
Adrian Peterson è un giocatore eccezionale. È sufficiente dare uno sguardo alle statistiche della sua carriera in NFL per capirlo. Passano gli anni, ma le fortune dell’attacco della sua squadra, i Minnesota Vikings, dipendono ancora e sempre da una prima opzione offensiva che obbliga la difesa avversaria a concentrare gli sforzi su di lui.
Adrian Peterson ha un’ambizione feroce: diventare il più grande giocatore di football della storia, obiettivo che aveva già chiaro nel 2007, quando ancora doveva fare il suo esordio nella NFL. Infatti aveva dichiarato allo Star Tribune: «Voglio essere il più forte di sempre».
Un obiettivo quasi utopico, che Peterson ha perseguito con una determinazione che ha sempre avuto anche nella sua vita privata, che spesso lo ha messo di fronte a sfide difficili. Abbattere l’ostacolo con tutta la forza e la volontà di cui si è capaci: trasformarlo in motivazione, anche nei momenti più difficili.
Non fermarsi
Peterson nasce in Texas, a Palestine, un anonimo sobborgo di 18.000 anime a sud di Dallas. Da piccolo amava correre tutto il giorno senza fermarsi, per questo il padre coniò per lui il soprannome "All Day".
Quando Peterson aveva sette anni trascorreva la maggior parte del suo tempo con il fratellastro Brian, poco più grande di lui, con cui condivideva la passione per il football. Fino al giorno in cui Brian viene investito da un'auto pirata. Adrian è poco lontano da lui ed è il primo ad accorrere e ad attendere vanamente un segno di vita. Dirà poi di essere sempre stato più lento di Brian, ma di avere ereditato la velocità dell’altro dopo la sua scomparsa.
Gli ostacoli da superare avevano però appena iniziato a frapporsi tra il running back texano e i suoi obiettivi: il padre sarebbe finito in galera quando "All Day" aveva tredici anni. La causa è il riciclaggio di denaro sporco. All’improvviso Peterson ha perso, al contempo, un padre e un coach. L’occasione per tirarsi fuori dalla situazione arriva dopo le sue scintillanti prestazioni all’high school.
Capitava anche che gli avversari gli chiedessero un autografo dopo le partite.
L’esperienza a Oklahoma, tuttavia, fu caratterizzata da diversi problemi fisici. Nel mese di novembre del primo anno, in una partita contro Texas A & M, nonostante un infortunio alla spalla, rientra in campo e contribuisce in maniera decisiva alla vittoria della sua squadra. Solo successivamente decide di restare a riposo. Il secondo anno di Peterson fu segnato da un altro infortunio, questa volta alla caviglia, ma l’incidente più grave arrivò nel momento per lui più importante: una partita della terza stagione contro Iowa State.
Il padre, appena rilasciato dalla prigione, stava guardando per la prima volta una partita del figlio dagli spalti. Adrian realizza un touchdown dopo aver seminato gli avversari, ma tuffandosi in end zone atterra in modo scomposto e si rompe la clavicola. Dovrà stare fuori per qualche mese e tornerà a giocare solo nell’ultima partita, una sconfitta contro Boise State, nella quale giocherà una gara mediocre, riuscendo a guadagnare solo poche yards.
Quando si dichiara eleggibile per il draft del 2007 Peterson è un atleta forte e veloce, mentalmente temprato dai diversi infortuni e dalle varie vicissitudini esistenziali. I dubbi su di lui riguardano soprattutto la completa guarigione dall’infortunio alla clavicola e la tendenza a infortunarsi che, secondo molti, non gli avrebbe garantito una carriera duratura.
Gli ostacoli da superare, comunque, erano appena iniziati. Nel 2007 il fratellastro diciannovenne di Adrian, Chris, venne assassinato a Houston. Il giorno dopo Peterson non avrebbe però permesso alla tragedia di rallentarlo, correndo 4.40 sulle 40 yards alla NFL scouting combine, secondo più veloce tra tutti i running back, un tempo che lo porterà a essere scelto alla settima posizione nel draft.
