Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Keira Knigthley e Gabrielloni vivono nello stesso universo
16 dic 2024
Con il gol alla Roma, l'attaccante del Como è diventato uno dei pochi giocatori a segnare in ogni categoria indossando la stessa maglia.
(articolo)
6 min
(copertina)
Tiziano Ballabio / IMAGO
(copertina) Tiziano Ballabio / IMAGO
Dark mode
(ON)

Cesc Fabregas parla come uno che si è visto troppe conferenze di Pep Guardiola. Non c’è niente di non enfatizzato, niente che non raggiunga il massimo volume possibile dell’elogio, della soddisfazione, della felicità. Non sembra esagerare, però, quando dice che il Como «meritava una serata così». Contro la Roma, nel secondo tempo, la squadra ha quasi dominato. Ha pressato alto, vinto tutti i duelli, costruito occasioni e quando è scoccato il novantesimo probabilmente Fabregas stava iniziando a metabolizzare un pareggio che non rispecchiava quella prestazione. Non sarebbe stato il primo, prima di ieri, con 12 punti, il Como era la squadra con la classifica più bugiarda della Serie A.

Poi Nico Paz ha lanciato in area per Cutrone; l’attaccante ha un mismatch fisico da sfruttare con Pisilli in marcatura, se ne va e mette dentro un cross corto sul primo palo. Gli spazi sembrano troppo intasati per fare qualcosa di utile, ma dentro questi spazi risicati, leggendo la situazione prima degli altri, arriva Alessandro Gabrielloni, 30 anni, zero gol in Serie A. Una fama da attaccante di provincia che si associa in modo paradossale con tutto il benessere che circonda il progetto sportivo del Como. Gabrielloni fa un’azione che azzera la distanza tra le categorie, e che i centravanti ripetono da quando esiste il calcio: taglia sul primo palo e anticipa il difensore e sorprende il portiere, e segna il gol dell’1-0. Ha dichiarato di ispirarsi a Cavani, «per la cattiveria con cui attacca l'area». Il suo primo pensiero è correre verso la Curva Como, aggrapparsi alle recinzioni, ricevere l’abbraccio del suo pubblico. Un’esultanza in stile sudamericano, in cui curva, stadio e marcatore si fondono in un unico abbraccio disperato. E nella perfetta rappresentazione del mondo Como, mentre Gabrielloni abbraccia la sua curva, Keira Knigthley in tribuna esulta al suo gol, seduta a fianco a Michael Fassbender.

Per Natale perché non regalare un abbonamento a Ultimo Uomo? Scartato troverete articoli, podcast e newsletter esclusive che faranno felici i vostri amici impallinati di sport.

Qualche giorno fa Marco Cattaneo aveva chiesto a Gabrielloni di immaginarsi il suo primo gol in Serie A. «Quello è semplice: o di testa o in area piccola, dopo qualche ribattuta». Lo ha detto scherzando sui suoi limiti tecnici.

Gabrielloni è arrivato al Como nel 2018, sei anni fa e ad assistere alle sue partite non c’erano Hugh Grant, Adrien Brody o Keira Knigthley - ma quasi nessuno. Il Como era così diverso da aver mancato l’iscrizione in Serie C - ottenuta dopo una promozione ottenuta sul campo - a causa di una mancata fideiussione. Così diverso che a settembre il Como rifiutò di giocare una partita di Coppa Italia Serie D perché ancora alle prese con mille ricorsi, perdendo poi a tavolino. Gabrielloni già c’era, quell’anno della promozione negata in tribunale, e già segnava gol di testa, in mischia in area, sgomitando contro i difensori, in stadi da cui si vedono i parcheggi, e gli unici video che lo testimoniano sono pieni di “merde!” per i tifosi avversari.

L’anno dopo Gabrielloni segna in casa contro la Virtus Bergamo, nella partita che sancisce la promozione in Serie C. Pochi mesi prima la società era passata ai fratelli Hartono. L’anno dopo Gabrielloni segna anche all’Alessandria in una partita decisiva per la Serie C, in uno stadio svuotato dal Covid. L'attaccante di Jesi segna nella gara d’andata di testa il gol dell’1-0, e il 2-0 con una rete che racconta sia la sua tecnica modesta che il notevole istinto. Svirgola il primo tiro ma è come se riuscisse a capire in anticipo il suo errore, e lo corregge con un tiro di punta. Esulta prendendosi l’abbraccio dei compagni, i calzettoni bassi, i polpacci ipertrofici.

