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04 lug 2016
La seconda positività di Schwazer apre molte questioni.
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13 min
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Come tutti sanno, Alex Schwazer è stato trovato di nuovo positivo ad un controllo antidoping effettuato a sorpresa il primo gennaio dalla Iaaf. Le sostanze trovate nel suo sangue sono anabolizzanti in misura lievemente superiore (e non «11 volte superiore», come si può leggere sulla Gazzetta dello Sport di mercoledì 22 giugno, unico quotidiano italiano a riportare la notizia) a quanto consentito; e dei tre valori che inchiodano il marciatore, il più anomalo è il terzo, e sono anomale anche le date della vicenda.

La denuncia arriva dal laboratorio Wada (agenzia antidoping indipendente a servizio della Federazione internazionale di atletica) di Colonia che, riesaminando il 13 maggio il campione prelevato a Capodanno e allora considerato nella norma, evidenzia la presenza nel sangue di 64,7 nanogrammi di testosterone e 18,7 nanogrammi di epitestosterone, laddove il massimo consentito sono rispettivamente 50 e 16, con un margine di errore di 6 e 2.

8 maggio 2016, Alex Schwazer torna in gara dopo oltre quattro anni e vola

Massimo Pisa, su Repubblica del 23 giugno, scrive: «La proporzione tra i due valori è di 3,46 e qui sta il primo giallo: per prassi si ricontrollano i campioni con una proporzione superiore a 4. E ancora: perché un marciatore dovrebbe gonfiarsi i muscoli di anabolizzanti e non ricadere nell’Epo, come fu per Schwazer nel 2012?».

Sandro Donati, che era al fianco dell’atleta durante la conferenza stampa del giorno dopo la notizia della nuova positività, ha così commentato: «Il più forte marciatore al mondo, un talento che non ho mai allenato, forse solo Mennea, avrebbe fatto uso di un doping da scemo, inutile e a livelli bassissimi». E per di più quasi cinque mesi prima della fine della squalifica di tre anni e nove mesi inflittagli per la positività del 2012.

Di cosa si parla?

Si tratta di uno di quei controlli legati anche al passaporto biologico (documento su cui viene scritta la storia dei test antidoping effettuati dagli atleti), voluto dalla Wada. Vengono raccolti i risultati dei test sulle urine e i valori degli esami del sangue per creare, con i primi, un profilo steroideo (livello ormonale) e, con i secondi, un profilo ematico (composizione del sangue). Dopo quel controllo ce ne sono stati altri 14 ad opera di Iaaf e Nado (l’agenzia antidoping del Coni), l’ultimo martedì 21 giugno alle sette del mattino: per quanto ne sappiamo oggi, tutti con esiti negativi. Come negativo, in un primo momento, era stato quello sul campione del primo giorno del 2016.

Donati già a Roma aveva parlato di “odio” nei loro confronti.

Il 13 maggio, invece, sulla provetta di urine di Alex è stato fatto il test Irms (Isotope ratio mass spectronomy, lo stesso test che «smaschera chi adultera il whisky per vendere al prezzo dei pregiati single malt i banali blended», come ha scritto Marco Bonarrigo sul Corriere della Sera del 23 giugno. In pratica si ionizza la pipì dell’atleta bombardandola con un fascio di elettroni, per poi spararla all’interno di un analizzatore di massa. Così il carbonio-13 ha dimostrato la presenza di precursori del testosterone sintetico estranei all’organismo.

Il passaporto steroideo di Schwazer, che è complementare a quello sanguigno, è in vigore dal primo gennaio 2015, quando era ancora sotto squalifica, e il test che lo ha inaugurato è proprio quello del dicembre scorso. Per validarlo servono da un minimo di tre analisi ad un massimo di sei, di cui almeno uno in competizione: in questo caso quello dell’8 maggio scorso nella Coppa del Mondo di Roma. In ogni esame si testano parametri diretti e indiretti (testosterone assoluto, rapporto con epitestosterone) per costruire una «curva di normalità» sempre più raffinata. Proprio l’aggiunta del test di maggio durante la Coppa del Mondo avrebbe messo fuori range quello di gennaio e fatto partire la procedura di ricontrollo.

Dal punto di vista procedurale è tutto molto rigoroso, o quasi: le analisi di gennaio sono su campioni senza nome sopra e anche il profilo ormonale custodito dalla Iaaf è rimasto anonimo anche dopo la segnalazione dell’anomalia che ha fatto partire il test Irms. Risultato: positività netta ma non massiccia, impossibile da contestare.