L’ultima volta che si erano sentiti, Chris aveva detto ad Adrian di dare tutto sé stesso per cogliere la grande occasione che gli si presentava davanti. "All Day" non lo aveva deluso, aveva scritto il nome del fratellastro sulle scarpe e aveva corso senza guardarsi indietro.
Abbattere il prossimo
La cosa che salta all’occhio guardando i video delle corse con cui annichilisce le difese avversarie è che "All Day" non corre per evitare il contatto con i difensori, non è la loro preda. Quando sono davanti a lui attacca e se li coglie impreparati corre loro addosso, pronto al contatto, sicuro di avere la forza necessaria per utilizzarli come un appoggio e ripartire, ancora più veloce. Peterson ha potenza, equilibrio, esplosività, legge benissimo il gioco, è agile e rapido nei cambi di direzione. È probabilmente il migliore running back in assoluto nella tecnica dello stiff arm, che consiste nello stendere davanti a sé il braccio che non protegge la palla, spostando l’avversario e mandandolo fuori equilibrio, trasformando così l’arto in un ariete da sfondamento. Eccolo utilizzare questo fondamentale contro i Cleveland Browns, nel 2009:
Peterson è abituato a rimuovere da solo gli ostacoli che gli si presentano davanti, o, per meglio dire, è abituato a passarci sopra, dopo averli abbattuti. Per informazioni al riguardo potremmo chiedere a William Gay, il malcapitato cornerback dei Pittsburgh Steelers che nel 2009 si è visto arrivare addosso un camion che lo ha scaraventato a terra e calpestato, proseguendo nella sua corsa. Gay dovette lasciare la partita per una commozione cerebrale, e difficilmente potrà scordare l’episodio. «Mi ha investito», dirà qualche anno dopo il giocatore degli Steelers commentando il brutale trattamento a cui Peterson lo aveva sottoposto:
Al primo anno nella NFL, stagione 2007/08, "All Day" ha stabilito il record per yards guadagnate in una sola partita, arrivando a 296 contro i San Diego Chargers.
All’occorrenza era in grado di volare letteralmente sopra gli avversari, ma normalmente si limitava ad abbatterli.
Fragilità
Il momento più buio della vita sportiva di Peterson arriva il 24 dicembre del 2011. Rottura del legamento crociato anteriore e del legamento mediale collaterale contro i Washington Redskins. I più ottimisti pronosticano lo stop di un anno.
Adrian dichiara la sua intenzione di tornare e di farlo come un giocatore migliore, più forte di prima. Nessuno ci aveva creduto, erano state considerate parole di circostanza, dato che normalmente è difficile tornare in fretta alle statistiche e al rendimento pre-infortunio dopo un incidente simile. Ancora oggi, un trauma del genere può mettere in serio pericolo una carriera, segnando indelebilmente il corpo e la tenuta mentale. Non si era mai visto prima un recupero così veloce da un infortunio di questa portata. "All Day" però si è concentrato sul tempo che aveva a disposizione, ha scommesso sulla sua volontà ed è davvero tornato più forte di prima.
Nove mesi dopo la partita contro Washington, una tempistica da record, Peterson era già in campo e non sembrava per nulla spaventato. Alla fine sfiorerà il primato di tutti i tempi stabilito da Eric Dickerson per numero di yards corse in una stagione, verrà premiato come MVP 2012 e porterà Minnesota ai playoff, risultato che la franchigia non raggiungeva dal 2009.
I Vikings sarebbero usciti dai playoff al primo turno, eliminati proprio da Green Bay. La stagione successiva fu segnata da un’altra tragedia. Nell’ottobre 2013 uno dei suoi figli, della cui esistenza era venuto a conoscenza solo poco tempo prima, muore a causa di un’aggressione subita dal fidanzato della madre. Il loro unico incontro avverrà in un ospedale del Sud Dakota, il giorno prima della morte del piccolo, che aveva soltanto due anni. Adrian non ne vorrà mai parlare con la stampa.
Due giorni dopo tornerà in campo contro i Carolina Panthers, la preghiera come sua unica alleata. Quando gli chiedono delle polemiche sul numero effettivo dei suoi figli, risponde che non ci pensa. Evita l’ostacolo, non si pone il problema dell’opinione altrui e corre ancora una volta in avanti, senza voltarsi.
