Nel 2018 le cose per Cuba sembravano sul punto di migliorare. Il Paese allora stava ancora beneficiando della distensione dei rapporti con gli Stati Uniti a seguito del dialogo aperto da Barack Obama e si pensava che da quel momento sarebbe stata tutta in discesa. In realtà era solo un anno di transizione: in carica c’era già Donald Trump, che inizialmente aveva solo ripristinato alcune restrizioni, a cui poi ne sarebbero seguite altre più gravi, come la riattivazione del Titolo III della Legge Helms-Burton. Oggi, sotto la presidenza Biden, le cose non sono migliori e anzi Cuba sta vivendo una delle peggiori crisi di sempre con esodi senza precedenti. Si dice che spesso fuggire non sia una soluzione, ma nel caso dei cubani spesso è una necessità.
Me lo dice senza remore Andy Diaz Hernandez, saltatore triplo nato a L’Avana nel 1995, ma cittadino italiano da febbraio dell’anno scorso, costretto a lasciare il suo Paese per riuscire a realizzarsi come uomo ed atleta. Lui, come gli ex connazionali e colleghi triplisti Jordan Diaz, che ha scelto la Spagna, e Pedro Pablo Pichardo, che è cittadino portoghese, ha deciso di prendere in mano il proprio destino, come si dice.
Quando ha deciso di andarsene dal suo Paese non aveva quasi nulla, se non l’entusiasmo. Attualmente a Cuba manca il cibo, scarseggia l’acqua e l’elettricità pubblica. Ed è difficile non associare questa situazione di emergenza permanente al coraggio e alla determinazione che i cubani sembrano avere ormai impressi nel loro DNA.
Diaz Hernandez, come detto, è diventato ufficialmente italiano a febbraio dell’anno scorso, quando il consiglio dei ministri gli ha conferito la cittadinanza per “eminenti servizi all'Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato". Da poco entrato nel corpo delle Fiamme Gialle, la sua storia racconta di una determinazione senza pari. Arrivato in Italia non aveva nulla a cui aggrapparsi se non Fabrizio Donato, ex bronzo olimpico nel triplo (Londra 2012), che l’ha accolto e ospitato in casa sua, oltre all'appoggio di tutta la FIDAL. Diaz, che all’epoca parlava solo spagnolo, ha ringraziato a parole ma soprattutto con i suoi salti. Nel corso della nostra intervista ammette di non voler gettare del fango sul Paese in cui è nato, ma di essere diventato italiano in nome dei suoi sogni. Per raggiungerli è stato disposto a dormire fuori dall’ufficio immigrazione di Roma, qualcosa che non dovremmo scambiare per eroismo, e a cui sono costrette molte altre persone di cui non conosciamo e non conosceremo il nome.
Mentre la burocrazia faceva il suo corso, Hernandez ha vinto due volte la Diamond Legue, nel 2022 e nel 2023, e nel 2024 è il leader della disciplina con la misura di 17.61. In realtà non ha potuto ancora ufficialmente rappresentare l’Italia. Potrà farlo solo dal primo agosto del 2024, giusto in tempo per i Giochi Olimpici di Parigi: secondo il regolamento di World Athletics devono passare tre anni dalla gara fatta sotto un’altra bandiera. Nel suo caso il riferimento è a Tokyo 2020 (cronologicamente 2021) dove non gareggiò ma fu iscritto. Proprio la tappa giapponese ha sì allungato le tempistiche, ma ha reso possibile, come mi spiega, l’addio all’isola caraibica.
