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Andres Iniesta, come una danza
06 ott 2021
Un estratto da “Andres Iniesta, come una danza”, il nuovo libro di Gianni Montieri per 66thand2nd.
(articolo)
3 min
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Pubblichiamo un estratto del libro "Andres Iniesta, come una danza" di Gianni Montieri edito 66thand2nd che uscirà il 7 ottobre.

Un uomo in giacca e cravatta, occhi azzurri, capelli perfettamente rasati, entra nel terreno di gioco dello stadio di Johannesburg, in Sudafrica. Gli spalti sono gremiti e colorati, il rosso dei tifosi spagnoli e l’arancione degli olandesi. Parrucche, sorrisi, colori delle bandiere sui volti, ragazzi vestiti da torero. Tra pochi minuti si giocherà la finale dei Mondiali di calcio. È l’undici luglio del 2010. L’uomo avanza verso il centro del campo, i tifosi applaudono, in mano ha la Coppa del Mondo. La mostra al pubblico sugli spalti mentre sorride. L’uomo è una persona generalmente molto sorridente, glielo abbiamo visto fare molte volte. Ha una risata genuina, è uno dalla battuta pronta, è un grande calciatore. Eppure, mentre lo vediamo avanzare siamo capaci di leggergli i pensieri, lui non vorrebbe essere lì, o meglio, non vorrebbe esserci in quelle condizioni, vestito di tutto punto, senza giocare. Fabio Cannavaro sorride ma è un sorriso impostato, non ride come fa solitamente, come rideva a Berlino quattro anni prima. Cannavaro è tra i protagonisti dello sciagurato mondiale dell’Italia: gli azzurri sono usciti al primo turno, meritatamente, giocando male. Proprio lui, il capitano, è colpevole di alcune disattenzioni difensive che non gli sono mai appartenute. L’Italia non c’è più e lui non è più il centrale che quattro anni prima anticipava chiunque con decisione e leggerezza incantevoli, tali da fargli vincere il Pallone d’Oro. No, Cannavaro non è felice, forse è un pochino emozionato, in fondo sta restituendo la Coppa del Mondo, non è uomo da cerimonie ma i cerimoniali hanno un loro perché, esistono, vanno onorati. Il difensore napoletano forse riderebbe con più convinzione, si rilasserebbe, se pensasse che sta passando la coppa alla squadra più forte degli ultimi anni, alla Spagna che ha vinto gli Europei due anni prima, che vincerà quelli che si disputeranno fra due anni. La sta passando a gente che sa giocare a pallone. A Villa, a Xabi Alonso, a Fernando Torres, a Xavi, a Puyol, a Iniesta. La sta passando soprattutto a lui, il numero 6 della Spagna, Andrés Iniesta, o Don Andrés, l’illusionista.

È il minuto 116 della finale dei Mondiali. Mancano solo quattro minuti alla conclusione dei tempi supplementari, chiunque stia guardando la partita immagina già i calci di rigore. Lo dirà, per esempio, del Bosque, il ct della Spagna. E se non tifi nessuna delle due finaliste, la cerimonia dei rigori significa solo allungare un po’ la finale, prendersi un’altra birra mentre si cerca di capire chi tirerà. Guardare i calciatori in faccia mentre vanno verso il dischetto: quelli che fissano per terra quasi certamente sbaglieranno, viceversa, chi guarda la porta e – soprattutto – il portiere ha molte probabilità di segnare, almeno così la penso io. Anche qualche calciatore in campo, magari stanco, magari rassegnato, attende che passino questi quattro minuti. Contenimento, possesso palla, qualche rinvio lungo, un tiro di alleggerimento, un fallo tattico. Sandro Penna scrive: «Non c’è più quella grazia fulminante / ma il soffio di qualcosa che verrà». Due versi meravigliosi e modulabili, perfetti per molte cose, dalla vita alla giovinezza che sfiorisce, a una storia d’amore che si trascina stanca. Ai tempi supplementari di una finale Mondiale. Se il primo verso di Penna potremmo applicarlo a tutti, da Robben a Puyol, da Sneijder a David Villa, il secondo lo può indossare soltanto Iniesta. Don Andrés non ci pensa proprio a trascinarsi fino ai rigori, lui vuole vincere, sa che è il suo Mondiale e quello della Spagna, non si sogna nemmeno di affidarsi al caso, ai tiri dal dischetto.

Tre ore prima della partita Iniesta ha parlato con uno dei fisioterapisti della Spagna e gli ha chiesto se potesse fargli una scritta su una maglietta da tenere sotto la divisa, una scritta per ricordare Dani Jarque. Andrés ha dichiarato che è una cosa che ha pensato in quel momento, non immaginava cosa sarebbe potuto accadere. Hugo Camareno, il fisioterapista, gli ha risposto: «Quando torni dal riscaldamento la maglietta sarà lì che ti aspetta, […] non immaginavo l’importanza che avrebbe avuto, cosa avrebbe significato». Qualcuno ha detto che Iniesta quel gol cominciò a segnarlo quando chiese la scritta sulla maglia.

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