Un interessante mini-documentario girato da ESPN sulla sua storia.
A un certo punto della carriera, dopo l’incredibile stagione 2012/13, la distanza che lo separava dal raggiungimento del più ambizioso degli obiettivi, cioè essere considerato il giocatore di football più forte di sempre, sembrava stesse assottigliandosi. All’appello mancavano ancora le vittorie di squadra, a causa dell’inadeguatezza del suo supporting cast. I Minnesota Vikings non riuscivano infatti a fare il salto tra le squadre più competitive della lega.
Poi, in un giorno di settembre del 2014, dopo l’esordio stagionale, sulla carriera di Adrian Peterson è scesa improvvisamente l’oscurità. Peterson è stato accusato di aver percosso il figlio di quattro anni con un ramo, provocandogli ferite su gran parte del corpo. "All Day" è stato così sospeso per tutta la stagione 2014/15.
L’estate 2015 è trascorsa in mezzo a mille dubbi e domande. Il ritiro era vicino? Avrebbe giocato ancora nella stessa squadra? Attorno ai trent’anni inizia solitamente il declino per la maggior parte dei suoi pari ruolo, che fisiologicamente iniziano a perdere esplosività e rapidità. Adrian Peterson è però ancora oggi il running back dei Vikings.
Più che andare verso il viale del tramonto, sembra correre verso un’altra stagione ad altissimo livello. Il suo stile di gioco non è cambiato, la sua esplosività sembra immutata.
La velocità non pare proprio essere un problema.
"All Day" non ha giocato nella preseason, è stato 53 settimane senza entrare in campo. Prima della terza partita della stagione contro i Chargers, in cui metterà a segno due touchdown guidando la sua squadra alla vittoria, diceva di non essere al top.
La sua ultima prestazione dominante, contro gli Atlanta Falcons (la squadra numero uno della lega quando si tratta di difendere sulle "corse" avversarie) gli ha portato ancora una volta molti elogi. I suoi cambi di direzione brucianti sembrano quelli degli anni migliori e la sua candidatura al premio di Comeback Player of the Year appare sempre più fondata.
"All Day" ha dichiarato di volere continuare a giocare ad alto livello fino a 37 anni, impresa quasi impossibile per un running back. La stagione regolare 2015/16 ha visto i Vikings vincere la loro division, evento che non si verificava dal 2009, e qualificarsi ai playoff. Peterson ha guadagnato 1485 yards su corsa, primo nella lega, facendo registrare la sua terza miglior stagione di sempre. Peterson sembra voler ignorare i propri limiti e questo vale anche per le pieghe più oscure della sua vita.
Su ESPN Eli Saslow ha scritto che "All Day" vive in una specie di realtà sospesa. Nel momento più difficile si è ritirato a Palestine, casa sua, circondato dagli affetti più cari, cercando di dimenticare la pubblica disapprovazione. Le punizioni corporali non erano state estranee alla sua educazione, dal padre fino ai suoi allenatori, e Adrian stava semplicemente seguendo i suoi modelli educativi, nient’altro. Questa sarebbe l’opinione di Peterson e di chi gli sta vicino. "All Day" probabilmente si chiede anche se sarebbe riuscito a fare così tanta strada in uno sport violento come il football, senza l’abitudine alla sofferenza fisica sviluppata nei primi anni di vita.
Mentre viene giudicato dall'esterno, il running back texano si rinchiude nel suo piccolo mondo, dove nessuno può criticarlo o incolparlo di qualcosa. Un altro figlio è in arrivo e per lui e quelli che lo circondano l’unica cosa giusta da fare è festeggiare. Pare che Peterson non consenta a nessuno del suo circolo più ristretto di pronunciare la parola "abuso".
L’ultimo tatuaggio di "All Day" è il disegno di una corazza, raffigurazione dell’ennesima armatura che possa difenderlo dal mondo e che gli permetta di continuare a sentirsi indistruttibile. Sembra quasi che il robot interpretato da Adrian qualche anno fa nello spot della Nike girato da David Fincher abbia preso il posto dell’uomo, senza più accontentarsi di esserne solamente l’alter ego che scende in campo.
Come ripete a sé stesso prima di entrare in campo: "All Day, everyday".