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Alen Boksic era un treno
13 ott 2016
10 gol che lo dimostrano.
(articolo)
14 min
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Gli anni Novanta visti dagli anni Dieci (cioè da chi, come me, non ha vissuto «il calcio degli anni Novanta» negli anni Novanta) non sono le maglie larghissime, né gli stadi sempre pieni, né i palloni bianchi e pesanti, né la Coppa Uefa su Telemontecarlo – sono le difese che scappano all’indietro. La dinamica è ricorrente: i centrocampisti che non si preoccupano della fase difensiva, tranne quelli strettamente deputati a farlo, e ogni palla persa che diventa l’occasione per una ripartenza, con il campo che sembra allungarsi all’infinito e i difensori che provano a mantenersi allineati nella terra di nessuno, stretti e un po’ confusi come in un’esercitazione anti-incendio.

In questi spazi che si aprivano, Alen Boksic trascinava i suoi centottantasette centimetri a una velocità che mi è difficilmente comprensibile, fatta di impercettibili cambi di ritmo e di continui movimenti ondulatori con le spalle per mantenere l’equilibrio. Anche a rivederlo adesso non si capisce come faccia, tiene la testa bassa ma ha la visione perimetrale sempre accesa, un po’ come i nuotatori che mentre fanno mille altre cose trovano anche il tempo di controllare la posizione dei rivali. Ha il passo cadenzato ma i difensori ci sbattono contro, sa sempre dove andare, e in effetti è più bravo senza palla che con la palla tra i piedi, a differenza della maggior parte dei suoi coetanei.

Oggi suona quasi paradossale celebrarlo attraverso i gol, il tributo che si riserva a qualunque attaccante di ogni epoca, perché della sua carriera i gol sono stati più croce che delizia, hanno fatto più rumore quelli sbagliati di quelli segnati. La pagella che gli ha dedicato La Gazzetta dello Sport dopo Juventus – Inter dell’ottobre 1996 (la stessa partita in cui Zinedine Zidane segna il suo primo gol italiano) è Alen Boksic in purezza: «Difficile dare una valutazione precisa per un uomo dalla doppia faccia. Straordinario per come inizia le azioni, per come le porta a compimento; un vero disastro per come conclude a rete. Ci sarà anche un pizzico di sfortuna e di malasorte, certo. Ma vederlo giocare è davvero un piacere per gli occhi». Per dovere di cronaca il voto allegato è 7,5, voto che rende Boksic il migliore in campo in una partita in cui non ha fatto gol, e anche questo è abbastanza indicativo di che tipo di attaccante fosse.

L’idea che mi sono fatto, mettendo un attimo da parte l’insondabile variabile “freddezza”, è che alla base ci fosse sempre un problema di equilibrio, che dopo aver trascinato per tutto il campo quei centottantasette centimetri e i relativi chili che portava addosso non riuscisse mai a trovare la posizione giusta per impattare la palla in poco tempo. Per Boksic il gol era questione di rubare il tempo al portiere, di sorprendere i difensori giocando d’anticipo o ritardando l’esecuzione, di arrivare con la sensibilità laddove non riusciva ad arrivare con la coordinazione. In effetti non ne ha segnati molti, 134 gol in 433 partite ufficiali in carriera, solo 34 nelle 137 presenze in Serie A, ma ne ha segnati di bellissimi.

Carezza sulla testa di Signori contro il Cagliari | Serie A 1993/1994

Sto barando, perché questo è un gol di Signori, uno dei 23 che gli permetteranno di laurearsi capocannoniere a fine stagione. Però Boksic è il “lungagnone" biondo che riceve largo a destra di spalle alla porta, in una posizione in cui non avrebbe mai dovuto ricevere perché è tallonato da due difensori del Cagliari, uno a coprirgli l’interno del campo, l’altro a coprire la fascia. Con un movimento contro-intuitivo identifica uno spazio molto ampio in cui può far scorrere la palla e ci si lancia al seguito, lasciando a terra il marcatore per pura volontà di potenza. Poi rallenta, conta i passi e pennella un cross bellissimo, che arriva perfettamente al limite dell’area di rigore, per qualche centimetro fuori dalla portata di Fiori. È bellissimo anche il movimento di Signori che all’inizio del filmato scappa dall’area di rigore per poi rituffarcisi al momento giusto, e insomma, un gigante croato che distribuisce cross e un fantasista italiano che li raccoglie di testa non rappresentano esattamente la tipica coppia seconda punta - prima punta che si può raffigurare pensando alla prima metà degli anni Novanta. Boksic è stato «Alieno», soprannome che lo ha accompagnato per tutta la carriera, anche e soprattutto nella sua interpretazione del gioco.

