Alen Amedovski è un fighter che ha dovuto aprirsi la strada fra gravi infortuni e ostacoli non comuni nel corso della sua carriera. Personalmente lo seguo da quando il suo record era di due vittorie e nessuna sconfitta, eppure persino per me è difficile classificarlo: Amedovski è un fighter aggressivo dalle mani estremamente pesanti, e questo se non altro lo confermano i suoi ultimi due incontri, in Bellator, durati complessivamente un minuto e cinquantuno secondi.
Amedovski ha ritrovato recentemente la sua strada dopo essere rimasto fuori scena per ben tre anni, per via dei citati gravi infortuni e di contrattempi che ne hanno ritardato l’esplosione definitiva. Non combatteva dal 2015 e da quando è tornato, solo nel 2018, ha già combattuto e vinto tre incontri, un periodo finalmente d’oro coronato con il contratto UFC, in cui arriva con un record di 8 vittorie (tutte arrivate per KO o TKO) su altrettanti incontri.
Adesso Amedovski ha 30 anni e si trova davanti la più grande opportunità della sua vita. Quando lo intervisto parliamo principalmente di questo, ma anche delle difficoltà che ha dovuto superare per arrivare dov’è ora, e di come ha fatto per tenere duro tutto questo tempo.
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L’ultima presenza di Amedovski nell’ottagono. Come si dice, breve ma intensa.
Arrivi in UFC con un record di 8-0 in carriera. Che effetto fa essere la “next big thing” nei pesi Medi in Italia, la stessa categoria di Di Chirico e Vettori, in cui l’Italia ha più rappresentanti in UFC?
Non so che dire su questo punto, io seguo solo il mio viaggio. Ci siano o meno anche loro, a me cambia poco.
Ok, raccontami l’inizio del viaggio.
Ho iniziato a fare pugilato all’età di 16 anni. L’ho fatto per quattro anni, non ho mai combattuto, lo facevo solo per piacere personale. Prima ancora facevo rugby, ma ero insoddisfatto, volevo praticare uno sport più particolare. A 20 anni mi sono ritrovato a vedere i video di Tito Ortiz e Mark Coleman e ripetevo a me stesso che prima o poi avrei provato. E dire che da bambino le prendevo sempre (ride, ndr)! Ho preso tante botte da bambino, mi sono fatto le ossa a forza di prenderle. Fino a sette anni ho vissuto in Germania, poi sono tornato in Macedonia (dove è nato, ndr) e mi sono ritrovato 'sti ragazzini slavi matti per cui dovevo fare a botte due, tre volte al giorno per salvarmi la pelle. Ho vissuto in Macedonia fino ai 10 anni e poi mi sono trasferito in Italia.
Com’è arrivata la chiamata della UFC? E cosa cambia rispetto a Bellator per te?
Quando ho iniziato a lavorare con Alex Dandi (promoter, agente e commentatore di UFC e dei principali Bellator in Italia, prima su Fox ora su Dazn, ndr), credo lui abbia proposto a qualche suo atleta il match con Will Fleury. Inizialmente con Alex non ci stavamo molto simpatici, ma lui mi propose di firmare e mi disse che se avessi firmato mi avrebbe portato in Bellator l’indomani. Gli dissi «affare fatto». Mancavano cinque settimane al match. Dopo l’esordio in Bellator molti promoter si sono fatti avanti, ma io me ne sono fregato, ho dato ascolto a Dandi. Dopo la vittoria con Fleury hanno chiesto una conferma, l’hanno avuta (con la successiva vittoria, sempre in Bellator, contro Ibrahim Mane ndr) e mi hanno preso.
Sei il primo fighter italiano con alle spalle un’agenzia italiana (ITFM, appunto, di Alex Dandi).
Io e Dandi siamo diventati molto amici, siamo cresciuti anche insieme in questo senso. È stata la possibilità della vita per entrambi, credo. È molto importante per me e sono contento per Alex, questo è il suo premio. Il mio premio è a un livello più personale: dieci anni fa, nella mia testa, volevo andare in UFC. Ma sono un tipo scaramantico, se dico una cosa poi non si avvera e quindi me la tengo dentro.
Da quando sei arrivato in Italia? Hai la nazionalità?
