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La nuova avventura francese di André Villas-Boas
09 ago 2019
L'allenatore portoghese riparte da Marsiglia dopo due anni.
(articolo)
14 min
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Se a 17 anni non chiedi un autografo all’allenatore della tua squadra preferita, ma gli chiedi perché non faccia giocare il tuo calciatore del cuore, non sei come gli altri. Se non ancora maggiorenne entri nello staff di uno dei club più importanti d’Europa, se a 21 alleni la Nazionale delle Isole Vergini, e poi per anni lavori al fianco di José Mourinho, mentre i tuoi coetanei stanno ancora giocando a Football Manager, non sei uguale agli altri. Se a neanche 40 anni alleni in Cina, dopo aver già lavorato in Portogallo, Italia, Inghilterra e Russia... sì, insomma, non sei come gli altri.

E se poi ti stanchi, lasci tutto e decidi di fare il pilota al Dakar Rally, forse è vero che sei addirittura speciale.

Ed è quello che si augurano i tifosi dell’Olympique Marsiglia, la nuova squadra allenata da André Villas-Boas, che ha fatto tutte le cose elencate sopra. Perché per riportare l’OM ai fasti degli anni ’90 non basta un allenatore come gli altri.

Il nuovo "Special One"

Per un lungo periodo della sua vita, AVB ha preso le decisioni giuste. La prima, forse la più importante, la maturò da adolescente, quando lasciò una lettera sotto la porta del suo vicino di casa, Sir Bobby Robson, dicendogli come andasse usato il suo giocatore preferito, Domingos Paciencia, argomentando sulla base di idee maturate grazie al videogioco Championship Manager. L’allora allenatore del Porto, che per i giovanotti dalla faccia tosta aveva una certa simpatia, invitò il giovane André agli allenamenti dei Dragões e poche settimane dopo gli affidò il compito di raccogliere le statistiche dei suoi giocatori.

Quindici anni dopo, AVB fece la seconda scelta corretta della sua carriera, lasciando l’Inter di Mourinho (con cui ha lavorato per nove stagioni occupandosi dell’analisi degli avversari) per accettare l’offerta dell’Académica di Coimbra, alla ricerca di un allenatore in grado di salvare la squadra dalla retrocessione in Liga Pro, la serie B portoghese. Così, a soli 32 anni, Villas-Boas si sedette per la prima volta sulla panchina di un club professionistico come capo allenatore. Al termine della stagione l’Académica si salvò, giocando un calcio offensivo così spettacolare che il Porto decise di riportare a casa il figliol prodigo: “prodigio”, “nuovo fenomeno” furono solo alcuni degli appellativi che la stampa internazionale utilizzò per dire che no, Villas-Boas non era come gli altri.

Tornare a casa fu la terza decisione corretta, la più stupefacente, almeno in termini di risultati. Nel 2010, infatti, il Porto conquista l'Europa League, il campionato, la coppa e la supercoppa di Portogallo, concludendo la stagione più vincente della propria storia. A 33 anni, AVB aveva smesso i panni del giovane allenatore ambizioso ed era diventato il tecnico più desiderato d’Europa.

Roman Abramovich, alla ricerca del sostituto di Ancelotti, lo volle sulla panchina del Chelsea. L’idea del tycoon russo era chiara: ridare ai Blues un’identità di gioco precisa, in grado di riportare vittorie ed entusiasmo in un ambiente ancora alle prese con la pesante eredità di Mourinho. E quella, forse, è la prima scelta non corretta di Andrés Villas-Boas. Perché, nonostante le premesse facessero pensare il contrario, il trasferimento a Londra si rivelò un insuccesso.

The laptop manager

Nella sala stampa di Cobham, il centro d’allenamento del Chelsea, Villas-Boas era maliziosamente soprannominato “the laptop manager”. In Inghilterra il tecnico portoghese venne rapidamente etichettato come un allenatore più interessato alle statistiche che alla gestione dello spogliatoio e al campo. Di certo, AVB arrivò a Londra convinto che le sue idee, fino ad allora vincenti, potessero essere replicate con successo anche in Premier League.

Il suo 4-3-3 non era una novità per i Blues ma la linea difensiva iper-aggressiva e la pressione altissima sul portatore di palla erano concetti quasi rivoluzionari per il calcio inglese. Nel libro “The Mixer”, Michael Cox sostiene addirittura che Villas-Boas sia stato il primo (dopo George Graham negli anni ‘70) a dare maggior importanza alla fase di non possesso che a quella di costruzione della manovra.