Schiaffo sotto la traversa contro la Stella Rossa | Coppa di Jugoslavia 1991

Questo è un gol molto importante perché decide una finale, nello specifico l’ultima Coppa di Jugoslavia assegnata prima della dissoluzione della Repubblica. Boksic gioca nell’Hajduk Spalato, insieme ad altri giocatori-chiave del calcio croato in quegli anni, come Jarni, Stimac, Slaven Bilic, mentre la Stella Rossa è la stessa che avrebbe vinto la Coppa dei Campioni qualche settimana dopo contro l’OM, quella di Mihajlovic, Prosinecki, Savicevic e Pancev. Il clima è molto teso, come è facile immaginare, perché la guerra è già iniziata – i giocatori dell’Hajduk indossano una fascia nera intorno al braccio per commemorare le vittime di Borovo Selo, i giocatori della Stella Rossa no. Intorno al settantesimo minuto, Mihajlovic stende Grgica Kovac con un intervento inutile, di puro odio, poi gli cammina sopra e ne nasce una rissa che l’arbitro decide di placare salomonicamente con un espulso per parte (l’altro è Stimac, che ancora nega di essere stato coinvolto in alcun atto di violenza).

Solo cinque minuti prima, Boksic aveva portato l’Hajduk in vantaggio con un movimento alla Boksic – parte con un secondo netto di vantaggio su tutti i difensori, controlla in qualche modo con il destro e siccome sta perdendo l’equilibrio spara la palla nell’angolo alto con il sinistro. C’è un secondo lieto fine: i nastri di quella partita arrivano a Franz Beckenbauer, che sta visionando la Stella Rossa per conto dell’Olympique Marsiglia, in preparazione della finale di Coppa dei Campioni. Il resto è noto, l’OM perde nella notte di Bari ma acquista immediatamente Boksic su stretta segnalazione del Kaiser, Alen viene parcheggiato per una stagione a Cannes e poi torna a Marsiglia, per vincere immediatamente un’altra Coppa dei Campioni.

Movimento ad esca contro la Dinamo Bucarest | Champions League 1992/1993

Quando arriva Boksic, il Marsiglia sembra in leggero ridimensionamento. Ha appena venduto Papin, Chris Waddle, Carlos Mozer, e li ha rimpiazzati con una serie di giovani promettenti (al croato si aggiungono anche Desailly e Barthéz) e con il veterano Rudi Völler, appena rilasciato dalla Roma. In coppia con Völler, Boksic firmerà la miglior stagione della sua carriera sul piano realizzativo, sarà capocannoniere della Ligue 1 con 23 reti, e finirà secondo solo a Romario in Coppa dei Campioni, dove ne realizzerà 6. Quello segnato a Bucarest è il più bello dei sei ed è un gol che oggi renderebbe fiero Antonio Conte, costruito sull’istinto comune, sul tempismo, sul senso della posizione (un altro molto bello e molto simile lo segna a Glasgow, in quella che è una specie di semifinale ma formalmente non lo è, perché in finale si accede attraverso un gironcino che ammette solo la prima – misteri degli anni Novanta). Nei filmati d’epoca, Völler e Boksic appaiono evidentemente una delle coppie più cool del pianeta, ma mi sembra che questo riconoscimento non sia mai arrivato per intero. Sono deluso dall’epica contemporanea.

Controllo a seguire contro il Brescia | Serie A 1994/1995

Long story short: il Marsiglia finisce al centro di uno scandalo di corruzione, subisce la revoca del campionato francese, viene condannato alla retrocessione e perde ad uno ad uno tutti i suoi pezzi pregiati. Boksic finisce a Roma, sponda laziale, perché pare Cragnotti ne fosse particolarmente innamorato. Nel frattempo è arrivato quarto nella classifica del Pallone d’Oro 1993, alle spalle di Cantona, Bergkamp e Baggio. Dopo una sola stagione di alto livello, Boksic ha già scalato le gerarchie del calcio europeo fino a vedere la fine della sua personalissima rampa di lancio, quando si presenta a Roma è ormai «il fuoriclasse croato convocato d'urgenza al capezzale d'una Lazio al limite del collasso».

