All'università, per guadagnarmi 4CFU, ho seguito un corso che prometteva di fare chiarezza sulle annose differenze tra romanzo breve e racconto lungo. Quello che sosteneva la professoressa era, più o meno, che la differenza principale non sta tanto nel numero di pagine, non sta neanche nella struttura, la differenza principale sta nella porzione di mondo dei protagonisti raccontata e nella loro evoluzione.
Per farvi un esempio che avrebbe reso fiera la mia professoressa, in un multiverso in cui Ronaldo non si infortuna e segna lui il gol decisivo al 109°, avremmo avuto un racconto lungo (e anche un po' banale) di come Ronaldo salva di nuovo tutti con il suo eroismo.
Invece il suo infortunio dopo pochi minuti di gioco ci ha restituito un romanzo breve, ma molto complesso, su Cristiano Ronaldo e la sua evoluzione interiore.
Capitolo I
Gli scrittori che usano un protagonista unico per una serie di libri sono soliti presentare le caratteristiche principali del loro personaggio nelle prime pagine. Così chi si trova a leggere quel libro come primo, avrà subito una descrizione precisa di ciò che l'aspetta, mentre chi conosce già il protagonista, troverà conforto nella conferma delle sue peculiarità. In Francia - Portogallo, la prima volta che la telecamera inquadra Cristiano Ronaldo, lui guarda fisso nella telecamera e fa un'alzata di sopracciglia.
Il gesto è estremamente proprio del personaggio, è la classica gif che useremo per spiegare ad un alieno appena sceso sulla terra chi è Cristiano Ronaldo. Anche la telecamera puntata così, sulla sua faccia, ci racconta di un personaggio estremamente vanesio e pieno di sé, con quel sorriso appena accennato per mascherare la tensione, che gioco forza deve provare anche l'uomo con l'ego più grosso del mondo prima della partita che può farti salire un ulteriore scalino nella piramide della grandezza sportiva. Anche la scelta dell'autore di staccare subito dopo sulla tensione evidente di Giroud serve a rafforzare l'idea che abbiamo di CR7, come a volerci dire, guardate il contrasto tra il protagonista e un uomo normale con tutte le sue debolezze.
L'altra immagine usata per presentare, a chi ne avesse stranamente bisogno, il personaggio Cristiano Ronaldo, è il momento dell'inno. Di tutto il Portogallo, Nazione intendo, lui è l'unico a cantarlo ad occhi chiusi provando al tempo stesso a rimanere bello e a non stonare.
A questo punto abbiamo chiaro chi è CR7, cosa possiamo aspettarci da lui.
Essendo un romanzo breve, la svolta avviene quasi subito, ed ha la faccia inespressiva di Dimitri Payet.
Capitolo II
Il settimo minuto è iniziato da qualche secondo appena quando Ronaldo riceve un passaggio da Cedric. È un passaggio che CR7 chiama, correndogli incontro come fa lui per farti capire che gli devi passare il pallone. Lo riceve stoppandolo con la suola spalle alla porta. A vederlo ora sembra che ci vada più pigramente di quanto ti aspetteresti da lui, non immaginandosi che Payet sarebbe entrato duramente a contrasto con il suo ginocchio.
È il momento in cui tutto cambia. Caduto a terra Cristiano si mette le mani in faccia, il suo viso è contratto in una perenne smorfia di dolore, i medici entrano in campo con il cuore in gola. Siamo nell'ottavo minuto di gioco quando esce dal campo scuotendo la testa, ma sulle sue gambe. Nessuno pensa che possa essere finita qui: conosciamo la sua storia, il suo continuo spingersi oltre i limiti per essere il più forte di tutto, la sua convinzione di essere il più forte di tutti così forte da averci convinto che è il più forte di tutti, e col quasi che può farsi male così stupidamente.