Il quasi è dovuto al fatto, venuto fuori nei giorni successivi alla conclamata positività, che sul form (chain of custody form) che accompagna la provetta oltre ad essere riportata la scritta "Racines, Italia" (doveva essere indicata solo la Nazione di provenienza), è stato indicato che la persona testata è "un maschio e che gareggia su lunghe distanze, superiore a 3 chilometri". C'è poi l'anomalia, da attribuire alla Iaaf, che non ha tempestivamente comunicato alla Federatletica italiana la positività del marciatore altoatesino. La domanda a questo punto è: coma ha fatto Schwazer a risultare nuovamente positivo ai controlli antidoping?

Le possibilità sono tre

Schwazer è stato o si è sottoposto a un microdosaggio continuativo, quindi un piano organizzato di doping con cui quantità e qualità dei precursori del testosterone sono compatibili. Usare questo ormone sintetico aumenta la resistenza e accorcia i tempi di recupero, quindi anche un atleta di resistenza come un marciatore ne può trarre beneficio. Questa ipotesi vorrebbe dire un tradimento completo della fiducia di Sandro Donati (e di conseguenza la perdita di credibilità dell’icona della lotta al doping) e di tutto il suo staff.

C’è stata una manomissione dolosa: i tecnici hanno ammesso che le quantità ritrovate sono compatibili con un’assunzione unica anche involontaria per via orale, avvenuta pochi giorni prima del controllo. Per essere chiari: qualcuno avrebbe potuto mettere il farmaco nel cibo o nelle bevande di Alex per incastrarlo.

Si è trattato di una contaminazione non alimentare ma proveniente da integratori, che però Schwazer ha sempre detto di non utilizzare.

Durante la conferenza stampa di Bolzano Donati ha chiamato in causa Justin Gatlin come esempio di fisico frutto degli anabolizzanti.

La domanda di fondo, però, quella che nasconde l’anomalia più grande è: perché? Che bisogno aveva Schwazer di doparsi il primo gennaio a mesi di distanza dalla prima gara ufficiale e in quantità che sarebbero minime e ininfluenti sulla prestazione? Come mai questo test a cinque mesi di distanza dal primo? Chi lo ha "ordinato"?

Il quesito riguarda soprattutto la credibilità dell'antidoping mondiale. «Un sistema chiuso e autoreferenziale nel quale l'atleta ha solo la possibilità di una semplice controanalisi», come scrive Eugenio Capodacqua sul suo blog. Un sistema che fin qui ha rivelato falle su falle. A partire dal caso della lunghista Di Terlizzi, allenata dallo stesso Donati, che risale a ben 19 anni fa: trovata positiva alla caffeina dal laboratorio di Roma, alla fine assolta per evidente manipolazione delle provette.

I sospetti di Donati

Nella conferenza stampa del 22 giugno indetta a Bolzano, Sandro Donati ha detto molte cose dure e pesanti, in linea col personaggio che non si è mai nascosto e tirato indietro, pagando anche in proprio. Sandro Donati, da quasi quarant’anni tecnico federale, è stato tra i primi a denunciare la pratica dell’autoemotrasfusione quando questa non era considerata dopante. Si scagliò violentemente contro il dottor Conconi che collaborava con alcuni atleti azzurri col beneplacito di Primo Nebiolo: presidente Fidal, e poi anche Iaaf. Nel 1994 scrisse un dossier piuttosto interessante su una cosa chiamata Eritropoietina (all’epoca poco conosciuta) e sul suo uso indiscriminato nel ciclismo (nel 1998, quattro anni dopo ci sarà lo “scandalo Festina). Donati fece anche un esposto ai carabinieri contro il saltatore in lungo Evangelisti, che ai Mondiali di Roma del 1987 si vide misurare come 8.38 metri un balzo da 7.85. Per Evangelisti sarebbe stato bronzo, e Donati, giova ricordarlo, era stipendiato dalla Fidal.

Per questo è difficile credere che Schwazer sia riuscito a doparsi sotto il naso di uno così. E sarebbe ancora più incredibile che un personaggio del genere abbia acconsentito all’uso di testosterone: «Alex ha l’identikit perfetto dell’atleta che si dopa all’insaputa dell’allenatore che gli sta di fianco. Quale pretesto migliore avrei avuto per abbandonarlo adesso, come chi lo ha seguito in precedenza? Non accadrà mai. Con lui ho realizzato un progetto unico al mondo, abbiamo messo a disposizione più di 35 controlli ematici fatti presso l’ospedale San Giovanni, mai avuto risposta. La non risposta mi fa pensare che la nostra sia vista come una provocazione ad un sistema che va avanti con le sue regole. Mi sono reso conto che lo facevo crescere come atleta ma allo stesso tempo diventavo il suo handicap a causa del mio passato».

