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Alessandro Lucarelli, bentornato
24 mag 2018
Il capitano è ripartito col Parma dalla Serie D e la prossima stagione tornerà a giocare in Serie A, a 41 anni.
(articolo)
7 min
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«Non so se avrò la possibilità di riprovarci, io. Quindi mi dovete fa' un favore. Oggi mi dovete portare in serie B». Parlava così, il 17 giugno 2017, prima della finale Playoff di serie C contro l'Alessandria.

Meno di un anno dopo, cioè in questi giorni, lui e il Parma sono arrivati addirittura in A, con una promozione che stavolta è diretta e forse inaspettata.

Il sogno era di lasciare il calcio dopo aver riportato il Parma nella massima serie. Lo diceva solo pochi mesi fa. Da allora, è diventato il calciatore con più presenze nella storia dei Crociati (è arrivato a 349). E il Parma, sì, l'ha riportato lassù, riparando in qualche modo il fallimento societario che aveva fatto precipitare una storia gloriosa.

Tra due mesi compirà 41 anni. Gli ultimi dieci li ha trascorsi a Parma. Quando si parla di un calcio senza più bandiere, si fa il difetto di non guardare in provincia o nelle serie inferiori. Di dimenticare insomma figure come Alessandro Lucarelli. Che dice di sé: «Più che una bandiera mi sento un punto di riferimento».

Qualche giorno fa, Parma promosso in serie A. Foto di Alessandro Sabbatini / Getty Images

La nobile decaduta che risorge, dalla serie D alla A, in tre anni e senza intoppi, è una bella storia di sport. Lui, capitano del Parma dal 2012, vecchio come una guida saggia, vecchio come un giocatore a fine carriera, l'ha vissuta evidentemente in un altro modo.

Basta vedere le parole che sceglie: “Ho compiuto la mia missione”. Il coinvolgimento era tale che di recente, in una lettera ai tifosi, scriveva: «Io sono diventato vostro e voi siete entrati dentro di me». E subito dopo il fallimento del club disse: «Sono morto con il Parma, e con il Parma voglio rinascere».

Restare è stata una scelta di grande consapevolezza. Aveva appena compiuto trentotto anni, la sua carriera era stata in altalena tra serie A e B, con parecchi cambi di maglia e molto rispetto ovunque fosse andato. Nessuna convocazione dall'Italia e solo 2 presenze internazionali (col Brescia in Intertoto), d'accordo, ma un percorso lineare e più che dignitoso.

Insomma, in pochi al suo posto avrebbero accettato la sfida della D. Il fratello Cristiano, per esempio, glielo sconsigliò.

È stata una lotta contro il tempo, dal 2015 a oggi. “Vedevo che l’età avanzava ma riuscivo a rimanere in campo, anche se avevo paura di non farcela”. All'inizio della stagione in D, scherzava sulla sua età tra i tanti giovani compagni, diceva di sentirsi un ripetente.

Lui che ha marcato Zidane, Ronaldo e Ibrahimović, si è ritrovato a giocare a San Mauro Pascoli (FC), dove il cerchio di centrocampo non era un cerchio.

A novembre scorso, parla ai tifosi del Parma. È il giorno in cui si festeggia il suo record di presenze con il club. Uno striscione in curva Bagnaresi dice: «Fascia al braccio, maglia sudata, capitan Lucarelli storia crociata». Foto di Alessandro Sabbatini / Getty Images.

“Mi sento un livornese di scoglio. Siamo un po' matti, gente di mare, anticonformista per natura. Di solito le nostre scelte sono diverse da quelle che farebbero un po' tutti”. In realtà suo fratello, Cristiano, rovescia la narrazione: dice che Alessandro è calmo, sereno, “un eterno bambinone”. “Uno che non drammatizza mai”.

Il padre, Maurizio, lavorava al porto di Livorno prima di diventare imprenditore. Al porto avrebbero lavorato anche i due figli maschi, secondo il maggiore, se non avessero fatto i calciatori.

La punizione che dava la madre a Cristiano e Alessandro, se facevano qualcosa di sbagliato, era di togliergli il pallone. Per entrambi era “l'unico giocattolo” interessante. Quando cambiarono casa, nell'angolo dove la madre nascondeva quei palloni, se ne trovarono una cinquantina.

Alessandro (“Titi” per gli intimi) era il cocco di mamma, nella narrazione familiare fatta da Cristiano, che invece era quello bravo, grosso e cattivo. Perciò quasi tutti tifavano per il piccolo, quando i fratelli si affrontavano da professionisti.

2009/10, Livorno-Parma. Fratelli contro. Foto di Claudio Villa / Getty Images

Un Piacenza-Livorno per esempio li mise di fronte, nel 2001, proprio nei giorni in cui Alessandro diventava padre per la prima volta. Lui e Cristiano si promisero di ignorarsi, all'ingresso in campo, “per evitare emozioni”. In tribuna c'erano i genitori e la sorella, Viola, che è la più piccola e ha scelto la pallavolo. Il Piacenza vinse ma il gol della bandiera lo segnò Cristiano.