Per te il 2024 è cominciato al meglio, con la miglior prestazione mondiale…
Non mi aspettavo di iniziare così bene, anche perché non volevo fare la stagione indoor, volevo concentrarmi solo sulle gare all’aperto. Fabrizio [Donato, nda] mi ha detto di farne alcune al chiuso, giusto due o tre, prima di passare a un'altra vera e propria preparazione, ovvero quella per i Giochi Olimpici, che poi è l’unica gara in cui posso rappresentare l’Italia. Nella prima uscita stagionale, a Pamplona, vissuta senza grandi aspettative ma solo per divertirmi, ho fatto 16.90 con sette appoggi. In quel momento ho iniziato a prendere consapevolezza della mia forma. Un mese dopo ho fatto 17.46 e poi 17.61, ovvero la miglior misura stagionale al mondo. Ho capito, quindi, quale fosse la reale condizione. Allo stesso tempo, nonostante le misure, ho commesso anche tanti errori, non sempre prendevo la pedana o lo stacco e affrettavo la fase di hop e step [le tre fasi della disciplina sono chiamate: hop, step/skip e jump, nda], li facevo un po' più veloci senza aspettare il tempo giusto, ma comunque arrivava il risultato. Poi ho saltato anche agli Assoluti, ma sono uscito dalla pedana arrabbiatissimo: ho fatto davvero un casino. Nel riscaldamento mi sembrava di rimbalzare troppo e quando succede non gestisco bene la mia rincorsa con il salto, non prendo il tempo. Eppure, all’ultimo ho fatto 17.60. Ora, stiamo cercando di continuare così gestendo e curando queste imprecisioni. Di solito, succede che ogni gara di triplo ti lasci qualche dolore: quest’anno non ho avuto nessun problema. In ogni caso dopo queste settimane di lavoro, la prima gara del 19 maggio dirà come stanno realmente le cose.
Dirà, insomma, se sei pronto? Te lo chiedo perché una frase che ricorre spesso, sia sui tuoi social che nelle interviste, è: “Io sono nato pronto”. Cosa intendi?
Quella frase è come un allenamento per la mia mente. Non posso avere giustificazioni. Io sono pronto: nato pronto dal momento in cui mia mamma mi ha messo al mondo. In ogni caso e situazione, di fronte a qualsiasi problema personale e non, sono reattivo e so gestire e risolvere lo scenario che mi si presenta. Non c’è tempo, né per giustificarmi né per lamentarmi. Se c’è una difficoltà, un ostacolo, io li affronto. Se, ad esempio, in allenamento qualcosa non va bene, in gara cambio assetto mentale e riparto da zero.
In base a quello che dici, quindi, credi di avere più forza mentale o talento?
Credo che in realtà chiunque sia a questo livello nello sport, abbia un po’ di talento. Bisogna averne per fare 17 metri! [ride, nda] O per avere un minimo di rimbalzo e di velocità. Dalla mia però, sì, ho una forza mentale enorme, non mi fermo mai, non mollo, cerco sempre di migliorare in allenamento. Quasi tutto quello che faccio in gara lo faccio quando mi preparo. La prima gara è l'allenamento con i compagni di squadra, cerco sempre di essere il migliore. Credo che la forza mentale sia il mio vero talento.
Dicevi prima che puoi rappresentare l’Italia solo a Parigi, ti dispiace saltare l’Europeo di Roma? Aspettative per i Giochi?
Una volta presa la decisione di abbandonare il mio Paese natale, sapevo che c’era la possibilità di dover accettare di non poter fare alcune gare dove avrei anche potuto vincere. Non capita quasi mai di fare un Europeo in casa e mi sarebbe piaciuto gareggiare davanti a tutti gli italiani e romani in generale, e dargli la soddisfazione di una medaglia, di un buon spettacolo. In ogni caso sono molto contento. Non ho potuto fare nemmeno il Mondiale indoor [di Glasgow, nda]. Ora ho le Olimpiadi. Ecco, io dico che a Parigi, per forza, devo portare a casa una medaglia, è quasi obbligatorio, il minimo che io possa fare.
Ancora non hai vissuto appieno la squadra italiana, che idea ti sei fatto? Siete un gruppo giovane e multiculturale, e forse una delle Nazionali con più potenziale degli ultimi anni.
Sì, verissimo. Io ancora non ho potuto vivere tante esperienze con loro, ho avuto comunque la fortuna di fare della gare e dei meeting con altri azzurri. Siamo una squadra composta da molti giovani che hanno tanta voglia di fare. Questo, personalmente, mi aiuta tantissimo come atleta perché nessuno vuole restare indietro. Visto l’età media abbastanza bassa c’è ancora più desiderio di fare, di dimostrare. Penso sia la squadra più forte di sempre. Per me lo è, dato che sono molto giovane (mi includo), possiamo fare grandi cose alle Olimpiadi di Parigi e nelle gare future.
Come hai iniziato con l’atletica? Cosa è scattato con questa disciplina?