Per difensori poco esplosivi come Terry, Ivanovic e Cahill fu difficilissimo mettere in pratica le indicazioni del portoghese, che per rimanere fedele alle sue idee finì per guastare i rapporti con i senatori dello spogliatoio, come raccontato da Ashley Cole qualche anno fa. Per la prima volta in carriera si trovava in una situazione difficile, da cui decise di uscire facendo un passo indietro.

Nel dicembre del 2011 infatti, sull’orlo dell’eliminazione nei gironi di Champions League, decise di giocarsi la qualificazione contro il Valencia aspettando per la prima volta gli avversari nella propria metà campo: la vittoria contro gli spagnoli fu fondamentale per il Chelsea ma non fu sufficiente a salvargli la panchina.

Nel marzo del 2012, infatti, venne licenziato e il suo curriculum smise di essere perfetto, mentre il Chelsea di avviava a vincere inaspettatamente la Champions League.

Vecchio e nuovo allenatore del Chelsea (Foto di Laurence Griffiths/Getty Images).

Pochi mesi dopo fu probabilmente il desiderio di rivincita a spingerlo ad accettare l’offerta del Tottenham: un altro errore, non tanto per i risultati ottenuti (gli Spurs chiusero la stagione 2012-2013 con 72 punti, un risultato da record per il club) quanto per l’incapacità del tecnico portoghese di valutare le reali intenzioni del proprietario del Tottenham, Daniel Levy.

Come Abramovich, Levy lo scelse convinto che con lui in panchina il Tottenham avrebbe potuto tenere testa allo United di Ferguson e van Persie. Ma una volta realizzato che Villas-Boas non possedeva la bacchetta magica, Levy decise di esonerarlo dopo solo una stagione e mezza. Adesso, a solo tre anni dai trionfi di Oporto, per i tabloid inglesi AVB non era più il nuovo “Special One”, ma un flop senza futuro nel calcio di alto livello.

Come si impara dai propri errori?

In un’intervista di qualche mese fa, Villas-Boas ha dichiarato che il calcio inglese non gli ha dato il tempo di fare quello che più ama: allenare. Né al Chelsea né al Tottenham ha avuto la possibilità di sviluppare il suo calcio attraverso la preparazione della partita sulle caratteristiche dell’avversario. «Il management dei grandi club oggi è troppo emotivo, troppo interessato ai risultati nel breve periodo» ha detto AVB. «Le proprietà russe, americane e arabe sono ossessionate dalla vittoria, da ottenere subito per poter coprire il prima possibile le spese».

Per Villas-Boas, il calcio moderno ha però un aspetto ancora più preoccupante: «Troppo spesso i club non hanno idea di che tipo di gioco vogliono sviluppare. Io sono arrivato al Chelsea dopo Ancelotti, un allenatore eccezionale ma con dei principi completamente diversi dai miei. Al City, Guardiola ha preso il posto di Pellegrini, un tecnico con cui non ha niente in comune».

Considerando che oggi un’esperienza sulla panchina di un grande club dura in media tre anni, le prospettive per un allenatore di alto livello non sono entusiasmanti: «Solo Athletic Bilbao, Barcellona e Ajax hanno un progetto chiaro. In troppi club regna l’improvvisazione». Villas-Boas ha anche raccontato di un presidente che gli propose una panchina per la sua capacità di far crescere i giocatori più giovani. Lui gli rispose stupefatto, chiedendogli se lo conoscesse davvero: «In sette anni ho allenato cinque club diversi. Come avrei potuto puntare sui giovani se non ho mai avuto il tempo di farlo?».

Ripensando alla sua avventura inglese, Villas-Boas riconosce però di aver fatto degli errori. «L’esperienza al Chelsea è arrivata troppo presto. Ero troppo giovane allora, non ero sufficientemente flessibile. Ero troppo convinto di me stesso, dei miei principi. Gli anni passati in Inghilterra mi hanno costretto a riflettere, a rivedere almeno in parte le mie idee. Ora le mie squadre giocano un calcio meno aggressivo, meno orientato al recupero del pallone nella metà campo avversaria. Oggi cerco di preparare meglio le transizioni dalla fase difensiva a quella offensiva».

Le delusioni inglesi, forse, hanno influito sulle sue ambizioni e la scelta di andare ad allenare lo Shangai SIPG può essere vista come un ritorno alle origini, alle prime esperienze in cui non doveva dimostrare a ogni costo di essere “speciale”, di dover vincere comunque e ovunque. «In Cina ho trovato dei giocatori che muoiono dalla voglia di imparare. In Europa non è così. Da noi i calciatori si allenano troppo poco, arrivano al campo alle 9:30 e vanno via dopo tre ore. Io ho bisogno di più tempo per poter dare il mio contributo».

