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Giovanni Bongiorno

Alex Pereira ha salvato UFC 303

Il fighter brasiliano è sempre più nel mito.

Accettare con appena due settimane di preavviso il main event, sostituendo un fighter chiamato Conor McGregor, non è certo una passeggiata. Se c’è un fighter però che negli ultimi anni sta polarizzando l’attenzione di fan e addetti ai lavori – pur non parlando inglese e non lavorando particolarmente sulla costruzione del proprio “personaggio” – facendosi strada esclusivamente grazie al suo stile e alla sua potenza, ecco quel fighter è Alex Pereira. 

 

UFC 303 si è svolta alla T-Mobile Arena di Las Vegas e all’inizio avrebbe dovuto essere teatro di uno dei più grandi ritorni in gabbia di questi anni, quello appunto di Conor McGregor. A due settimane dal match, però, l’irlandese si è infortunato, rompendosi un dito del piede. Prima di questo, McGregor non aveva mai fatto saltare un match, entrando in gabbia (a suo dire) anche da infortunato. Stavolta, però, consapevole di essere alle ultime battute, ha preferito rinviare il match contro Michael Chandler. Lasciando così la card numerata 303 orfana del suo trascinatore.

 

A salvare UFC, l’evento e l’entusiasmo del pubblico, ci hanno pensato il campione dei pesi massimi-leggeri, Alex Pereira, e Jiri Prochazka, che ha accettato con breve preavviso il rematch. Il fighter ceco ha lasciato il pubblico leggermente interdetto quando ha portato il confronto sul piano metafisico, accusando Pereira di far ricorso a metodi magici (ha parlato di aiuto degli spiriti da parte della popolazione indigena di cui è originario Pereira, i Pataxò). Pereira, dal canto suo, per aumentare la percezione della sua aura, non ha né confermato, né smentito, rispondendo solo che ognuno ha una sua spiritualità e il diritto di esprimerla.

 

Negli ultimi anni Pereira si è dimostrato in grado di prendersi un posto da protagonista sia in gabbia che fuori, pur non spiccicando una parola di inglese, è divenuto famoso, oltre che per le battaglie nella kickboxing con Adesanya, anche per quel gancio mancino che davvero sembra supportato dagli dei e che, ogni volta che tocca un mento, provoca il distaccamento del suo avversario dalla realtà. Ne aveva parlato Sean Strickland, sua vittima nei pesi medi, ma non erano in molti quelli pronti a puntare un centesimo sul mantenimento di quella potenza nella divisione dei massimi-leggeri. Eppure, eccoci qui. 

 

Col vuoto lasciato da Jon Jones, con il primo infortunio di Prochazka, il pareggio insperato tra Ankalaev e Blachowicz e, infine, l’infortunio di Hill, pareva che gli astri si fossero allineati per dare a Pereira la chance di conquistare il titolo appena salito di categoria. Il brasiliano, però, non si è mai tirato indietro davanti a nessuno e per dimostrare di essere il legittimo campione nei massimi-leggeri ha affrontato gli ex campioni di categoria: prima Jiri Prochazka e poi Jamahal Hill hanno capito il livello del campione brasiliano, passando attraverso dei KO devastanti. 

 

UFC 303 è stato il capolavoro di Alex Pereira. Facendo passare uno degli ex campioni più forti e spietati degli ultimi anni come l’ultimo dei boyscout, il brasiliano ha difeso ancora una volta la cintura, non disdegnando l’idea di poter salire ancora, nei pesi massimi. Dove, però, troverebbe un certo Jon Jones (ammesso che torni a combattere, prima o poi). Per non parlare della concorrenza: Pavlovich, Volvok, Aspinall, Gane (dai, chi non lo vorrebbe vedere un match tra Pereira e Gane?), Blaydes, tutti fighter di stazza superiore, pronti a scambiare selvaggiamente per conservare il posto nei ranking. Fighter eterogenei e versatili, specie negli ultimi tempi. Ma andiamo con ordine.

