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Angelo Peruzzi vs Forza di gravità
23 dic 2016
Le 10 migliori parate di un fenomeno naturale.
(articolo)
11 min
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«Negli ultimi 20 anni il portiere della Nazionale è sempre stato juventino: Zoff, Buffon ... La storia della Juventus è fatta da campioni e talenti italiani». Le parole di Marotta, arrivate per commentare il futuro tra i pali bianconeri, ripercorrono quel periodo che va dagli anni '70 a oggi e in cui il numero 1 della Juve ha coinciso con il portiere dell'Italia. Ad incorniciare questi decadi ci sono i due mostri sacri, i migliori di sempre, Zoff e Buffon, ma nel mezzo ce n'è uno che, spostandosi di squadra in squadra, ha rappresentato il meglio dei portieri anni '90 e inizio Duemila: Angelo Peruzzi.

Mento squadrato, fisico imponente con spalle e bacino larghe allo stesso modo, e una schiena fragile che lo ha tormentato per tutta la carriera. Nonostante Peruzzi avesse poco del grande portiere, ha vinto per tre volte il premio come miglior portiere della Serie A, la prima nel '97, l'ultima dieci anni dopo nel 2007. In quel periodo il suo palmares si è riempito di tre scudetti, due Coppe Italia, una Coppa Uefa, una Supercoppa europea, una Champions League, fino al Mondiale del 2006 ad un passo dall'addio al calcio. In tutte le squadre ha lasciato un ottimo ricordo, testimoniato da soprannomi come “Tyson” o “Cinghialone", che in qualche modo certificano la sua eccentricità fisica. Con la Nazionale invece non è mai riuscito a disputare un Mondiale da titolare. Da numero 1 solo lo sfortunato Europeo del '96, poi il rifiuto a Zoff nel 2000 per non fare da terzo, e infine la vittoriosa esperienza in Germania da secondo, senza scendere però mai in campo, nonostante un importante ruolo nello spogliatoio su cui tutti sono concordi. «Ogni tanto pensavo che avere in panchina un portiere con le qualità, umane e tecniche, di Peruzzi fosse uno spreco», così aveva commentato Buffon ricordando quegli anni insieme in Nazionale.

Ho raccolto dieci parate che solo Peruzzi avrebbe potuto fare e che ci ricordano non solo quanto fosse un portiere eccezionale, ma anche unico per il suo insieme di caratteristiche.

Il petardo dalla Sud, Liedholm che lo fa preparare in tutta fretta e Pruzzo che lo incita: «Svegliati, devi entrare!». La sua carriera inizia quel giorno a 17 anni.

Inter-Verona 0-0, 11 marzo 1990

La sua unicità Angelo Peruzzi l’ha dimostrata da subito. Quando si presenta a Milano per scendere in campo con la maglia del Verona, ha alle spalle solo qualche partita con la Roma: 13 in due stagioni. Con Bagnoli in panchina, a Verona, diventa invece il titolare e questa parata su Berti ci spiega il perché. La reattività è una qualità che conserverà nonostante un fisico che sembrava contraddirla anno dopo anno. In questa parata invece lo possiamo ammirare ancora ventenne, agile e pronto a scendere sul tiro incrociato del numero 8 nerazzurro in una frazione di secondo. Ma sarebbe sbagliato ricordare Peruzzi come un portiere istintivo, che ha costruito la propria carriera sulla pura reattività: qui lo aiuta il perfetto posizionamento e il passetto in avanti che fa un secondo prima che parta il tiro: lo specchio della porta si chiude ancora di più e stendersi sulla sua destra diventa più semplice. Anche quello sarà una cifra stilistica della sua carriera, nel bene o nel male: quando Totti gli segnerà un pallonetto nel derby più di dieci anni dopo, il 10 della Roma ha dichiarato che sapeva del passetto in avanti di Peruzzi che precede la parata.

Juventus-Ajax 1-1 (dcr 5-3), finale di Champions League, 22 maggio 1996

Il suo passaggio da Roma a Torino non è stato indolore, vista la squalifica a un anno per assunzione di sostanze dopanti, questione per cui Peruzzi ha ammesso una leggerezza senza però alcun scopo di dolo. Il risultato è stato comunque un anno fuori e la sua cessione alla Juventus, dove vincerà tre scudetti, una Coppa Italia, due Supercoppe italiane, una Coppa UEFA, una Supercoppa europea, una Coppa Intercontinentale ma soprattutto una Champions League.

