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Anche Neuer è un essere umano
14 apr 2017
Il portiere di Bayern e Germania non è freddo come viene rappresentato.
(articolo)
7 min
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Ha vinto tutto, è il capitano della nazionale, ha portato il suo ruolo a un livello superiore. Da anni è tra i migliori portieri al mondo, tra i migliori portieri tedeschi di sempre. Gioca in uno dei club più famosi del pianeta, che lui spiega così: «Ci sono persone che non hanno idea di dove sia Monaco di Baviera, ma se gli dici Bayern Monaco iniziano a capire».

Carismatico, eccelso nella capacità di lettura, costante nel tempo. Ha ridefinito in chiave moderna la figura del portiere, lasciando l'area e usando i piedi con una frequenza che parla di evoluzione. Sweeper-keeper. Qualcuno l'ha definito «il miglior libero dai tempi di Beckenbauer».

Nell'immaginario è una specie di robot, con la rigidità tedesca e l'insensibilità del campione.

Certo, è razionale. Ha affrontato la carriera ponendosi sempre piccoli obiettivi, uno dopo l'altro. Lineare, al punto da cantareI'm Singin' in the Rain sotto la doccia.

Forse però la razionalità è una chiave impropria. Tant'è vero che lui stesso rivendica l'istintività del suo gioco, spiega che non pensa molto e i suoi gesti sono automatismi. Più che cerebrale, insomma, si direbbe che Neuer è vigile, ultracontrollato.

C'è una battuta nella seconda stagione della serie Love di Netflix, in cui il coprotagonista Gus dice: «Sono tedesco e cattolico. Il massimo della repressione». A questo si può aggiungere, nel caso di Manuel Neuer, un padre poliziotto, un ruolo dove l'affidabilità è cruciale («I miei compagni devono avere la sensazione di poter sempre contare su di me») e un paio di vicende professionali abbastanza traumatiche da caricarlo di ulteriore responsabilità.

Ecco, per capire un po' di lui bisogna passare di qua.

Mondiali 2014, Quarti di finale.

La Francia assedia la Germania. Benzema scarica un tiro contro la porta, il pallone viene allontanato con tanta violenza che i telecronisti francesi pensano abbia colpito la traversa. Poi vedono le immagini al replay: “Ah, non. Le mur allemand!” Il muro tedesco. Neuer l'ha respinta.

Lui dirà a posteriori: “La dovevo prendere”, usando il verbo müssen, cioè il dovere privo di alternative.

Cattolico, molto. Quasi ossessionato dalla beneficienza, che sembra non bastargli mai. Ha creato una fondazione con cui sostiene un programma della Chiesa cattolica di Gelsenkirchen, per bambini disagiati della Ruhr, e una squadra di calcio giovanile legata ai frati Amigoniani.

Slegato dalle cose materiali, almeno nell'immagine di sé che gli interessa dare. Se andasse a fuoco casa sua, Neuer dice che non salverebbe niente. L'unico oggetto che definisce “speciale” è la maglia della prima gara internazionale.

In chiesa si sposerà nei prossimi mesi. Una basilica settecentesca in Italia, a Martina Franca, dove Neuer era stato avvistato con enorme stupore a febbraio.

Tedesco di Gelsenkirchen, nel cuore della Ruhr. Dove tutto ruota intorno all'industria pesante, al superamento del'industria pesante e allo Schalke. Manuel Neuer ci è nato il 27 marzo 1986. Tifa per la squadra cittadina, è nel gruppo “Ultras Gelsenkirchen”. Ed è anche un talento delle giovanili del club, che in quegli anni sfornano futuri campioni del mondo come Özil, Höwedes e Draxler.

Esordisce in prima squadra a vent'anni, una trasferta che finisce con una vittoria nonostante l'inferiorità numerica. Neuer non subisce reti ed è “davvero felice”. La notte non dorme per il nervosismo.

Da quel momento si imporrà con la maglia biancoblu, diventerà titolare, poi addirittura giovanissimo capitano. Nel 2007/08 sarà assoluto protagonista nella vittoria ai rigori contro il Porto in Champions League, permettendo allo Schalke di raggiungere i Quarti per la prima volta nella sua storia.

Farà tanto bene da essere corteggiato dai migliori club del mondo.

Ad aprile 2011, in una conferenza stampa, annuncia di volere andar via dallo Schalke. Ha la voce rotta, gli occhi pieni di lacrime, deve interrompersi per non piangere. Dice che i suoi amici saranno delusi da lui. In effetti lascia persone che lo considerano uno di loro. Lui che è capitano della squadra e al ritorno dalle trasferte viaggia con i tifosi.