Nella prima stagione segna principalmente gol di testa, in cui comunque fa valere la capacità innaturale di attaccare l’area piuttosto che l’elevazione o la forza dello stacco. Questo gol lo segna al Brescia nel corso della seconda stagione in biancoceleste, e inizio a pensare che se adesso i lanci lunghi da centrocampo rappresentano una delle armi più inefficaci in assoluto sia colpa di attaccanti come Boksic, che hanno segnato un divario generazionale e hanno costretto le difese ad aggiornarsi. Anche in quest’azione coesistono un movimento perfetto, un controllo a seguire delicatissimo, una preparazione al tiro minuziosa e poi una conclusione fiacca e centrale, che Ballotta avrebbe facilmente respinto se non si fosse dovuto preoccupare di coprire una porzione di porta così grande.

In solitaria contro il Manchester United | Champions League 1996/1997

Altre due costanti della carriera di Boksic: segnare molto nelle coppe rispetto ai suoi standard, e presentarsi alle nuove squadre come mattone del rinnovamento. Nell’estate del 1996, la Juventus campione d’Europa cede Paulo Sousa, Vialli e Ravanelli e li sostituisce con Boksic (in fuga da Zdenek Zeman), Vieri, Amoruso, Zinedine Zidane. A Torino spende una sola stagione, vince tanto ma perde il feeling con le finali: salta per infortunio andata e ritorno della Supercoppa Europea, che cade nella parte centrale della stagione, mentre in Coppa Intercontinentale (vinta a Tokyo contro il River Plate) e in finale di Champions League (persa a Monaco contro il Borussia Dortmund) disegna un riassunto della sua carriera: tanto sacrificio e tanti errori sotto porta.

In compenso giganteggia nel girone eliminatorio di Champions, in cui la Juventus coglie anche l’occasione di fregiarsi prima squadra vincitrice ad Old Trafford. Questo nella gara di ritorno, però, mentre Boksic firma quella di andata con quel tratto inconfondibile, gli spazi apertissimi e le difese che lo inseguono ma non lo prendono mai. Il giorno successivo l’Independent titola con quella capacità di sintesi tutta britannica «United undone by slick Boksic», dove “slick” vuol dire agile ma anche esperto, una sorta di “sgamato”, che è proprio la stessa sostanza di cui sono fatti quei tiri centrali ma abbastanza rapidi da confondere ugualmente i portieri in uscita. A proposito di tratti inconfondibili, il passaggio filtrante sulla corsa è di ZZ e vale la pena arrivare alla fine del video solo per apprezzarlo meglio nel replay.

Serpentina contro il Bologna | Serie A 1996/1997

Questo è uno dei pochi gol che Boksic segna attaccando palla al piede una difesa schierata, ma il repertorio è lo stesso, continui cambi di ritmo, passettini, tocchi di destro e poi di sinistro che rendono praticamente impossibile attaccarlo frontalmente. La settimana prima la Juventus aveva perso in casa 0-3 contro l’Udinese di Zaccheroni, che poi avrebbe restituito il favore pareggiando a Parma, ma intanto Boksic dimostra di poter segnare gol il cui peso specifico equivale alla bellezza e si toglie una discreta soddisfazione. Stando alla cronaca di Varriale, a fine partita si rifiuta di parlare con la stampa, molto Boksic anche questo.

Pallonetto contro la Sampdoria | Serie A 1997/1998

Il Bologna di Ulivieri ha regalato due gioie ad Alen Boksic, quel gol decisivo segnato in solitaria, valido argomento contro i detrattori, e una vittoria all’Olimpico nel gennaio 1997 che ha reso inevitabile l’esonero di Zdenek Zeman dalla panchina laziale. Per Boksic è stato una sorta di «tana libera tutti» che gli ha permesso di tornare alla Lazio, da Cragnotti, in un contesto che tuttora ricorda come il suo ambiente ideale: «quando sono tornato a Roma non ho avuto problemi con i tifosi biancocelesti, avevo lasciato la squadra perché avevo avuto incomprensioni con l'allenatore Zdenek Zeman, e tutti lo sapevano perfettamente. Alla Lazio incontravamo i tifosi più o meno una volta ogni due settimane, non ho mai visto nulla di simile in nessun altro luogo, è una tradizione straordinaria per una società. Potevamo pranzare in compagnia dei tifosi, c’era un’atmosfera genuina e familiare, mi è piaciuto molto».

Questo gol lo segna all’ottava giornata contro la Sampdoria. È così bello che – presumo – qualche impallinato giapponese della Serie A degli anni Novanta l’ha consacrato alla memoria dell’internet con la Samba de Janeiro in sottofondo. In effetti Boksic non era molto brasiliano nelle movenze ma nelle intuizioni sì, Vierchowood gli aveva ormai chiuso sia il destro che il sinistro e poco dopo si ritrova a rotolare come in un videogioco dalla grafica scadente. Ferron invece applaude.

