogiochi davvero l’età è solo un numero. Come per League of Legends, tanto per fare l’esempio più famoso, alla fine quello che conta è la quantità di persone che riesce ad appassionare, a volte per ragioni apparentemente imperscrutabili.
Alla fine per la nostra generazione, cioè quella cresciuta orientativamente tra gli anni ‘80 e ‘90, i videogiochi hanno lo stesso valore emotivo di tutti gli altri sport. Soprattutto quelli che ci danno l’illusione, ancora oggi, di poter uscire dal mondo per un attimo e guidare la cavalleria dei Franchi alla riconquista di Orléans.