Rientra dopo alcuni minuti che in Portogallo devono essere sembrate ore. Minuti in cui noi abbiamo scherzato su di lui, ipotizzato fosse tutto un ulteriore vezzo di CR7, il dolore, le mani sul volto, l'evidente zoppia che si porta dietro, tutto costruito per rendere ancora più eroica la sua vita eroica.
Cristiano Ronaldo rientra per tranquillizzare tutti, non mi sono fatto niente, io sono l'uomo più forte del mondo, ti pare che salto la partita più importante per la mia legacy solo perché uno che ha un quinto dei miei muscoli ha sbattuto il ginocchio contro il mio ginocchio?
Gioca diversi minuti in uno stato mentale che deve essere un incubo. Mentre tutti lo guardano lui è l'unico al mondo a sapere che la sua finale è finita lì, pensa a quanti secondi può stare ancora in piedi a ingannare tutti. Quel tentativo di stare in campo è la reazione che abbiamo a un lutto importante. Fingere che non sia successo davvero, che la vita può andare avanti uguale anche se tutto è cambiato. Ma non è possibile.
9 minuti dopo il primo colpo di scena, arriva il secondo, e ci trafigge come una coltellata nel petto. Scopre non solo tutte le debolezze dell'uomo Cristiano Ronaldo, ma anche le nostre. È quel momento bellissimo della letteratura che ti spinge la testa sotto l'acqua per insegnarti qualcosa. Ed è struggente. Cristiano si sdraia a terra e piange, non gli importa più essere il più forte del mondo, il più bello del mondo, Cristiano piange e basta. Gli si posa una falena sulle sopracciglia, che è una cosa così incredibile da essere veramente letteratura, una metafora così articolata che io veramente non ve la so spiegare, andrebbe chiesta al dio delle falene, allo scrittore di questa storia, al mio professore dell'università, andrebbe chiesta a qualcuno perché questo è il momento in cui la vita di Cristiano Ronaldo cambia ed ha in faccia una falena.
Assistiamo alla sua umanizzazione: i compagni che – uno a uno – gli si avvicinano per dargli una parola di conforto, parola di conforto che servirebbe più a loro. Gli si avvicina anche Pogba, che a quello aspira e allora deve andare a capire cosa vuol dire essere il più forte di tutti anche con le lacrime negli occhi, con un ginocchio fuori uso, con il culo per terra.
Ritornano i medici, che se sono davvero medici a questo punto hanno capito, ma non hanno il coraggio di dirglielo. Lo fasciano, lo rassicurano, e lui rientra. Noi a questo punto non sappiamo più qual è la realtà: è infortunato, non è infortunato, finge, non finge, gli amanti dell'NBA pensano a Paul Pierce, che uscito su una sedia a rotelle rientrò per vincere una finale; gli amanti del rugby già fanno i moralisti, strombazzano la superiorità del loro sport, dove nessuno si fa mai male veramente. Al 22esimo il Portogallo ha la migliore occasione dei tempi regolamentari, grazie a Cristiano Ronaldo che va a contendere una palla di testa in mezzo a due difensori, con un evidente distorsione al ginocchio. Ed è proprio nel momento in cui tutti crediamo sia tornato tutto al suo posto, che Ronaldo getta la spugna. Lo fa con una dignità nuova, acquisita nei quindici minuti precedenti.
Lo fa togliendosi la fascia da capitano e allacciandola al braccio di Nani. Il suo processo di umanizzazione è completo: può togliersi il mondo che si porta sulle spalle e passarlo a tutto il resto del Portogallo. Può gettare la maschera, rendersi vulnerabile, non rimettersi più in piedi ma abbandonarsi al suo infinito dolore che prenderà la forma della sua uscita in barella.