 

Il match con Prochazka è durato un round (dominato dal brasiliano) più trenta secondi del secondo. Pereira non ha mai sofferto, lo stile esuberante di Prochazka è stato disinnescato, facendola sembrare una cosa semplice. Prochazka aveva un record di 30 vittorie e 4 sconfitte: una delle quali proprio contro Pereira; un’altra in passato contro King Mo Lawal, vendicata; altre due ad inizio carriera, una delle quali contro un improbabile Bojan Velickovic, che potreste ricordare per aver battuto, davvero di misura, Alessio Di Chirico al suo esordio in UFC. Si tratta di un veterano vero, duro, ex campione Rizin e anche UFC. Pereira è partito con la solita strategia: leg kick mortiferi dalla media distanza, incroci con jab, diretti, e soprattutto il gancio sinistro quando Prochazka si lasciava andare e tentava i suoi assalti a braccia basse. 

 

Ora, entrambi sono in possesso di una guardia bassa, questo perché i grandi striker hanno un senso delle distanze superiore e preferiscono vedere partire i colpi per preparare la loro controffensiva muovendosi. Prochazka è apparso timido, bloccato, incapace di esprimere lo stile selvaggio che l’ha reso noto al grande pubblico e che gli aveva fatto vincere, riguadagnandosi il primo spot da contendente, un match fantastico contro Aleksandar Rakic, proprio a UFC 300, nella stessa card in cui Pereira batteva Hill. 

 

A UFC 295, Pereira aveva battuto una prima volta Prochazka, vincendo il titolo vacante: quella però è stata una prestazione “normale” se confrontata con quest’ultima. Prochazka, al quale va dato il merito di aver accettato un rematch da sfavorito con brevissimo preavviso, non è riuscito ad impensierire praticamente mai il brasiliano: dopo aver subito leg kick, jab secchi d’incontro e qualche gancio sinistro più di misura che affondato, in un incrocio al termine del primo round, Prochazka si è visto centrare da un gancio sinistro che gli ha fatto cedere le gambe, proprio sul suono della sirena. Il ceco ha fatto segno di voler continuare a terra, ma sembrava nel piano delle sue capacità intellettuali.

 

La conferma è arrivata poco dopo, all’inizio del secondo round: Pereira ha aspettato qualche secondo appena prima di finirlo con un headkick preciso. Prochazka è finito knockdown e Pereira ha terminato il suo lavoro in ground and pound. Il brasiliano, ad oggi, sembra l’unico campione capace di spezzare la maledizione dei 35 – quel dato un po’ curioso secondo cui i campioni UFC all’età di 35 anni cominciano a sentire il calo psicofisico e atletico. Per Pereira sembra quasi il contrario: farà 37 anni il prossimo 7 luglio, e sembra più forte che mai. Come si diceva sopra, qualora il pubblico lo volesse ha detto di essere pronto a passare nei pesi massimi. 

 

Dopo la vittoria, il fighter brasiliano ha spiegato il significato dell’ormai famoso Chama (letteralmente “fiamma” o “chiama” in portoghese). «Può essere una risposta positiva o negativa, a seconda del contesto», ha detto Pereira. Cambiando il tono, ha fatto comprendere la natura del termine: «Andiamo in palestra? Chama!», illustrandolo sia in senso affermativo che negativo. 

 

Averne abbastanza di Alex Pereira è impossibile perché impossibile non rimanere affascinati dal suo personaggio “non personaggio”, che continua per scelta a parlare in portoghese; ed è impossibile non rimanere coinvolti dal suo stile, apparentemente statico, ma che riesce a leggere in anticipo le mosse degli avversari e a prendere le misure in maniera millimetrica, anche contro avversari estremamente mobili ed insidiosi. 

 

È impossibile, davanti ad una dimostrazione così acclarata di bellezza tecnica, miscelata a quella feroce potenza che lo fa apparire inarrestabile, rimanere indifferenti. Alex Pereira è già nel mito della UFC e delle MMA in generale, adesso punta ad entrare nella leggenda. La strada è quella giusta, anche se il tempo non è più moltissimo.

 

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Giovanni Bongiorno scrive di MMA e ne parla nel podcast di MMA Talks.