A nove anni mia mamma mi ha portato in un campo di atletica. Pensava che avessi le carte in regola per fare sport. Gli allenatori dell’epoca hanno capito che avevo le caratteristiche ideali per correre e per fare dei salti. Piano piano ho iniziato con loro, ma in famiglia ho mio cugino che faceva salto triplo. Quando mi sono approcciato allo sport lui aveva come personale 17.52, era uno dei migliori al mondo in quel momento. Volevo essere come lui, volevo essere il migliore della mia famiglia, battere i suoi record per poi passare a quelli di Cuba, tutto è iniziato così, mi piaceva. Ho fatto anche salto in alto e in lungo, quando sei piccolo devi provare tante specialità. Non ero così veloce come sono ora, magari non balzavo come gli altri atleti, ma vedevo che nel salto triplo era sufficiente, gestivi la rincorsa e il rimbalzo. In realtà, adesso ho capito che a tutto questo devi aggiungere il saper correre. In quel periodo non riuscivo a fare salto in alto, non riuscivo a fare velocità. Quindi la specialità perfetta era il triplo. Ero molto emozionato perché mi piaceva davvero ed è sempre stata la mia specialità preferita.
Hai mosso i primi passi o meglio i primi salti a Cuba e poi hai deciso di cambiare e venire in Italia. Che sistema sportivo avete lì?
È un sistema diverso. Tu inizi a fare sport in varie squadre fino ad arrivare a quelle nazionali. Una volta entrato nel team nazionale, se non fai il minimo per restarci, ti cacciano via. Per riuscire a gareggiare all’estero devi fare almeno tre gare con certi standard da loro stabiliti. Una cosa assurda… nel mondo, tutti, se hanno alcune misure, possono competere ovunque. Noi a Cuba non potevamo spostarci se non venivano convalidate almeno tre gare. Era una cosa che mi mandava fuori di testa, mi limitava come atleta, perché non potevo esprimermi e non potevo confrontarmi con gli altri. Sono andato ai Giochi di Tokyo con l’idea di farmi allenare da Fabrizio Donato. Dentro di me ero convinto che lui avesse la formula per farmi raggiungere determinate misure e per lungo tempo. Fabrizio Donato è uno dei triplisti più longevi. A Cuba a 25 anni, per l’atletica, sei considerato vecchio e lui, ancora a 40 anni, riusciva a fare un certo tipo di prestazioni: qualcosa non funzionava bene nella mia terra, quindi ho deciso di farmi allenare da lui. Pensavo che potesse farlo e farmi raggiungere grandi traguardi, riuscendo ad avere una carriera lunga e rimanendo al top per tanto tempo.
E perché proprio l’Italia? Solo per Donato?
L'Italia è un Paese che mi piace tanto per la sua cultura. Anni fa mia mamma era venuta qui e mi aveva parlato della storia della Nazione, mi ha sempre colpito e affascinato. Quindi, la scelta nasce a priori. Una volta arrivato in Italia ho parlato con Fabrizio: volevo continuare con la mia vita sportiva, ma non avevo niente. Non avevo un posto dove dormire, non avevo soldi per mangiare, non avevo nulla. E comunque volevo fare atletica, ovvero ciò che mi piaceva. Ho contattato Fabrizio per vedere se mi poteva dare una mano, l'ho chiamato tramite Instagram o meglio ha parlato per me un amico italiano, visto che in quel momento sapevo solo lo spagnolo e anche adesso non parlo benissimo. Donato mi ha dato tutte le informazioni e mi ha spiegato cosa dovevo fare. Dovevo chiedere l'asilo politico e così ho fatto. Sono andato all'ufficio immigrazione, l’ho richiesto e l’hanno accettato. È nato così il mio percorso con lui. Mi ha portato a casa sua, dove ancora oggi ho la mia residenza. In realtà, però, da poco mi sono trasferito, ho preso una casa in affitto perché sono riuscito a portare mia mamma da Cuba.
Perché proprio dopo Tokyo hai deciso di fare questo cambiamento?
Mi ero infortunato un mese prima delle Olimpiadi. Non volevo andare a Tokyo, lo facevo solo per temporeggiare e avere un po’ più di tempo per organizzarmi, lasciare il mio Paese e la mia delegazione. In Giappone non potevo gareggiare, ma comunque sono stato inserito nelle liste: se non fosse stato per questo avrei potuto rappresentare anche prima l’Italia. In ogni caso, dovevo comunque partecipare ai Giochi per poter lasciare Cuba: al ritorno dal Giappone abbiamo fatto scalo in Spagna. Questo è stato l’unico modo per avere in mano il mio passaporto, loro [cioè il governo castrista, ndr] controllano tutto. Sono dovuto andare in Giappone per prenderne possesso.