In altre circostanze ho scritto dell'inadeguatezza di Cristiano Ronaldo verso la realtà costituita, di come rosica, di come continua a rosicare, di come non ha nessun interesse a starvi simpatico. Eppure quell'uscita in barella lo riscatta come uomo. La sua grandezza la capiamo da come viene incitato anche dai tifosi francesi davanti ai maxischermi, da come ci sentiamo noi a vederlo così inerte su quella barella dopo che pochi giorni prima aveva riscritto il significato di restare in aria.
Capitolo III
Il terzo capitolo è quello in cui il protagonista scompare. Parte per un lungo viaggio di cui siamo all'oscuro e l'attenzione si sposta sugli altri personaggi. Ci racconta di Griezmann che prova di tutto per oscurarlo, di Pepe – l'amico fidato del protagonista con un nome da amico fidato di tutti i protagonisti del mondo – che fa di tutto per tenere in piedi le speranze del Portogallo, le speranze del suo amico che chissà dove è finito. Assistiamo alla costruzione del futuro di Cristiano Ronaldo senza però vederlo mai. Ed è questo un altro aspetto che mi fa dire che la partita di ieri è stata un romanzo. Anche in assenza del protagonista, tutti i personaggi si muovono in relazione a lui. Anche l'ingresso in campo di Eder, il deuteragonista, che diventerà l'unsung hero di questa storia è in relazione a Ronaldo. Il suo spirito si aggira per il terreno di gioco per tutti i quasi 70 minuti in cui è stato fuori.
Capitolo IV
Il quarto capitolo si apre con un’immagine visivamente fortissima: Cristiano Ronaldo torna quando noi ci stiamo per scordare di lui. Lo fa alla fine dei tempi regolamentari, mentre i suoi compagni si trovano a dover affrontare un ulteriore prova senza di lui. Lo fa come un uomo nuovo, che trasforma le sue responsabilità interne, in responsabilità esterne. Ritorna in borghese, con le scarpe da tennis e i calzini di spugna, e anche le gambe sembrano già più piccole, più normali. Batte le mani ai compagni, prende la testa di Quaresma tra le mani e lo incita.
L'ultima immagine che vediamo è di lui chinato sopra Eder mentre gli parla in maniera affettuosa. Noi ancora non lo sappiamo, ma probabilmente questo è il momento in cui Cristiano Ronaldo è andato da Eder e gli ha passato il testimone. CR7 che l'ha visto allenarsi per un mese e sa quanto talento passa tra lui ed Eder è andato lì e gli ha detto che avrebbe segnato il gol vittoria.
Capitolo V
È cambiato talmente tanto Cristiano Ronaldo che può permettersi un intero capitolo di soli siparietti. Poteva scegliere di starsene fermo col suo ginocchio infortunato e piangersi addosso, poteva mettere in atto la più grossa rosicata della sua vita, mantenendo quel suo atteggiamento passivo-aggressivo che tutti conosciamo. E invece ora che sta in panchina non deve più mantenere la postura CR7, può sfogarsi in maniera strana, dando pugnetti sulla coscia dei compagni e poi scusandosi subito in maniera sincera.
Può diventare l'ombra di Fernando Santos, fare suoi tutti i classici tic degli allenatori per incitare la squadra. In tutti i supplementari non sta mai un attimo fermo, è evidente che sta giocando anche lui per quello che può. È così trascinante che siamo ancora convinti possa entrare in campo, ribaltare ancora una volta questo romanzo, e tornare a fare il suo mestiere di eroe. Anche quando urla e sgrida i compagni non c'è più nulla del vecchio CR7 che vuole umiliarti, sono i rimproveri del migliore amico, le lavate di capo che servono ai compagni per rimettersi in rotta e ripartire. E magari non è un caso che proprio nei supplementari che il Portogallo fa le cose migliori, prima colpendo la traversa con Guerreiro e poi salendo sul tetto d'Europa con Eder, quello a cui Ronaldo aveva predetto tutto.