Forse era in qualche modo scontato che il Como riuscisse a spingersi fino alla Serie A, prima o poi; ma non era affatto scontato che Gabrielloni sopravvivesse a questa scalata. A vent’anni giocava nei dilettanti e studiava economia. Non era sicuro che il calcio potesse essere il suo lavoro. Andava a lezione all'università di Macerata a bordo di una Punto. La sua laurea fece notizia, perché aveva discusso la tesi da remoto indossando i pantaloncini del Como.

In questa ascesa Gabrielloni non è sopravvissuto da mascotte ma ha continuato a risultare importante in ciascuna promozione, tornando centrale anche nei momenti in cui sembrava dimenticato, non all’altezza della categoria. È successo per esempio lo scorso anno, in B, quando stava quasi sempre in panchina e non sembrava potersi giocare il posto con Cutrone, che indossava la maglia del Milan negli anni in cui lui indossava quella della Cavese. Poi è arrivato Cesc Fabregas e alla sua prima partita sulla panchina gli ha regalato la prima vittoria. Ha trasformato un noioso 1-1 col Feralpisalò in un epico 2-1. Anche quella volta ha segnato al minuto 93. Una girata stupenda dopo uno stop di petto. Ha continuato a segnare all’ultimo respiro. Per esempio contro il Modena, una partita durissima risolta da un suo gol in mischia a tre minuti dalla fine, sempre sotto la curva. Come se ci fosse una spinta tangibile della Curva del Como dietro ai suoi gol.

Dentro una squadra che pratica un gioco di posizione piuttosto ortodosso, Gabrielloni deve concludere il lavoro degli altri. In area di rigore, di testa o di punta, ha continuato a rappresentare una presenza rassicurante per i suoi tifosi. In B lo scorso anno ha segnato 9 gol: uno in più di quelli delle precedenti due stagioni sommate. Sulla scheda a lui dedicata sul sito del club Gabrielloni regge un pallone di cuoio in un’immagine fatta da un’intelligenza artificiale nutrita con gli shooting di Gucci. Un bomber di provincia che riesce a vivere abbastanza a lungo da finire inghiottito dal turbocapitalismo calcistico.

Per i tifosi del Como rappresenta qualcosa di più del semplice centravanti della squadra. I tifosi lo chiamano affettuosamente “terrone” e lo amano. Sotto i video delle sue interviste scrivono dichiarazioni d’amore: «Un grande calciatore e un grande uomo, sei fonte di ispirazione per tutti. L’unico autografo presente sulla mia sciarpa è il tuo». Lo chiamano “gabrigol”, in una storpiatura di un soprannome di un altro giocatore mezzo ironico (Gabigol). Per i tifosi è un giocatore familiare, dentro un contesto in perenne mutamento, fatto da una proprietà indonesiana, un allenatore catalano e giocatori di ogni angolo del pianeta. È anche un giocatore in cui possono immediatamente rispecchiarsi, che è facile percepire come vicino.

È in imbarazzo, e sembra provare un po’ di paura quando deve usare la parola bandiera. Si sente a suo agio in Serie A, gli sembra “normale”, e allo stesso tempo questa cosa lo fa riflettere - perché in teoria non dovrebbero esserlo. In estate in effetti si era parlato di lui per diverse squadre di Serie B che ambivano alla promozione. Per lui sarebbe stato comunque un salto: essere considerato il titolare di una squadra che punta alla promozione. Fabregas invece lo ha voluto con sé, progettando un momento come quello di ieri, in cui Gabrielloni ha regalato una vittoria contro una grande squadra all’ultimo minuto, tagliando sul primo palo, calciando di punta, abbracciando i suoi tifosi. «L’anno scorso mi ha dato tantissimo. Non è rimasto qui per caso, perché io non faccio regali a nessuno», ha spiegato l’allenatore «È un giocatore completissimo con una mentalità devastante. Gabrielloni ha fatto la storia del Como e anche in Serie A può fare la differenza. È sempre al mio fianco e prima di questa partita ha fatto un gran discorso alla squadra. Quando finirà la sua carriera allo stadio gli dovranno dedicare una statua, è una leggenda di questo club».

Nell’intervista a Rolling Stone ha dichiarato che non si sentiva ancora del tutto un giocatore da Serie A perché non aveva ancora segnato. Chissà se ci ha pensato, al fischio finale, di essere diventato uno dei pochi giocatori a segnare in ogni categoria - D, C, B, A - indossando la stessa maglia.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura