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Chi sarà il prossimo allenatore del Napoli?
24 mag 2023
Pregi e difetti dei possibili sostituti di Spalletti.
(articolo)
12 min
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IMAGO / Gribaudi/ImagePhoto
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Chissà quando si è consumata, veramente, la rottura tra Aurelio De Laurentiis e Luciano Spalletti. Se in realtà le loro strade si fossero virtualmente divise molto prima di qualche giorno fa, poco dopo la conquista del terzo scudetto, quando in mezzo ai preparativi e al lancio di tutto il marketing correlato al successo (il gelato del Napoli, il prosecco del Napoli, etc.) è venuto fuori che Spalletti poteva andar via. «De Laurentiis deve parlare a me del futuro» ha detto il tecnico in quella mesta conferenza post-vittoria. Poi è venuto fuori che il 19 aprile la società gli ha rinnovato il contratto in automatico tramite PEC. Spalletti, che è uno all’antica, avrebbe almeno voluto una chiacchierata, una proposta diversa, una stretta di mano, qualcosa di meno gelido. Ora la rottura sembra irreversibile e tanto vale interrogarsi su chi potrà essere il suo successore sulla panchina della squadra campione d’Italia.

Luis Enrique

Una fede incrollabile nel 4-3-3 che ha fatto la fortuna della squadra di Spalletti, la possibilità di proseguire nel solco del calcio tecnico di matrice spagnola che con Benitez di fatto ha aperto il ciclo del Napoli, l’orizzonte di valorizzare alcune delle seconde linee che potrebbero diventare prime nel caso di cessioni sanguinose (come Giacomo Raspadori in caso della tanto temuta partenza di Victor Osimhen). Allora cosa può andare storto con l’ingaggio di Luis Enrique? O meglio, rigirando la domanda: davvero Luis Enrique è quell’El Dorado che i tifosi del Napoli, dai primi commenti, sembrano sognare? La soluzione perfetta che ti fa dire: come ho fatto a non pensarci prima?

Per provare a intuire il futuro bisogna inevitabilmente tornare sul passato e c’è da dire che Luis Enrique viene da una carriera più complicata da leggere di quanto l’impolverato ricordo del triplete a Barcellona forse non dica. La sua ultima esperienza con la Nazionale spagnola è stata negativa su più livelli, e in Italia forse tendiamo a dimenticarcene per l’umiliazione che rifilò all’Italia nella semifinale di Nations League del 2021 o per la partita di grande sofferenza a cui costrinse la squadra di Mancini nelle semifinali degli Europei dello stesso anno. Le due grandi competizioni a cui ha partecipato la Spagna con Luis Enrique in panchina, gli Europei prima e i Mondiali poi, sono stati deludenti per i risultati e anche per quel gioco che il nome dell’allenatore asturiano promette, con “la Roja” che nei 90 minuti ha vinto appena 2 delle 10 partite giocate (contro Slovacchia e Costa Rica).

Non sono tanto i risultati, che si possono leggere in qualunque modo e che alla luce dell’impoverimento tecnico della Nazionale spagnola ci possono anche stare, ma il modo. Luis Enrique, com’è di sua natura, ha fatto all-in, su gioco e gruppo, e alla fine, come si dice, la montagna ha partorito solo il topolino. In patria ha litigato praticamente con tutti: prima con il suo vice Robert Moreno (che lo aveva sostituito all’inizio della sua esperienza), accusato di volergli rubare il posto, poi con tutto il mondo madridista, indispettito dalla mancata convocazione di giocatori di proprietà o origine della “Casa Blanca”. Anche al di fuori di alcune polemiche interne, alcune scelte rimangono incomprensibili ancora oggi, come l’esclusione completa dalla rosa di David De Gea (a favore dell’acerbo Unaì Simon) e Thiago Alcantara (per il sommo sbigottimento di Tomiyasu, forse lo ricorderete).

Luis Enrique è fatto così, lo sappiamo, rimane da vedere se così andrebbe bene per il Napoli, una società che non si sta facendo problemi a lasciar andar via l’allenatore che ha appena vinto lo Scudetto per incomprensioni contrattuali. Non è solo il rapporto con De Laurentiis a spaventare, ma anche i suoi metodi nella formazione del gruppo, attraverso cui spesso traccia una linea netta tra chi è dentro e chi è fuori. Una caratteristica che ha portato The Athletic a definirlo “un manager old-school all’inglese” e che lo differenzia da Luciano Spalletti, che invece fa del pragmatismo nei confronti della rosa uno dei suoi punti di forza. Il carattere di Luis Enrique fa riflettere sul giocatore eccellente di questa rosa con cui potrebbe scontrarsi in campo, se Victor Osimhen che allunga troppo la squadra o Zambo Anguissa che porta troppo palla o ancora Piotr Zielinski che va troppo spesso in verticale. Sono congetture che ci portano molto in là nel tempo, ovviamente, e anche il mercato potrebbe aiutarlo a formare un gruppo a lui congeniale. Ma insomma vale la vecchia regola per cui non è oro tutto ciò che luccica. E oggi il nome di Luis Enrique luccica parecchio.


Vincenzo Italiano

Qualche anno fa, dopo una sorprendente sconfitta contro il suo Spezia, Aurelio De Laurentiis scese negli spogliatoi per congratularsi con Vincenzo Italiano. Un episodio raccontato da mille protagonisti diversi e in tutti i dettagli, ritirato fuori ogni volta che ci si avvicina alla fine di una stagione e si scrivono pezzi come questo, in cui si danno le quote per il nuovo allenatore del Napoli.

Italiano è un maniaco di questo gioco. Uno che rimane alzato la notte a guardare i video su Wyscout dei movimenti dei terzini della squadra avversaria. È un uomo mangiato dallo stress del calcio, trasfigurato dalla tensione, che pare sempre sull’orlo della crisi nervosa definitiva. Andare al Napoli per lui sarebbe un crash test notevole.

Sul suo spessore, finora, ha dato messaggi ambivalenti. Le sue squadre hanno il pregio di avere un’identità spiccata, riconoscibile e al passo coi tempi, ma sono anche squadre talvolta fragili difensivamente, e che piombano in preoccupanti astinenze offensive. La sua Fiorentina, per esempio, sembra una squadra molto rigida e troppo dipendente dalle sue individualità rispetto al Napoli iper-fluido di Spalletti. È però anche una squadra estremamente efficiente nella risalita del campo.

Italiano è uno degli allenatori emergenti della Serie A, e lo è in modo controculturale rispetto alla nostra tradizione. Scommettere su di lui sarebbe persino più azzardato rispetto a quando il Napoli scelse Maurizio Sarri. Ma il Napoli, rispetto a quel periodo storico, non ha fatto troppi passi in avanti per scegliere un allenatore non ancora del tutto affermato? La scelta di De Laurentiis ci dirà qualcosa in più, ovviamente, sulle ambizioni del club.


Rafa Benitez

Tra i nomi che girano, quello di Rafa Benitez è il più improbabile. C’è stata una rivalutazione del suo biennio a Napoli (2013/2015), deludente dal punto dei vista dei risultati (anche se sono arrivati due trofei), ma capace di portare in città gente come Higuain, Callejon, Mertens e Koulibaly e di avviare una certa idea di calcio che poi sarebbe fiorita con Sarri. Il fatto è che dopo Napoli la carriera di Benitez è deragliata: un passaggio tremendo al Real Madrid (esonerato a stagione in corso), un mesto triennio al Newcastle (con cui centra la promozione in Premier League, ma insomma), un salto in Cina e poi il disastro con l’Everton, esonerato dopo averlo trascinato sull’orlo della retrocessione.

Perché il Napoli, insomma, dovrebbe affidarsi a Benitez? Lui recentemente ha detto di aver lavorato duramente in questi mesi, di essersi aggiornato e di essere pronto a una nuova sfida. Nella considerazione generale è visto come un “gestore”, quegli allenatori capaci di far rendere una rosa non imponendo la propria visione, che funzionano bene se alternati ad allenatori più dogmatici. L’idea, quindi, sarebbe quella di affidargli le chiavi di una squadra che funziona bene nella speranza che riesca a gestirla, non mandarla fuori giri ma piuttosto incanalarla verso una normalità vincente. Inoltre, Benitez, è riconosciuto per i suoi successi in campo europeo e De Laurentiis dopo lo Scudetto ha il sogno di fare il massimo anche in Champions League.

Tra i nomi che si fanno rimane quello più superato dalla storia, il meno affidabile. Anche per questo c’è chi parla, piuttosto, di un possibile ruolo da direttore tecnico. Benitez è sempre stato un allenatore presente in tutti gli aspetti di una squadra, da quelli più dirigenziali al mercato e questo passo avrebbe un senso. Se ne parla abbinato a Luis Enrique, due spagnoli per il Napoli. Non sappiamo se Benitez sia pronto a questo passo “dietro la scrivania”, ma forse, se proprio De Laurentiis volesse richiamarlo, sarebbe meglio in questo ruolo.


Roberto De Zerbi

Appena incoronato da Guardiola («è uno dei manager più influenti degli ultimi 20 anni»), De Zerbi è il tecnico più chiacchierato del momento, il più indicato per fare il salto ed entrare nel gotha dei migliori al mondo. Il suo calcio, poi, sarebbe in continuità con quello di Spalletti, pur nelle differenze. De Zerbi è un allenatore che plasma le sue squadre su alcune idee ben precise, come il dominio del pallone e la fluidità degli interpreti, in questo indubbiamente troverebbe una squadra già pronta a recepire i suoi principi. Inoltre troverebbe una rosa praticamente già costruita, al netto di quelle che saranno le partenze. Come se non bastasse, De Zerbi ha vestito la maglia del Napoli tra il 2006 e il 2008.

Insomma, sembra un win-win, praticamente un affare da chiudere al più presto. C’è però più di un’incognita. De Zerbi ha pochissima esperienza in Europa (una brutta Champions League con lo Shakhtar) e non è detto che sia già pronto per il livello successivo. De Laurentiis spesso - tranne che con Sarri - ha preferito affidarsi a tecnici esperti. Certo, in qualche modo De Zerbi somiglia al tecnico toscano che a Napoli ha fatto grande calcio. Ma non è solo questo: il presidente del Napoli per liberarlo dovrebbe pagare una clausola al Brighton e non è famoso per essere uno che ama spendere dei soldi così. È, comunque, un rischio che per il Napoli varrebbe la pena prendere, anche perché - se De Zerbi dovesse continuare a fare bene come sembra poter fare - non è detto che ci saranno altre possibilità per ingaggiarlo. Già oggi il tecnico del Brighton è molto ambito dalle migliori squadre della Premier League. Se n’è parlato per Chelsea e Tottenham, che poi - sembra - hanno scelto di andare altrove. Due squadre al momento non migliori del Napoli che però possono offrire uno contratto e un budget molto più alto, più tutte le attenzioni riservate al campionato inglese. Insomma, se vogliamo vedere De Zerbi allenare in Serie A è un'ora o chissà quando.


Antonio Conte

«De Laurentiis ha contattato Conte per offrirgli la panchina del Napoli. La reazione dell’allenatore» si legge in giro, nei più reconditi portali di calcio Napoli. Qual è stata la reazione? A quanto pare la sua reazione è stata “Ok Giuntoli, e mo comprami Kanté”. Non so perché non riesco a fidarmi di questa notizia. Il Napoli ha sempre scelto allenatori di prima fascia (o scommesse ambiziose come Sarri), anche cambiando a fondo l’idea alla base - da Mazzarri a Benitez, per esempio, o da Sarri ad Ancelotti. Eppure è difficile immaginare in che modo, sul piano tattico, Conte potrebbe allenare il Napoli senza aver bisogno di sostanziali stravolgimenti di rosa. Il suo è un calcio codificato, ideologico, con una rigidità che è il contrario dei principi con cui il Napoli ha vinto lo scudetto. Il suo calcio pare un po’ invecchiato, a dire il vero, e mal si addice a una squadra invece fresca come l’ultimo Napoli. 3-4-2-1 con Raspadori e Kvara dietro Osimhen? Non so, è difficile trovare prospettive che non siano vagamente deprimenti.