Dopo il gol tutta la gioia di Ronaldo può esplodere senza filtri. Una volta che le maschere sono cadute va benissimo anche piangere di nuovo, abbandonare completamente quella perfezione delle prime pagine fino a trasfigurarsi talmente tanto che per la prima volta Cristiano Ronaldo ci appare brutto ma felice.
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Capitolo VI
L'ultimo capitolo è la chiusura del cerchio. Il protagonista ha risolto tutti i conflitti interiori ed ora può fare i conti con il suo passato senza più drammi.
Può abbracciare chi gli ha rubato la scena e acclamarlo come il suo ragazzo.
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Può ritrovare un vecchio maestro e abbracciarlo come fosse un padre.
Può fare lo scemo.
Tutto gli è concesso perché non contano più i gol, i minuti giocati, l'aver fatto più tiri di tutti, l'aver sbagliato più tiri di tutti. Non importa neppure che Griezmann ha giocato un Europeo migliore del suo. Importa solo quello che resta. Importa essere diventato in 120 minuti, un leader diverso, sicuramente più debole, sicuramente più umano.
La chiusura è necessariamente la sua intervista post partita. 80 secondi in cui dice alcune cose enormi: che è uno dei momenti più felici della sua carriera, una carriera sempre più incredibile; che questa vittoria la cercava da tempo, dal 2004 chiedeva a Dio una rivincita. Dice che anche se è stato fortunato, lui credeva nei suoi compagni, nel suo allenatore, nella tattica. Non è la prima volta che dice queste cose, ma è la prima volta che le dice senza esserne parte. E si vede che lo ha accettato, che questa vittoria va oltre il suo ego. Come dice è la vittoria del Portogallo. Ringrazia tutti i suoi concittadini, ringrazia tutti gli immigrati portoghesi in Francia. Li chiama proprio così, immigrati, come se per empatia capisse quanto conta questa vittoria per loro che sono immigrati.
Infine chiude con una frase banale detta in maniera incredibile. Guardate e ascoltate quanto è tornato il CR7 che tutti conosciamo, come fa una pausa dopo la parola momento guarda fisso nella telecamera per una frazione di secondo – tornando quello dell'inizio della partita - prima di pronunciare la parola inolvidable (?). Del sorrisino che fa dopo all'intervistatore, come per tranquillizzare tutti i giornalisti del mondo, che tranquilli, sono tornato quello io, quello solito, che vi farà scrivere fiumi d'inchiostro, che mi sono già preso il Real Madrid sulle spalle e aspettate solo un attimo che mi rigenero il ginocchio.
Perché anche nei romanzi deve succedere tutto per non far succedere niente.
Epilogo
Andiamo avanti di parecchi anni nel tempo: troviamo uno dei personaggi minori, Cedric Soares - oramai invecchiato - che racconta la finale dell'Europeo del 2016 ai nipoti, rivelandoci finalmente cosa ha fatto Ronaldo per tutti i minuti in cui non lo abbiamo avuto davanti. Gli racconta la paura che ha avuto quando il suo capitano si è fatto male ed è uscito. Gli racconta di quanto era importante per quella squadra CR7, quanto le loro speranze passassero per la sua forza. Ma gli racconta anche di quando, tornati nello spogliatoio, lo hanno trovato lì. Del discorso motivazionale che ha tenuto, di come gli ha detto di ascoltare la gente là fuori. Di come era sicuro avrebbero vinto, di stare uniti e compatti per lottare insieme.
Cedric ha messo il nipotino più piccolo sulle sue gambe e gli ha spiegato che magari potrebbe sembrare un discorso banale, ma immaginatevelo fatto da Cristiano Ronaldo. Cedric dice che quel discorso è servito per capire cosa vuol dire essere Cristiano Ronaldo, indossare i suoi muscoli, portare le speranze di tutti sulle spalle. Cedric (o Pepe, o Renato Sanches magari) racconta ai nipotini che quello è stato il giorno in cui Cristiano Ronaldo e la sua narrativa sono cambiati per sempre.
Sarà così?