In Cina ha allenato per un anno, arrivando fino alla semifinale della Champions League asiatica e al secondo posto in campionato, ma poi ha rinunciato ai 13 milioni del contratto per provare un’avventura totalmente lontana dal calcio.

Una specie di nuova leggerezza lo ha spinto a partecipare infatti al Dakar Rally, un tempo conosciuto come Parigi-Dakar. «Volevo provare qualcosa di nuovo, di diverso» ha dichiarato in un’intervista di qualche mese fa. «I motori mi sono sempre piaciuti, mio padre è un ingegnere con la passione per la guida, mio zio un ingegnere meccanico che ha partecipato tre volte alla Parigi-Dakar».

Foto di Dan Istitene/Getty Images.

Dopo quell’esperienza, terminata prematuramente per via di un incidente, Villas-Boas si è eclissato. Per due anni il suo nome è apparso solo marginalmente, accostato anche all’Inter, quando si parlava di squadre in cerca di un allenatore. In privato, pare stesse studiando da mesi il tedesco in attesa di una chiamata dalla Bundesliga, poi lo scorso maggio, a sorpresa, ha accettato l’offerta dell’Olympique Marsiglia. Scelta corretta?

Droit au but

La squadra francese non sta vivendo un periodo facile, sia dal punto di vista finanziario che da quello sportivo. Lo scorso giugno il club e l’UEFA hanno stipulato un rule agreement che nell’ambito del Financial Fair Play impedirà alla società marsigliese di superare i 30 milioni di deficit per i prossimi tre anni. Nel report, pubblicato dodici mesi fa dalla DNCG (l’organo di controllo della Lega calcio francese), però, i conti dell’Olympique Marsiglia risultavano in rosso per quasi 80 milioni di euro. Un buco preoccupante, soprattutto perché il proprietario americano del club, Frank McCourt, non sembra avere le risorse per ripianarlo.

I dubbi sulla sua reale liquidità finanziaria non sono una novità, inseguono il presidente americano fin da quando, nel 2002, la sua offerta per l’acquisto dei Boston Red Sox venne rifiutata dalla MLB per delle irregolarità nei conti della sua società, la McCourt Company, un gruppo immobiliare specializzato nella costruzione di grandi parcheggi. Nel 2004 McCourt riuscì ad acquistare i Los Angeles Dodgers grazie alla loro disastrosa situazione economica, mantenendo il controllo della franchigia fino al 2012, quando laMLB di fatto lo costrinse a vendere per insolvenza finanziaria. La sua reputazione negli States ne ha risentito al punto da costringerlo a investire lontano da casa, dall’altra parte dell’Oceano.

Nel 2016 McCourt ha comprato il Marsiglia con l’obiettivo di riportare il club in alto. L’OM non vince la Ligue1 dal 2010 e gli ultimi trofei messi in bacheca sono le tre Coupe de la Ligue vinte tra il 2010 e il 2013. Troppo poco, per una squadra così importante. Appena arrivato a Marsiglia, McCourt aveva annunciato l’inizio del cosiddetto “Champion Project”, un piano che avrebbe permesso all’Olympique di competere con il PSG nel giro di tre anni. McCourt ha affidato la gestione quotidiana del club a Jacques-Henri Eyraud e la carica di Direttore Sportivo ad Andoni Zubizarreta. Per la panchina, nell'ottobre del 2016 è stato scelto Rudi Garcia, a cui è stato regalato il primo grande colpo di mercato della nuova gestione, Dimitri Payet.

Nonostante tutte queste novità, l’OM ha chiuso la stagione al quinto posto, fuori dalla Champions e costretto a giocare i preliminari di Europa League. La stagione successiva, quella 2017-2018, l'OM è finito al quarto posto a un solo punto dalla zona Champions e, soprattutto, si è riappropriato del proprio status internazionale raggiungendo la finale di Europa League, persa poi contro l’Atletico Madrid.

Un passo in avanti rispetto alle delusioni degli anni precedenti, un miglioramento che sembrava preannunciare il ritorno definitivo dell’Olympique al vertice del calcio francese. Gli acquisti di Kevin Strootman e dei giovani Duje Ćaleta-Car e Nemanja Radonjić lasciavano pensare a una stagione da protagonisti, invece quella appena conclusa è stata la peggior annata della gestione McCourt: fuori ai gironi in Europa League, di nuovo quinti in campionato ed esclusi ancora una volta dalle competizioni continentali.