Sono arrivato circa a 10 anni in Italia, anche se non ho mai chiesto la nazionalità. In UFC porterò tutte e due le bandiere, sia quella macedone che quella italiana: l’Italia è quello che mi rappresenta, sono cresciuto qui, credo che la mia mentalità sia un po’ più italiana. Fossi rimasto lì, gli obiettivi magari sarebbero stati diversi.
Hai avuto a che fare con duri infortuni in carriera, che ti hanno tenuto fuori tre anni quando tu, di anni, ne avevi già 27. Come hai vissuto in quel periodo?
Nel primo match in Bellator (quello sopracitato contro Will Fleury, dello scorso luglio ndr) mi ero infortunato al gomito. In quello precedente avevo subito un taglio alla gamba e presi un’infezione. Il dottore mi disse che se non l’avessi curata bene avrei rischiato l’amputazione. Non potevo prendere l’antibiotico perché mi avrebbe tagliato il fiato... andavo avanti con l’argento colloidale che non mi faceva un cazzo. Ho fatto quel match su una gamba sola. Prima, contro Badr Mamdouh (lo scorso marzo ndr) mi sono rotto le costole a 10 giorni dal match. Magnetoterapia, sei giorni a casa, sono tornato e nell’ultima settimana ho fatto solo cyclette e sono andato a fare il match. Mamdouh sarebbe caduto in dieci secondi se fossi stato al massimo (invece è caduto a inizio del secondo round, ndr). Non voglio fare lo sbruffone, ma io non c’ero proprio lì, avevo due costole rotte. In ogni caso Mamdouh ha tutto il mio rispetto, ha preso un match che in molti non volevano.
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Un post condiviso da Alen Amedovski (@alen_amedovski88) in data: Gen 17, 2019 at 9:57 PST
Nelle MMA se non si combatte non si guadagna e non si può neanche essere sicuri del proprio livello. Tu hai parlato di un periodo molto duro in cui vivevi con 5 euro al giorno.
Dopo essermi sposato, mio suocero mi ha trovato lavoro in una fabbrica a Bassano. Prima di entrarci avevo già accettato un match allo Slam FC (promotion italiana, ndr). Nel frattempo facevo degli extra e continuavo ad allenarmi, non ho mai accettato di avere un lavoro fisso perché mi avrebbe obbligato a mollare gli allenamenti: pur di continuare ho fatto due anni alla Folletto, quella degli aspirapolveri.
Tornando alla fabbrica, dopo due mesi ho capito che non era il mio posto. Facevo dalle 12 alle 14 ore al giorno, poi tornavo a casa ed ero totalmente insoddisfatto. La mia vita era triste, avrei potuto anche guadagnare diecimila euro al mese, ma stavo pian piano perdendo la mia identità. Una sera ho guardato la mia caporeparto e le ho detto: «Domani io e te ci vediamo, riconsegno i guanti e vado fuori dai coglioni». Lei mi fa: «Sì, sì, come no!». L’indomani torno, ringrazio, consegno i guanti e lei mi dice: «No, non puoi andartene così!».
Il proprietario della fabbrica aveva vinto tre volte il titolo mondiale di triathlon e le fa: «Lascia andare il ragazzo, so cosa sta provando». Mi ha fatto gli auguri per tutto, mi ha detto: «È questo che devi fare». Un altro dirigente mi ha dato dello stronzo, ma mi ha anche dato soddisfazione, l’altro giorno mi ha scritto: «Altro che fare canederli! Tu questo devi fare!».
Perché eri lontano da tua moglie e tuo figlio?
Io l’anno scorso ero a Cecina, in provincia di Livorno. Mi sono fatto un anno al Khalid Fight Team dormendo in uno stanzino dentro la palestra, con nessuna comodità. Ma questo mi ha aiutato, mi ha fortificato e ringrazierò sempre il Khalid Fight Team per tutto quello che hanno fatto per me, se oggi sono dove sono è anche grazie a loro. Stavo lì, preparavo il match e tornavo a casa dopo l’incontro. Appena due settimane e andavo via: ho fatto praticamente un anno così. Ora sono a Roma, all’American Top Team con Sakara. È stato un mio grande idolo, Alessio, lo chiamai e gli chiesi se potessi aggregarmi a loro e lui mi accettò subito. Nell’ultimo match in Bellator, Alessio mi ha chiamato e mi ha caricato molto.
Questo periodo “sfortunato”, come lo hai descritto, ti ha cambiato come fighter?
