Senza che ce ne accorgessimo i ragionamenti strategici sull’assenza della regola sui gol in trasferta sono calati improvvisamente sulle partite di Champions League come una nebbiolina fina e appiccicosa. Prima della partita di San Siro, Jurgen Klopp aveva chiesto ai suoi di non fidarsi troppo di Anfield, come se ci volesse un atto di coraggio per provare a segnare all’andata. Avremmo visto per la prima volta un Liverpool attendista, che cerca di non prendere gol invece di farne uno in più dell’avversario? Quanto poteva fidarsi effettivamente della mistica di Anfield la squadra di Klopp? Quanto poteva pensare di sfidarla l’Inter? Forse erano queste domande, o forse era il freddo, o forse il pubblico distanziato e ligio al dovere di rimanere al proprio posto come i cartonati virtuali di PES, in ogni caso Inter-Liverpool ha cominciato con una strana stanchezza addosso, come se le due squadre non sapessero esattamente cosa fare. A un certo punto Vidal, sempre a disagio in ambienti troppo asettici come se la calma gli pesasse fisicamente addosso, ha provato a scuotere San Siro come una vecchia tovaglia della nonna, ma lo strato di polvere è volato in aria solo per un attimo ed è ricaduto esattamente dov’era.
In questo ambiente ovattato la sfida tra il pressing alto del Liverpool e l’esigenza da parte dell’Inter di aggirarlo - anzi, di sfruttarlo a proprio favore - è sembrata inizialmente rallentata, imprecisa, quasi sempre fuori fuoco. Le squadra di Inzaghi e Klopp per tutto il primo tempo sono state due magneti dello stesso segno che provavano ad avvicinarsi nonostante la forza che li respingeva. L’allenatore tedesco aveva piazzato una trappola proprio davanti l’area avversaria, e l’Inter ci ha messo un po’ a capire come disinnescarla, e quindi ad andare a svelare la fragilità che il Liverpool nascondeva alle sue spalle. Jota si metteva tra de Vrij e Brozovic, mentre Salah e Mané chiudevano le porte esterne che permettevano al centrale olandese di andare da Bastoni e Skriniar. Contemporaneamente le due mezzali, Thiago Alcantara e Eliott, salivano alle spalle di Vidal e Calhanoglu. In questo modo il Liverpool invitava l’Inter a portare la palla al centro della propria trequarti, dove lo spazio a disposizione però si restringeva mano a mano che si cercava di far risalire il pallone.
De Vrij prova ad infilarsi nella trappola del Liverpool per servire Dzeko ma finisce per regalare palla all'avversario in una zona pericolosissima. Si farà perdonare murando il tiro da dentro l'area di Salah.
Nonostante questo, la squadra di Inzaghi ha dimostrato di essere talmente salda nelle proprie convinzioni che, invece di provare ad aggirarlo, ha inizialmente cercato entrare in questo spazio minuscolo rimpicciolendo i propri giocatori come Alice nel Paese delle Meraviglie. Non tutti i centrocampisti dell’Inter però mangiavano la parte giusta del fungo del Brucaliffo e, arrivati nella zona calda, i loro passi diventavano troppo impacciati, i loro tocchi troppo imprecisi, e spesso finivano per perdere palla esattamente nella zona di campo dove il Liverpool voleva riconquistarla. Il centrocampista nerazzurro più a suo agio a giocare sotto pressione anche durante il primo tempo è stato Hakan Calhanoglu - talmente a suo agio che a volte sembrava pattinare tra i giocatori del Liverpool anziché condurre un pallone in verticale. Il centrocampista turco, secondo i dati di StatsBomb, è il giocatore dell’Inter che ha realizzato più passaggi chiave (3, a pari merito con Perisic) e quello che con i suoi passaggi ha creato più Expected Goals, 0.14 sui 0.39 totali. Ma il suo contributo è stato pesante anche nella costruzione dell’azione, dove utilizzava il corpo per eludere gli avversari e i piedi per portare palla senza far perdere ritmo all’azione.
Nel primo tempo, però, Calhanoglu ha predicato nel deserto dove anche Brozovic ha finito per perdersi quasi subito. Grazie al suo sistema di pressing; all’efficacia dei lanci di van Dijk e Thiago Alcantara per Salah, sempre abile a farsi trovare nello spazio tra de Vrij e Bastoni; e soprattutto all’efficacia delle sue palle inattive che, come avranno dolorosamente capito i tifosi nerazzurri, l’Inter non ha mai capito come difendere, la squadra di Klopp per tutto il primo tempo è entrata con relativa facilità in area. Ma sulla serata come detto aleggiava una strana nebbia e i tiri dei “Reds” sono finiti quasi tutti sui difensori dell’Inter, che provano un gusto tutto loro nello sdraiarsi a terra e trasformare i loro corpi in scudi, e quelli che non finivano ribattuti si trasformavano in occasioni mancate, come quella mandata alta di testa da Mané al 14' del primo tempo.