Altro pallonetto contro il Milan | Serie A 1997/1998

Stessa stagione, girone di ritorno, il periodo migliore della permanenza in biancoceleste. Boksic è stato uno specialista della nobile arte del pallonetto, talmente specialista che su Youtube c’è un video intitolato «Alen Boksic – Master of the Chip» che dura oltre tre minuti e contiene solo gol segnati da Boksic sopra la testa del portiere, senza ripetizioni. In quest’azione, che avviene nei minuti di recupero, quindi per una volta si può giustificare il campo apertissimo e la difesa che rincorre, c’è tutto Boksic (progressione, lettura degli spazi, improvvisa accelerazione, destro morbidissimo) ma c’è anche tutto Pavel Nedved, che non fa nulla tranne esattamente quello che serve. Butta giù con estrema raffinatezza un temerario milanista lanciatosi alla rincorsa del croato, poi insinua il dubbio in Costacurta che si ferma a metà e a quel punto non può più andare a chiudere Boksic sul destro.

Per inaugurare il Lazio-bis, Boksic aveva calcato di ottimismo la dichiarazione di intenti: «nelle squadre in cui ho giocato in precedenza ho sempre vinto qualcosa. Solo nella Lazio non è accaduto. Questo rappresenta per me uno stimolo non indifferente». Non so se si aspettasse di vincere, nelle vesti di prezioso comprimario, un campionato, due Coppa Italia, due Supercoppa Italiana, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa Europea, contribuendo a suon di pallonetti al periodo più bello della storia della Lazio.

Ennesimo pallonetto contro il Leicester | Premier League 2000/2001

Mi rendo conto di stare diventando il padrone di casa meno gradito, quello che organizza cene in cui propone sempre lo stesso piatto, ma questo è il pallonetto di Boksic che preferisco. Lo realizza con la maglia del Middlesbrough, che lo acquista nell’estate 2000 intercettando il desiderio di Boksic di proseguire fino ai Mondiali del 2002 (gli unici che gli infortuni gli avrebbero permesso di giocare). Lo realizza in allungo, calciando di prima intenzione dopo aver spostato rapidamente il pallone alla sinistra del difensore - non è solo tecnicamente complicato, è fisicamente complicato. Boksic recupera la palla all’altezza della propria trequarti, per qualche strana ragione riesce a condurla indisturbato fino al limite di quella avversaria, e riserva le ultime energie per questo gesto in estensione, in cui i muscoli sono contratti ma il piede destro rimane morbido. Secondo l’utente che ha caricato il video su Youtube, la palla nella porta fa esattamente questo suono: «Frrrrrrrrrrrrrf».

Punizione contro il Newcastle | Premier League 2000/2001

Per un breve periodo della storia della Premier League, Alen Boksic è stato il giocatore più pagato del campionato, e a posteriori non è stato un grande investimento per il “Boro”. Nelle tre stagioni nel Teesside, Boksic ha giocato poco, ha segnato poco, ha avuto rapporti altalenanti con i suoi allenatori e non ha mai trascinato la squadra oltre la mediocrità del centro classifica. Eppure nella cronaca di quei giorni questo rimpianto non traspare, se non in forma assai diluita.

Quando il Middlesbrough si trova ad un solo punto di distanza dalla zona retrocessione nel marzo 2001, e Boksic interviene in pronto soccorso vincendo da solo una delicatissima trasferta a Newcastle, dove il Boro non vinceva da dieci anni, il Guardianscrive «Alen Boksic versus the entire Newcastle United defence was always likely to be a mismatch, and so it proved». Questo è il secondo dei due gol, che ho trovato quando ormai avevo visto Boksic segnare in tutti i modi, ma ancora non credevo fosse in grado di calciare punizioni del genere. La palla ruota verso l’esterno come fanno i palloni adesso, però non perde mai quota (come fanno i palloni adesso), e prosegue fino a incrociare la traversa.

L’ultima evoluzione di Boksic coincide con la fase della carriera in cui la tecnica ha prevalso definitivamente sull’esplosività, ed è costretto ad affinare il piede destro perché non può più lasciare metri tra sé e le difese che lo rincorrono alle spalle. Poco male, perché avrebbe smesso di lì a breve di giocare, e in ogni caso le difese avrebbero smesso di lì a breve di rincorrere gli avversari alle spalle. Ma questa è anche un po’ colpa sua.

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