Botic van de Zandschulp qualche mese fa pensava di ritirarsi dal tennis professionistico. Il suo corpo, lo strumento del suo lavoro, aveva sempre funzionato bene, finché i problemi non hanno cominciato a rovesciarglisi addosso all’improvviso. Una micro-frattura al piede sinistro, poi una distorsione alla caviglia sinistra, poi - ancora - un’infezione al piede destro. È come se una maledizione avesse iniziato a infiltrarsi nel suo corpo risalendo dai suoi piedi.
A maggio si giocava il Roland Garros, lui perdeva nettamente in tre set da Fabio Fognini e pensava di farla finita. Si era presentato ai microfoni a pezzi, «La peggiore partita della mia vita» l’ha definita, in un’intervista frammentata in frasi brevi e di una tristezza fulminante. Stai pensando di smettere? Gli chiede l’intervistatore; lui si gratta la nuca e risponde «Chi lo sa, chi lo sa. Sicuramente è una cosa a cui sto pensando». In quella intervista aveva descritto un quadretto inquietante. La situazione di qualcuno che non riesce più a reggere le pressioni della vita di un tennista di alto livello: «Vorrei giocare meno partite, ma oggi tutti giocano 30 settimane e se giochi di meno qualcuno ti supererà. Non so, sono pensieri che non faccio da oggi ma da sempre. È una lotta». Il tennis per uno come van de Zandschulp è una lotta.
Eppure aveva 28 anni, un anno prima era stato numero 22 del mondo: un tennista senza acuti ma molto costante.
Non è mai stato, però, un tennista fortunato. In molti credono che il suo declino non fosse iniziato con gli infortuni, ma con una sconfitta terribile ad aprile del 2023. Si era qualificato alla sua seconda finale consecutiva a Monaco di Baviera e stavolta voleva giocarla: l’anno prima, contro Holger Rune, era stato costretto a ritirarsi per problemi fisici. Ora ritrovava lo stesso avversario. È stata una delle più dolorose sconfitte che vi sarà capitato di vedere.
Van de Zandschulp ha servito due volte per il torneo, e per due volte si è fatto strappare il servizio. Nel mezzo si è fatto annullare 4 match point. Uno al termine di uno scambio interamente dominato, a cui Rune si è aggrappato con una resistenza velenosa. Rune giocava sempre più indietro, limitandosi a rimandare la pallina di là, e aspettando che van de Zandschulp crollasse sul peso dei propri rimpianti.
Una sconfitta così bruciante che persino un villan come Rune si è sentito di consolarlo sui social: «Arriveranno le cose belle», e invece i suoi piedi e le sue caviglie hanno cominciato a frantumarsi, e lui è arrivato sull’orlo del ritiro, forse defilandosi in una silenziosa carriera da doppista - specialità in cui eccelle.
Le cose belle sono arrivate un anno e mezzo più tardi, inaspettatamente, in un 2024 che sembrava finora l’anticamera del ritiro. Dopo un Wimbledon anonimo van de Zandschulp si era nascosto tra Challenger e tornei minori, mantenendo come costante le finali perse, anche contro avversari impossibili come il belga Collignon.
Questa è la strada che ha portato Botic van de Zandschulp a battere Carlos Alcaraz ieri notte al secondo turno degli US Open, e forse ora capirete qualcosa in più di quella faccia appesa, quasi completamente inespressiva, che ha sfoderato dopo il match point. La vittoria più importante della sua carriera, celebrata annullando le proprie emozioni: qualcosa di molto olandese, direte. Più semplicemente un uomo che ne ha viste troppe per godersi davvero la felicità. «Tutti hanno brutte giornate, ma quando queste brutte giornate diventano troppe devi metterti in discussione» aveva detto due anni fa, l'Emil Cioran del circuito ATP.
Ha giocato una partita incredibile: piena di energia e vitalità. Ha ottenuto il break al primo turno in risposta e in quel game ha giocato un punto assurdo, quello che lo ha mandato alla palla break. Si è difeso con due pallonetti disperati, ha retto tutte le diagonali, ha cambiato ritmo con una palla corta, ha vinto lo scambio di tocco a rete.
Non era immaginabile che van de Zandschulp riuscisse a tenere lo scambio da fondo con Alcaraz con quella autorità. È sempre stato un tennista completo, che nelle buone giornate sa giocare bene da entrambi i lati e non ha punti deboli evidenti. Nessuno però poteva immaginare van de Zandschulp giocare così bene gli scambi difensivi, riuscire a tenere tutte le diagonali, ribaltare gli scambi con quella facilità. Durante gli US Open del 2021, quelli delle sua rivelazione, aveva battuto due fenomeni difensivi come Diego Schwartzmann e Casper Ruud. Ci era riuscito pur non avendo un colpo a cui chiedere molti vincenti, e con un servizio lento, ma con una bella solidità all around, e giocando con pazienza e intelligenza. Sa variare, venire a rete, giocare di fino. A van de Zandschulp piace comandare il gioco, non si muove così bene per vincere partite in cui viene costantemente attaccato - e da un attaccante del livello di Alcaraz. Per questo la sua partita è così sorprendente.