L’Inter ha continuato nella sua impresa donchisciottesca di sfidare il pressing del Liverpool passando per vie centrali, come se volesse rinnegare esplicitamente l’eredità di Antonio Conte, che spesso in queste situazioni chiedeva ai centrali di verticalizzare direttamente sulla prima punta, che avrebbe poi trasformato la questione in un duello corpo a corpo a centrocampo. La squadra di Inzaghi come riferimento davanti aveva quello che è ancora oggi uno degli attaccanti più forti nel gioco spalle alla porta, Edin Dzeko, eppure lo ha cercato pochissimo in fase di costruzione, nonostante questa soluzione avesse il vantaggio di poter attaccare successivamente il lato debole a sinistra con Ivan Perisic, uno degli uomini più in forma sul pianeta Terra in questo momento.
Una delle rare volte in cui Handanovic è andato diretto da Dzeko. L'attaccante bosniaco ha controllato van Dijk alle spalle e ha girato a sinistra per Perisic, in uno contro uno con Alexander Arnold.
Simone Inzaghi, dopo un primo tempo di riflessione che avrebbe potuto presentargli un conto più caro, ha preferito muovere le pedine sulla scacchiera. La soluzione è stata quella di allargare Bastoni a sinistra, facendolo giocare praticamente da terzino sinistro di una difesa a quattro, avanzando ulteriormente Perisic fino alla linea degli attaccanti. In questo modo Salah, per schermare la linea di passaggio verso Bastoni, era costretto ad allontanarsi troppo dal centro, sfilacciando la trappola del pressing del Liverpool e liberando de Vrij in fase di prima costruzione. Contemporaneamente Alexander-Arnold, trascinato verso il basso dai continui movimenti in profondità di Perisic, non poteva salire a contrastare Bastoni, che arrivato sulla trequarti può sempre far succedere qualcosa. Al 51', per esempio, proprio dal centro-sinistra della trequarti con un cross arcuato metterà Vidal tutto solo al centro dell'area ma il cileno, invece di provare a controllare il pallone e battere a rete, per qualche ragione deciderà di smorzare malamente il pallone di petto per Lautaro.
La mossa ha avuto anche il merito di riavvicinare i tre giocatori che più stanno facendo le fortune dell’Inter in questa stagione, e cioè Bastoni, Perisic e Calhanoglu, il cui triangolo nel secondo tempo ha ricominciato a girare come nelle migliori partite della squadra di Inzaghi. Attivato da questa dinamo tattica, soprattutto Perisic ha messo in mostra una delle migliori prestazioni di una stagione che era già da ricordare. Lo si era già capito al primo tempo, quando al 16' era riuscito a pescare quasi dal nulla l’inserimento dalla seconda linea Calhanoglu, che da dentro l’area con la consueta eleganza aveva controllato il pallone con sinistro per piazzarlo sotto la traversa con il sinistro. Nel secondo tempo, però, l’esterno croato è stato cercato con più continuità, a volte direttamente dalla difesa, con lanci lunghi che sembravano fatti solo per testare la sua capacità di tenerli in campo poco prima della linea di fondo, utilizzandola come un equilibrista per trasformarli in cross pericolosi. Per arginare l’esuberanza atletica di un uomo che forse potrebbe correre l’ultra-maratona, persino un giocatore creativo come Alexander-Arnold è stato costretto a una partita quasi esclusivamente difensiva che lo ha fatto sparire dal campo.
A mancare, però, è stata l’occupazione dell’area e l’ultima rifinitura, resa monca dalla prestazione anemica dei due attaccanti nerazzurri. Lautaro Martinez, in particolare, è sembrato giocare una partita tutta sua, come se fosse rinchiuso in una bolla di vetro in cui il tempo scorreva più lentamente. Quando usciva sulla trequarti per cucire il gioco l’attaccante argentino perdeva il filo del discorso sbagliando le ultime scelte, quando invece riceveva in area sembrava nuotare in acqua densa con una maglietta fradicia addosso.
L’entrata di Sanchez al 69' è sembrata subito ossigenare il gioco dell’Inter, ma è comunque arrivata troppo tardi. Appena entrato, il cileno ha innescato l’occasione più pericolosa dell’Inter rubando un pallone sporco a centrocampo, ma a quel punto la squadra di Inzaghi deve aver fatto infuriare una delle tante divinità di questo sport, che richiedono in questi momenti un certo grado di spietatezza. Dzeko, lanciato in porta da un estemporaneo colpo di genio di Vidal, ha invece deciso di graziare il suo avversario cercando Dumfries dall’altra parte dell’area di rigore con un passaggio che è sembrato sgonfiare la palla. A quel punto chi ha guardato la partita da fuori non ha potuto fare a meno di dire che l’Inter avrebbe perso la partita. E infatti così è stato e nel modo più brutale possibile.
I due gol che hanno deciso la partita - quello bellissimo di Firmino e quello sporco di Salah - sono due facce della stessa consumata verità secondo cui ciò che rende i giocatori grandi sono i gol nei momenti in cui tutto sembra remare contro. Ieri il Liverpool ce l'ha ricordato, rendendo la gara di ritorno per l'Inter un incubo persino maggiore di quello che già sembrava prima del fischio d'inizio. In nessun altro posto al mondo tutto sembra remarti contro come Anfield Road, dove l'Inter adesso dovrà vincere con almeno due gol di scarto per provare a rimanere in Champions League. In quell’inferno fatto di erba, urla e bandiere tra nemmeno venti giorni la squadra di Inzaghi scoprirà quali dei suoi giocatori sono davvero grandi.