Il problema però è la destinazione. Non si tratta dell'estero: nell'estate 2011 si trasferisce al Bayern Monaco per 30 milioni. E la tifoseria dello Schalke va fuori di testa: una società tedesca, rivale, ricca e senz'anima. Neuer diventa il traditore, lo chiamano “Giuda”. Quella non è più casa sua. Viene cacciato dal gruppo ultras.

Nella sfilata in strada che festeggia la vittoria della Coppa di Germania, viene avvicinato da un ragazzo che gli dà uno schiaffo. La sua reazione è di assoluto stupore, niente rabbia.

Lascia il suo luogo, arriva in un luogo estraneo e altrettanto ostile. I tifosi del Bayern non lo vogliono. Si riuniscono per contestare l'acquisto di un ultras dello Schalke. Espongono migliaia di cartelli che dicono: “Niente Neuer”. Koan Neuer.

Bisogna arrivare a un compromesso, cinque regole a cui il ragazzo dovrà attenersi: non baciare la maglia né lanciarla ai tifosi, non avvicinarsi alla curva Sud, non cantare l'inno e non parlare pubblicamente degli ultras bavaresi.

La storia dice che il portiere ha un carattere tendenzialmente diverso, rispetto agli altri calciatori. Trascorre molto tempo da solo, tempo per pensare. Può sbagliare meno dei suoi compagni.

Manuel Neuer non voleva stare in porta. Ce lo mise un allenatore, in una squadra di bambini dove mancava, perché era l'ultimo arrivato. A quattordici anni non aveva neanche la fisicità del portiere, era piccolo e con una voce acuta che difficilmente avrebbe guidato le difese.

Sfuggire a quel ruolo pare un modo di sfuggire al carico di responsabilità: «Da bambino mi mettevo a piangere ogni volta che subivo un gol. Pensavo sempre fosse colpa mia, ero l'ultimo uomo».

Oggi continua, nel tempo libero, a fare il giocatore di movimento. E dice di apprezzare in campo un equilibrio fra dimensione individuale e collettiva.

A due anni ha ricevuto in dono un pallone. A neanche cinque aveva una squadra, agli allenamenti lo accompagnava il padre, che aveva lasciato il Baden-Württemberg per fare il poliziotto a Gelsenkirchen. La madre gli cuciva i buchi nelle tute d'allenamento.

Il calcio sembrava un destino incontrovertibile: «Non c'erano altre opzioni», la mette così Manuel Neuer. Che in campo, dentro la porta, teneva un orso di peluche. Che giocava anche per strada fin quando non lo richiamavano a casa, col fratello minore Marcel, che oggi fa l'arbitro in Oberliga.

A ridosso dei Mondiali 2010 diventa il portiere della nazionale. Di colpo, brutalmente. È quasi impossibile festeggiare la cosa: il titolare doveva essere Robert Enke, che si è suicidato. Depresso, a trentadue anni si è buttato sotto a un treno.

Gli piace viaggiare, la considera una delle cose migliori del suo lavoro: avere la possibilità di conoscere culture che altrimenti non avrebbe conosciuto.

Ha doppiato un cartone animato, prestando la voce a Frank McCay nell'adattamento tedesco di Monsters University. Sembra essersi divertito molto, con un giornalista del Daily Mail scherza: «Non sai che sono una star del cinema?».

Uno speciale sul suo doppiaggio, in cui si sporge, fa mille espressioni e ondeggia.

La sua canzone preferita èNo Games del giamaicano Serani, un pezzo uscito poche settimane dopo che Neuer aveva partecipato alla sua prima Coppa del Mondo, il bronzo del 2010 in Sudafrica.

Magari è una forzatura notarlo, ma il testo ha un passaggio che dice: «I don't wanna play games / No Games / You're the only one that can out my flame».

La sua canzone preferita.

Oggi sembra che i tempi del Koan Neuer non siano mai esistiti. Un passo alla volta è riuscito a farsi benvolere, muovendosi agile nel percorso al Bayern come oggi si muove in Vespa per Monaco. Dalla prossima stagione, col ritiro di Lahm, avrà probabilmente la fascia di capitano. Che già dallo scorso settembre ha portato qualche volta.

Per ottenere tutto questo, è probabile che Neuer abbia dovuto sorvegliarsi emotivamente più di quanto sia sano. Far macerare in privato quello che all'esterno non può lasciar filtrare, più degli altri calciatori. E accettare una rappresentazione di sé ingenerosa.

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