Beh sì. Ho insegnato per due anni. In quel periodo ho capito che non insegnerò mai più a nessuno. Mentre insegnavo, ho continuato a imparare. Mi sono operato allora, due giorni dopo ero già in palestra. Per me è un’ossessione, capisci?
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Il primo incontro di Amedovski in Bellator. Vedi alla voce: farsi notare.
E invece fisicamente c’è mai stato il rischio di non tornare in attività? Oppure sapevi che saresti tornato ad alto livello?
Quando mi sono rotto il polso non riuscivo a portare nemmeno i piatti. Per un po’ ho pensato «è finita». Poi invece, pian piano mi sono ripreso. Mentalmente però sono una persona molto forte. Vedevo tanti che godevano per i miei infortuni e non potevo permetterlo. Sarei potuto rientrare molto prima, con scelte diverse. Altra gente in un anno sarebbe tornata a combattere, ma io sono fiero delle mie scelte, sono un natural.
Mi è stato proposto di tutto: per fortuna, in questo senso, non ho mai voluto ascoltare nessuno. Se avessi fatto diversamente e preso qualcosa (per aiutarsi a recuperare dagli infortuni, sta parlando di farmaci magari anche illegali, ndr) adesso col cazzo che sarei entrato in UFC. Ho l’USADA che mi chiama praticamente ogni giorno, alle 4 di mattina! Quando mi dissero: «Ti dobbiamo spiegare cosa puoi e non puoi prendere», ho risposto: «Vai tranquillo, io non prendo assolutamente niente, puoi venire anche oggi a casa mia».
Io prendo solo amminoacidi, vitamina C, omega 3. Punto. Nient’altro. Ogni tanto fosforo per la mente. Stop. Non mi sono mai dopato in vita mia e ne vado fiero. Io sono assolutamente contrario al doping. Per me è barare. Sono uno di quelli che non afferra nemmeno il guantino per imbrogliare durante il match.
Adesso che è iniziata la seconda fase della tua carriera, hai 30 anni e stai bene fisicamente, che ambizioni hai?
Mi do degli obiettivi molto piccoli, un passo alla volta. Mi sono portato a casa i guantini del Bellator, ho vinto lì, per me sarà un grandissimo ricordo per il quale mio figlio e mio nipote saranno orgogliosi. Il prossimo obiettivo è vincere un match in UFC, sarebbe davvero molto bello.
Che tipo di avversario vorresti ti venisse dato da UFC? Preferiresti uno striker o non fa differenza?
Ti dirò, vorrei che mi fosse dato l’avversario giusto. Io volo basso, so cosa vuol dire essere in una top 20 o top 15 di quel livello, so bene quanto siano bravi quei ragazzi lì. Voglio crescere man mano, al di là del tipo di fighter che mi sarà dato, ne vorrei uno giusto per me.
Raggiungi anche il tuo amico Marvin Vettori in UFC, in un’intervista la settimana scorsa ha detto di essere il tuo mentore, di averti aiutato nella lotta.
Siamo compaesani praticamente, l’ho conosciuto a un corso di MMA a Trento, ero superiore a tutti in piedi, ma non sapevo nulla della lotta a terra e sicuramente vedevo la differenza tra lui e altri. Non ho mai faticato a capire chi di loro sarebbe arrivato lontano. Poi lui partì per Londra, ci perdemmo di vista e ci ritrovammo tempo dopo. Un ragazzo che ha sempre messo l’impegno e la costanza davanti a tutto, anni dopo sarei diventato così pure io. Siamo due destinati alla guerra! Spero di vederlo al più presto in gabbia e credo in lui.
C’è stato un fighter in particolare che ti ha ispirato o in cui ti rivedi?
A livello italiano, sicuramente Alessio Sakara. Quando gli scrivevo sei, sette anni fa, lui mi rispondeva, mi diceva che si augurava combattessimo nella stessa card. Saltavo sul letto, ero felicissimo. A livello internazionale, invece, c’è solo lui, l’Ultimo Imperatore, Fedor Emelianenko.
In un mondo ideale che 2019 ti aspetta?
Eh, in un mondo ideale mi aspetta un bel 2019, nel quale potrò regalare al mio secondogenito la mia prima vittoria in UFC, così come ho regalato al mio primogenito la mia prima vittoria in Bellator.