Molti anni dopo, in questo inverno 2018, durante una partitella tra prima squadra e Primavera, Alessandro si è trovato a dover marcare quel suo primo figlio, Matteo, anche lui con la maglia del Parma addosso.

“Ha sempre vissuto all'ombra mia” dice Cristiano Lucarelli di suo fratello, con una lettura piuttosto brutale. Lui con la maglia crociata ha giocato solo un anno e mezzo (46 presenze, 16 gol), facendo anche il capitano per qualche partita.

È il fratello famoso, il primogenito, il bomber. Alessandro invece è quello di basso profilo, il difensore lontano dai riflettori.

A Parma, così, arriva sulle orme del fratello maggiore, per la miseria di 1,2 milioni. È l'estate 2008, lui è stanco di girovagare per l'Italia e pronto a mettere radici. “Per molti potevo sembrare il fratello raccomandato”.

In effetti, a segnalarlo alla società, è Cristiano, convinto che finora il ragazzo abbia raccolto meno di quanto valesse. Alessandro proviene da esperienze frammentate: mai più di due anni nello stesso posto, fatta eccezione per Piacenza che l'ha formato.

Con la sua famiglia.

Con il Livorno sembrava dovesse essere una storia tutta diversa, rispetto a quella che è stata. Nel 2004, quando viene preso dagli amaranto, ha ventisette anni. Si direbbe al giro di boa della carriera di un difensore, e si direbbe aver chiuso un cerchio: giocare in serie A con la squadra della sua città, quella di cui era un ultras da ragazzino. Quella che i genitori, tifosissimi, lo portavano a vedere a tre anni.

Gioca con continuità, il club raggiunge il nono posto in classifica, suo fratello Cristiano è il capocannoniere del campionato. Ma i Labronici, l'estate che segue, vendono Alessandro alla Reggina.

In realtà è difficile sostenere che Lucarelli abbia una città. Più probabilmente bisogna ragionare al plurale.

Contare anche Reggio Calabria, per esempio. Dove si è fatto amare in due sole stagioni e ha ricevuto la cittadinanza onoraria, insieme ai compagni, per la mitica salvezza del 2006/07.

E soprattutto bisogna contare Parma. Dove oggi parla in dialetto, taglia forme di parmigiano nelle gastronomie locali. Dove si è ridotto lo stipendio di cinquanta volte e ha accettato di uscire dal calcio professionistico, pur di restare.

Fino ai sedici anni giocava da attaccante. Nelle giovanili del Piacenza lo spostarono definitivamente al centro della difesa. Durante la carriera, poi, si è adattato a giocare dove serviva: anche terzino, anche mediano. Il ruolo di libero è comunque quello che gli corrisponde, al punto che intorno al braccio si è tatuato una fascia da capitano con il numero 6.

Alla Reggina aveva segnato il suo primo gol in serie A, nella stagione precedente. All'arrivo, l'umore di Alessandro non dev'essere alto, se a distanza di anni dirà che Walter Mazzarri lo ha “rilanciato” ed è l'allenatore a cui deve di più.

Gioca a Reggio per due anni. Il secondo è quello degli 11 punti di penalizzazione, che si chiude con la salvezza e un ruolo da protagonista per Lucarelli, anche capitano. Viene ceduto quell'estate, al Genoa neopromosso, ma presto il presidente Foti se ne pentirà. Alessandro comunque non gli porterà rancore, anzi dirà che per lui è «come se fosse un padre».

L'esordio in serie A, Piacenza-Lazio del 1998/99. Ha come compagni Vierchowod, Stroppa e Simone Inzaghi. A settembre saranno trascorsi vent'anni. Foto Getty Images

Nel 2014/15, l'ultima stagione in A, dice che i calciatori del Parma sono pronti a muoversi in automobile per l'Italia pur di giocare. La situazione sta affondando, la squadra cerca di restare a galla in ogni modo. Il fallimento però arriva, inevitabile.

«Siamo stati usati, maltrattati e poi abbandonati» ragionerà a posteriori Lucarelli. Il club scende di tre categorie in un colpo solo. Lui si sente in debito con la gente. E accetta di partecipare alla rifondazione.

Ci sono voluti tre anni appena, per recuperare quelle tre categorie. In mezzo ci sono stati i 9mila abbonati in serie D. Ci sono state le trasferte a Valdagno, a Lentigione di Brescello, a Villafranca di Verona. E poi la doppia promozione, dalla D alla B. E questa lunghissima ultima stagione.

L'anno scorso, invece di ritirarsi, ha deciso di tentare l'ultima scalata. «Lasciare adesso sarebbe come apparecchiare la tavola per far mangiare qualcun altro».

Dal 2017 ha l'abilitazione da allenatore UEFA A. A luglio compirà 41 anni. Forse è il momento giusto per smettere, ora che la missione è compiuta. O forse farà un altro ritiro, il ventitreesimo in carriera, per giocare un'altra volta in serie A.

Nel 2015/16 diceva che quella sarebbe stata probabilmente la sua ultima stagione. Diceva anche di voler restare all'interno della società, non lasciare Parma. Del resto, come ha spiegato di recente, «Siamo un tutt'uno, con i tifosi».

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