Julian Nagelsmann

Ci sono allenatori che sarebbero più strani in Serie A? L’allenatore che gioca con nove giocatori sopra la linea della palla nel campionato che attacca sempre in inferiorità numerica. Il laptop trainer più estremo, più radicale, nel calcio più ferocemente anti-scientifico e anti-intellettuale. Non c’è niente di Julian Nagelsmann che gli italiani potrebbero non odiare. Niente. La sua supponenza, la sua spregiudicatezza, le sue idee. Il semplice fatto che è tedesco. Ve lo immaginate girare in hoverboard dentro Castel Volturno? Chiamata semplicemente senza senso, quindi la migliore.


Roberto Mancini

Allegri sulla panchina della Nazionale e Roberto Mancini su quella del Napoli: lo scambio di cui si chiacchiera sembra semplice. Ve lo immaginate Allegri a dover gestire la comunicazione istituzionale, da Poste Italiane, della Nazionale? Ve lo immaginate invece Roberto Mancini, che sembra nato per fare il CT - a cominciare dal fatto che si lavora pochissimo - dentro la lavatrice di stress che significa allenare il Napoli?

È un passaggio umanamente difficile da immaginare, calcisticamente invece si possono trovare ragioni.

Mancini ha un bellissimo curriculum, lo sappiamo, e ha dimostrato di essere un allenatore flessibile e capace di creare una squadra di successo e con principi tattici contemporanei e basati sul possesso palla. È difficile però immaginare come la sua freddezza - che è una freddezza istituzionale - nel contesto di Napoli e nel rapporto con De Laurentiis. È una scelta che avrebbe molto senso per alcune cose, ma assolutamente nessun senso per altre. Siamo pronti a stupirci.


Gian Piero Gasperini

Per un attimo è sembrata una possibilità concreta. Gasperini che lascia l’Atalanta dopo sette stagioni per andare a Napoli e vedere che si può fare. Anche più che per Conte, il suo approdo alla corte di De Laurentiis sarebbe difficile anche solo da immaginare. Gasperini è per idee e storia l’allenatore più lontano da quello che è il Napoli oggi. Le rivoluzioni, però, non sono un pranzo di gala. Magari, dopo aver centrato finalmente lo Scudetto, per De Laurentiis è ora di cambiare tutto, abbandonare la strada battuta un sacco di anni fa, con la ricerca della vittoria attraverso un gioco raffinato e di possesso per prendere quella opposta: la vittoria tramite un bruto dominio fisico dell’avversario.

Non c’è dubbio che Gasperini sia un ottimo allenatore e che, nel contesto giusto, possa ricreare quanto fatto a Bergamo. Fare anche meglio, con le risorse del Napoli. Ovviamente ci sarebbe molto da lavorare, una rosa da ritoccare, giocatori da catechizzare, ma non è vero, come si dice in giro, che è un suicidio tattico. Quanti dei giocatori del Napoli sarebbero inadeguati con Gasperini? Mario Rui, probabilmente, e poi? Lobotka, forse, ma può essere usato per fare cassa. Kvara è così forte che non possiamo scartarne a priori un suo successo in un sistema come quello di Gasperini. C’è da dire che forse noi, da fruitori, non siamo pronti all’idea di un Napoli che cambia totalmente la sua identità. La realtà, però, è che Spalletti se n'è andato, e inseguire la sua versione del Napoli sarebbe un errore. Allora perché non farne uno completamente differente?




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