Donati contesta la credibilità della Iaaf, il cui ex presidente Lamine Diack si macchiò proprio di compravendita di positività, e denuncia lo strano accanimento su quella provetta che alla prima analisi non evidenziava nulla di strano: «L’anabolizzante può essere utile anche ad un marciatore, ma si deve vedere, deve tramutarsi in massa muscolare. Alex è 1.87 metri per 67 chili, il suo fisico dimostra che non è così».

Donati, poi, ha rivelato che su Schwazer ci furono pressioni, consigli di non vincere le gare di Roma e La Coruña (dove è arrivato secondo nella 20 km). Ma i nomi, quelli, ha detto che li farebbe solo in tribunale. Schwazer dal canto suo dichiara di non aver sbagliato, né peccato: non si è dopato. Il suo team, che evita la parola complotto, sottolinea il fatto che il rientro di Schwazer dopo 4 anni di squalifica, è stato vissuto con ostilità da molti e combattuto da chi pensava che l’atleta non fosse degno di credibilità.

L’avvocato Gerhard Brandstätter ha anche detto che causa della positività sarebbe la bistecca che Alex ha mangiato al veglione di Capodanno, scatenando reazioni ironiche, e infilandosi in un filone in cui stanno le caramelle alla cocaina di Gilberto Simoni, le pomate vaginali delle fidanzate di Borriello e (non ci s’inventa mai nulla) il filetto di Alberto Contador. In ogni caso, sempre secondo l’avvocato di Bolzano, è passato troppo tempo e per questo il dettaglio non farà parte della memoria difensiva.

«Schwazer, dopo aver scontato la pena, aveva il diritto di rientrare. Come dice lui, ci ha messo faccia e soldi, si è pagato le spese, si è trasferito a Roma, e ha reso pubblici i suoi test. È stato l’atleta più controllato del mondo. Molto visibile. Questo era il prezzo del suo rientro, ma questo non ne fa una vittima. Né si può delegittimare il lavoro dell’antidoping perché rovina una bella favola. Deve farlo, per onestà. E per tutela verso noi che compriamo, usiamo e guardiamo lo sport». Scrive Emanuela Audisio su Repubblica, e non si può non condividere.

Non aspettatevi novità

Le contro-analisi sul campione B, cioè su una seconda provetta di urina che giace ancora sigillata nel laboratorio della Wada, sono fissate per il 5 luglio. La storia dice che il risultato non dovrebbe cambiare, infatti si tratta come sempre di un campione di sangue o urine preso nello stesso momento della provetta usata per il controllo di routine. Anche in questo caso un esito diverso aprirebbe scenari di manomissioni o adulterazioni della prova, da ritenersi poco probabili. Il risultato, quindi, non dovrebbe cambiare e a quel punto toccherà a Schwazer e ai suoi avvocati dimostrare la propria innocenza. Per ora non sarebbe riuscito il tentativo di anticipare il test come avrebbero voluto. I tempi restano, con o senza anticipo delle contro-analisi, stretti in ogni caso: l'istruttoria e il procedimento sportivo non potrebbero chiudersi entro l'11 luglio, quando la FIDAL dovrà comunicare al CIO la lista degli atleti che andranno a Rio.

Intanto sembra il principio di una guerra civile: una società, quella atletica, di uomini e donne che a rigor di logica (e di storia condivisa) dovrebbe essere coesa, d’un tratto si divide in fazioni sanguinariamente distinte. L’affaire Schwazer è diventato subito lo spaventapasseri ideologico di molti, che lo giudica arbitrariamente in nome di un agonismo pulito, di un rigore dai tratti calvinisti nella lotta al moloch del doping.

Alex Schwazer, con la sua storia e la sua persona, incarna perfettamente l’argomento sul quale dividersi ed accanirsi: atleta superbo e sprezzante (talvolta), scostante (molto spesso), gaffeur (di continuo): un italiano al tempo stesso molto italiano e totalmente straniero, con la sua parlata e le sue palesi difficoltà a generare empatia negli altri.