Prima accennavi all’iter per richiedere la cittadinanza, so che non è stata una passeggiata…
Sono andato all'Ufficio immigrazione un giorno prima, per prendere il posto, ho dormito per strada, per non perdere la priorità. Lì ci sono migranti, caos, scene veramente brutte che non auguro a nessuno di vedere. Andando il giorno prima sono riuscito a prendere appuntamento e da lì è iniziato il percorso per diventare cittadino italiano.
Dicevi che ora hai con te anche tua mamma, cosa rappresenta per te?
Sono riuscito a portarla qui dopo due anni in cui non ho potuto vederla, io non posso tornare a Cuba. Mia mamma è il mio mondo, il mio motore propulsore per fare tutto quello che faccio. Lei è la mia migliore amica, la mia fidanzata, lo ammetto [ride, nda]: è tutto, davvero. È il mio vero amore, è stata quella che mi ha incoraggiato a fare sport, mi ha insegnato a non mollare e credere nei miei sogni. È riuscita anche a vedere una mia gara in Francia, era presente al Golden Gala, quando ho fatto il record italiano [17.75, nda]: è stato bellissimo. Questi sono i sogni che avevo da piccolo e voglio continuare ad averli finché si può. Ho un rapporto molto forte con la mia famiglia.
Riesci a sentirla? Che legami hai con Cuba?
Sì tramite WhatsApp, parlo sempre con la mia famiglia. Ora, la situazione a Cuba è veramente difficile, ma per fortuna io sono qui e riesco a dare una mano, quando posso, perché non sono miliardario. Il problema sono i soldi e spesso nemmeno con i soldi sistemi le cose. Ogni volta che ho la possibilità, quando viene qualche amico, riempio una valigia con le cose di cui hanno bisogno. La situazione è critica, non c’è nulla, adesso hanno aumentato la benzina del 500%, è terribile. Per fortuna non è un Paese criminale con molta violenza. Siamo abbastanza isolati e anche se abbiamo dei problemi cerchiamo di sorridere e sdrammatizzare. Ma il problema c'è, a Cuba il problema c'è. Io non posso tornare per otto anni [come previsto dalla legge quando si diventa disertori, nda], ma, fortunatamente, oltre essere stato “bandito”, la mia famiglia non ha avuto ripercussioni come spesso accade. Non hanno sequestrato proprietà e non c’è stata nessuna ritorsione. Generalmente quando un atleta lascia il suo Paese, è automaticamente dichiarato tra i traditori quindi il Governo assume provvedimenti nei confronti dei suoi parenti e invece con me è andato tutto bene. Il mio obiettivo non è parlare male di Cuba. Io voglio solo realizzare i miei sogni e raggiungere i miei obiettivi come sportivo, come atleta. Sono venuto in Italia perché qui so che posso farlo e lo faccio con molto piacere perché è veramente un Paese che mi piace. Per Cuba non potevo.
Cosa ti piace dell’Italia? So che mi dirai il cibo…
Sì esatto [ride, nda], il cibo! Non ho ancora assaggiato tutti i piatti, ogni volta che vado in un posto diverso mi consigliano qualcosa e c'è una sempre una storia dietro a ogni pietanza. In generale devo conoscere tanto dell'Italia e della sua cultura. Adesso a Roma mangio la carbonara, anche se spesso non potrei. Poi pure i cornetti e i supplì. Tutti alimenti che non dovrei toccare, ma ho fatto un patto con Fabrizio: ogni gara che vinco mangio una carbonara. A dicembre per il mio compleanno sono andato anche a Venezia. Era la prima volta che la visitavo, davvero stupenda.
E nel tempo libero cosa fai?
Mi piace ballare come tutti i latini, quando posso, senza stare troppo cerco di andare in discoteca e rilassarmi. Poi, mi piace riparare le cose. Ho un diploma in elettronica, mi rilassa tanto aggiustare… non so, il telefono o altro. Spesso apro il mio computer, lo pulisco, poi lo chiudo. Mi aiuta a calmarmi. Guardo anche molti film, anche se di base sono una persona iperattiva, non sto mai fermo. Per ora che mi sto allenando in maniera ancora più intensa, cerco di stare tranquillo e guardare qualcosa.