Un colpo durissimo per i già fragili conti del club che, per cercare di limitare i danni, ha deciso di non rinnovare i contratti di Rami e Rolando, lasciando scadere l’opzione su Mario Balotelli. Zubizarreta ha venduto Lucas Ocampos al Siviglia per 15 milioni e Clinton N’Jie al alla Dinamo Mosca per 5,5 milioni. Ora sta valutando le offerte per Florian Thauvin e Boubacar Kamara, il giovane centrale difensivo su cui hanno messo gli occhi i principali club europei. A due mesi dall’arrivo di André Villas-Boas alla Commanderie, il centro d’allenamento dell’OM, il club ha chiuso una sola operazione, quella per Alvaro Gonzalez del Villarreal.

Dopo aver accusato l'impreparazione dei grandi club, Villas-Boas si ritrova ad allenare una squadra dalla grande tradizione ma dal presente decadente. Nonostante le premesse, l’allenatore non si è tirato indietro: ha dichiarato che l’obiettivo stagionale è l’approdo in Champions League. Effettivamente, escluso l'irraggiungibile PSG, restano due posti, che l’Olympique si giocherà con Lione (che invece a raggiungere il PSG ci pensa eccome, ma che nel mercato ha ceduto due pedine fondamentali come Ndombele e Fekir) e con il Lille, che dopo la grande passata stagione, culminata con il secondo posto lo scorso anno, ha incassato con le cessioni di Thiago Mendes, Pépé e Leao.

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31.07.2009...10 years ago since you left us. Your warm kind gentle smile will be in our hearts forever. May your bravery sportsmanship and will to win never be forgotten. We miss you dearly. 😊 ⁣ ⁣ “What is a club in any case? Not the buildings or the directors or the people who are paid to represent it. It’s not the television contracts, get-out clauses, marketing departments or executive boxes. It’s the noise, the passion, the feeling of belonging, the pride in your city. It’s a small boy clambering up stadium steps for the very first time, gripping his father’s hand, gawping at that hallowed stretch of turf beneath him and, without being able to do a thing about it, falling in love.” Sir Bobby Robson ⁣ ⁣ #bobbyrobson #sirbobbyrobson #10yearanniversary

Un post condiviso da André Villas-Boas (@officialandrevillasboas) in data: 30 Lug 2019 alle ore 9:58 PDT

Un’impresa non facile ma neanche impossibile per AVB, specie se Thauvin dovesse rimanere e Payet e Luiz Gustavo tornassero a giocare una stagione di alto livello. Villas-Boas ha il compito di ridare fiducia a Ćaleta-Car e Radonjić, finiti nel dimenticatoio con Garcia ma impiegati con costanza in queste prime amichevoli, e i primi risultati delle amichevoli sono stati un po’ altalenanti: il Marsiglia ha perso 4-0 contro i Rangers, riscattandosi poi contro Bordeaux e Saint-Etienne. Contro il Napoli, pur perdendo, il Marsiglia ha messo in mostra un 4-3-3 non ancora particolarmente brillante ma ordinato.

La cosa più importante per il tecnico portoghese sarà la flessibilità, quella mostrata solo in parte nelle esperienze in Inghilterra. Riuscire a modulare i suoi principi di gioco sulle caratteristiche principali del calcio francese: la velocità e la creatività. Resta da capire se la società gli darà il tempo di farlo. L’ambiente attorno all’OM è tradizionalmente “caldo”, con i tifosi ormai da mesi sul piede di guerra nei confronti della proprietà americana, accusata di non capire lo spirito olympien. AVB, però, sembra convinto di farcela. Sa che questa sarà una stagione decisiva per il suo futuro.

Dopotutto è ancora giovanissimo, a 41 anni sono pochi gli allenatori a essersi già affacciati sul palcoscenico internazionale. Lui, addirittura, è già alla sua seconda prima volta.

Se nella prima esperienza iniziare a vincere subito, paradossalmente, non lo ha aiutato, creandogli delle aspettative enormi in un ambiente ultra-competitivo come quello del calcio, oggi può ripartire con più tranquillità, cercando invece di convincere gli scettici. La domanda è se un allenatore che si considera - e che a un certo momento tutti hanno considerato - eccezionale, possa ripartire dalla normalità, dallo scetticismo, da una squadra in bilico tra rinascita e fallimento. Se dopo il Porto questa eccezionalità gli ha impedito di trovare un posto nel mondo, viene da chiedersi se Marsiglia lo possa diventare.

Da qui Villas-Boas dovrà ripartire per ricordare a tutti, ancora una volta, di essere diverso dagli altri. Di essere speciale.

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