Questa rischia di rimanere l’ultima vittoria della carriera di Alex

«Il doping devasta e inquina. Chi lo fa, chi lo subisce, chi lo patisce: ha effetti collaterali per tutti». Scrive Emanuela Audisio sulle pagine di Repubblica (23 giugno), e dice cose molto vere che parecchi cercano di dimenticare o non vedere. Concetto ribadito con altri termini da Giovanni Malagò, presidente del Coni: «In attesa delle contro-analisi, chiunque si esponga in un giudizio sbaglia. Se la positività fosse vera sarebbe una notizia di gravità pazzesca, se fosse invece vero che c’è qualcosa di strano sarebbe pazzesco lo stesso».

Giusto dire pazzesco, ma va anche ribadito un concetto, ricordato da Sandro Donati nella conferenza stampa di Bolzano, ma che sta alla base di tutte le sue lotte (consiglio la lettura del suo libro del 1989 “Campioni senza valore”): in tutta la storia più o meno vincente dell’antidoping si sono perseguiti gli atleti macchiatisi dell’illecito, come doveroso e giusto. Ma molto poco si è fatto contro allenatori, medici e dirigenti delle federazioni che alla fine si giovavano dei risultati degli atleti imbroglioni.

Non è questo il momento di approfondire l’argomento, ma tutta la vicenda Diack, con le tangenti intascate da lui e il suo legale per nascondere la positività all’antidoping di alcuni atleti russi (200 mila dollari che gli sono costati la poltrona di presidente Iaaf e che fanno scottare quella di Sebastian Coe, che di Diack è stato il vice), dovrebbe far capire che suona un po’ assurdo il ragionamento secondo cui “i ragazzi sbagliano” senza che nessuno ne sia al corrente. In fin dei conti è un meccanismo auto-assolutorio che conferma lo status quo di un sistema pronto a giudicare e sacrificare gli atleti

Federica Pellegrini, portabandiera italiana

Per quanto riguarda il movimento italiano, non si sono visti gesti né sentite parole di solidarietà verso Schwazer, e non erano richieste. Al contrario si nota una certa ostilità nei suoi confronti, da Federica Pellegrini che alla consegna della bandiera al Quirinale ha parlato di «festa rovinata dalla notizia»; fino a Marco De Luca, giunto quarto in Coppa del mondo: «Una storia paradossale e vergognosa. Se confermata la positività, voglio subito la medaglia di bronzo che mi spettava a Roma, non voglio attendere anni». L’unico ragionamento sulla questione è giunta da Filippo Magnini, nuotatore maturo e sostanzialmente fuori dai giochi, che ha parlato di «stranezze» in un controllo fatto in questa maniera.

Il 5 luglio ci saranno le controanalisi, e mancherà un mese esatto a Rio. La situazione di Schwazer è disperata perché la data ultima per l’iscrizione alle gare olimpiche è l’11 luglio, sei giorni dopo. Se anche il test sul campione B desse esito negativo, i tempi sarebbero molto stretti. «Speranze che Schwazer possa andare a Rio? Io sono uno che la speranza ce l'ha sempre, sono sempre ottimista. Certo, la casistica e la storia lasciano intendere un altro tipo di direzione, salvo che invece si dimostri qualcosa di diverso. Stiamo a vedere»: sono le parole del presidente del Coni Giovanni Malagò.

Quindi Schwazer ha pochissime possibilità di presentarsi alla partenza della 50 km di marcia in programma venerdì 19 agosto: innanzitutto perché verosimilmente le controanalisi confermeranno la presenza degli steroidi (in caso contrario si aprirebbero davvero scenari da complotto internazionale); e poi perché un eventuale ricorso al Tribunale d'arbitrato dello Sport di Losanna (Tas), passaggio che appare obbligato, finirebbe in coda a una ventina di altri casi che coinvolgono atleti che gareggiano sotto l'egida della Iaaf stessa, casi che andrebbero tutti risolti prima dell'Olimpiade.

Se Alex Schwazer dovesse alla fine saltare l’appuntamento olimpico da “pulito” ci troveremmo di fronte ad una enorme ingiustizia sportiva, una macchia indelebile sull’atletica. Sarebbe, inoltre, la pietra tombale sulla carriera del marciatore di Racines: lui stesso in conferenza stampa ha sottolineato come Rio sia l’ultimo appuntamento al quale vuole partecipare da agonista. Sicuri che sarebbe un happy ending? Che lo sport ne esca migliorato?

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