Alcaraz ha perso il primo set 6-1 ed era legittimo aspettarsi una reazione. Può capitare anche a giocatori del genere di avere un pessimo approccio - tecnico, tattico e mentale - alle partite. La differenza la fa la reazione. Alcaraz, però, quando finisce in una situazione spiacevole per il suo tennis, va in crisi. Fatica a rimettere in piedi le partite se non sente bene la palla.
Alcaraz nelle giornate negative di solito diventa il re della dispersione, e per quanto anche ieri abbia sbagliato tanto (27 errori a fine partita) la sua è sembrata una partita soprattutto scarica. Poco servizio, pochi vincenti, nessuna capacità di individuare pattern di gioco chiari attraverso cui fare punto. Ha tenuto una media appena sopra il 50% di prime per i primi due set. Nel terzo van de Zandschulp si è fatto strappare il servizio mentre serviva per il 4-2. Sembrava il prologo della classica rimonta, soprattutto perché era stato un game combattuto, su cui van de Zandschulp aveva lasciato tante energie.
E una volée spaziale come questa.
Alcaraz sembrava aver preso una bella inerzia emotiva e dopo aver vinto uno splendido punto sul 4-3, insidiando il servizio avversario, ha chiamato il boato del pubblico. Van de Zandschulp ha resistito e Alcaraz è sembrato arrendersi, come se tutte le sue speranze passassero ormai per quel game. Nel turno di servizio successivo si è fatto breakkare con una rapidità che solo lui conosce - giocatore sempre blitz, nel modo in cui vince o perde. Questo errore di dritto a inizio scambio ormai abbiamo imparato a riconoscerlo: è Alcaraz che si sottrae dalla partita.
Ascoltando le rispettive conferenza stampa post-match, la differenza è sembrata essere il diverso stato emotivo dei due giocatori. «Ho giocato bene perché sono stato emotivamente stabile in tutta la partita» ha detto l’olandese, mentre Alcaraz ha parlato di “confusione”. Un termine che in effetti descrive bene il disordine disastroso del suo tennis, che nelle giornate negative diventa la cameretta di un adolescente. «Oggi stavo combattendo contro me stesso e la mia mente. Tante emozioni che non riuscivo a controllare. Vincevo dei punti e mi gasavo. Dopo perdevo dei punti e mi buttavo giù». Non è la prima volte che succede ad Alcaraz, anche se questa partita arriva a confermare un momento negativo iniziato a Cincinnati, con la terribile sconfitta rimediata da Monfils, e impreziosita da quello spettacolare sfascio di racchetta. La sconfitta con Djokovic ai Giochi ha davvero lasciato strascichi?
Nel tennis è importante riuscire a vincere una partita anche contro le forze avverse, e mentre tutto sembra girare male. È uno sport che concede solo raramente ai tennisti di sentirsi bene, per quanti sforzi di programmazione possano fare, per arrivare in forma ai tornei più importanti. Interviene sempre qualche agente esterno a incasinare le cose. Ad Alcaraz non piace quando gli si pasticcia la situazione attorno, e non può più giocare sulla spinta della sua felicità, tirare vincenti, sorridendo, a tutto campo - trasformare il tennis in una sua esibizione. Può anche vincere lottando, purché stia giocando bene.
Questo difetto, questa scarsa resistenza, non permetterebbe a nessuno di fare una buona carriera, mentre Alcaraz ha già vinto quattro Slam. Questo la dice lunga su quanto sia comunque forte. Sono sconfitte che a 21 anni fanno parte del processo di crescita, ma è possibile anche che siano il fisiologico rovescio della medaglia: se Alcaraz gioca con quella qualità sfrenata nelle giornate buone è forse anche per la spinta del rimbalzo da queste negative. L'alternanza fa parte della sua eccezionalità. Alcaraz avrebbe probabilmente bisogno di controllare di più il suo tennis, per trovare una costanza ancora maggiore (e sottolineo ancora maggiore, visto che prima di questa sconfitta veniva da 15 vittorie consecutive negli Slam) e per non vivere questi vuoti. Forse, però, un maggiore controllo avrebbe un prezzo. Sono speculazioni, mi rendo conto: vedremo. A 21 anni sembra solo il dazio alla sua precocità.
Di certo questo momento è sinistramente simile a quello vissuta un anno fa, quando dopo la sconfitta a Cincinnati con Djokovic visse una fase di declino e disordine, di risultati e di gioco. Per questo ai microfoni Alcaraz ha detto di conoscere quella sensazione, in cui il tennis sembra remargli contro: «Ogni volta che mi sento così poi mi dico di imparare dalla sconfitta. Di pensare quello che successo. Ora però mi viene da pensare che non riesco a cambiare. E questo è il problema. (…) Non riesco a cambiare le partite, non riesco a tirarmi su».
Van de Zandschulp giocherà al terzo turno contro Jack Draper. La sua lotta contro il tennis non è ancora finita.