Nella finale di Roma, Peruzzi para due rigori, facendosi perdonare il grave errore commesso durante il tempo regolamentare sulla punizione di Litmanen. La prima parata su Davids sta tutta nell'intuizione della finta dell'olandese. Quando parte il tiro è già lì. Sembra simile alla parata sul tiro di Silooy, ma il gesto tecnico di Peruzzi diventa più bello perché ha la forma disperata di una reazione alla esitazione iniziale. Di fatto, quando l'esterno dell'Ajax calcia, il portiere della Juve ha già un ginocchio a terra. Ha la fortuna di aver indovinato l'angolo, ma parte del merito va anche dato alla spinta che riesce ad imprimere attraverso la gamba sinistra. In un decimo di secondo scatta e respinge il tiro a mezz'aria ma angolato di Silooy.

Juventus-Lecce 2-0, 31 agosto 1997

Le situazioni di uno contro uno sono le più difficili da decifrare per i portieri. Non basta fare tutti i movimenti giusti per vincere il duello: bisogna anche sperare che l'attaccante avversario sbagli alcune scelte. In questo Juventus-Lecce assolato di fine agosto 1997, Palmieri si trova davanti a Peruzzi. L'abilità nella lettura di gioco permette al numero uno juventino di preparare al meglio la parata: dimezza lo spazio rispetto al giocatore leccese, orienta il corpo verso il lato da cui arriva il pericolo e sistema le gambe, leggermente sbilanciate in avanti, mentre le mani, a palmo aperto, sono aderenti al bacino. Palmieri ha il possesso del pallone, quindi Peruzzi si arresta a pochi metri da lui, non concede nessuna soluzione in più all'avversario. Non appena la punta giallorossa tocca il pallone, Peruzzi scende rapidamente a terra, riuscendo addirittura a bloccare la sfera.

Lazio-Juventus 0-1, 5 aprile 1998

Molte volte una parata del genere viene solo alla luce dell'istinto e dell'esplosività. Se in parte entrambe le qualità hanno un ruolo importante in questo gesto tecnico, il successo finale del tuffo sta in gran parte nella preparazione precedente al tiro.

Quando Rambaudi tocca verso Fuser, Peruzzi è già basso con le gambe, un piede leggermente in avanti rispetto all’altro, pronto a scattare. Nella fase di anticipazione alla "puntata" del numero sette laziale, la postura è perfetta, come anche la posizione che sceglie rispetto allo spazio davanti a sé e alla porta. L’insieme di questi movimenti rende il riflesso sovrannaturale di Peruzzi dopo la deviazione di un compagno quasi un movimento naturale.

Perugia-Lazio 0-0, 6 settembre 2001

L'esperienza di Peruzzi in maglia biancoceleste attraversa una fase particolare e complessa della storia della Lazio. Arriva nella stagione seguente alla vittoria del secondo scudetto laziale, dopo un anno positivo all’Inter dal punto di vista personale, nonostante in estate gli venga preferito il giovane Frey. La formazione è forte (per lui "la più forte") e pronta a vivere la doppia sfida in campionato e in Europa. Da quel momento, però, inizierà invece una rapida fase di declino: i problemi finanziari, il caso Cragnotti fino all'arrivo di Lotito e Calciopoli portano la Lazio lontano dalle prime posizioni. In quel terribile settembre del 2001 i biancocelesti non vinceranno neanche una partita, rischiando anche di perdere a Perugia, proprio sul campo che le diede la gloria dello scudetto solo due anni prima.

A salvarla ci pensa proprio Peruzzi con un’incredibile parata su un inserimento e colpo di testa di Tedesco. Una molla, il corpo che tende all'indietro in una flessione impossibile, rischiando quasi di finire in porta. Il fatto che ci arrivi con due mani e che riesca anche a toccare il pallone con entrambe le mani, rende l’intero movimento una specie di opera d’arte.

Lazio-Galatasaray 1-0, 24 ottobre 2001

A livello internazionale dopo quella serie di rigori nella finale del '96, la fortuna non ha mai più accompagnato Peruzzi. In Nazionale l'esperienza dell'Europeo inglese giocato da titolare si conclude male, come le finali di Champions in bianconero. Con la Lazio la sorte è la stessa: nella stagione 2001-2002 i biancocelesti, di Zoff prima e Zaccheroni poi, non superano neppure il girone. Uno dei pochi sussulti è rappresentato dalla vittoria casalinga con il Galatasaray, raggiunta non solo grazie al goal di Stankovic, ma anche alla parata in "attacco" di Peruzzi. Sul primo tiro di Sergen non è del tutto impeccabile, ma lo spostamento successivo verso il pallone è da manuale. Il corpo è quasi parallelo al terreno e permette al portiere di tendersi verso il pallone frontalmente. Riesce a parare il tap-in di Umit Karan con il volto, senza curarsi delle conseguenze. Peruzzi era davvero basso per essere un portiere, per questo la sua tecnica in porta sembrava strutturarsi attorno al tentativo di piegare la fisica e di aumentare, con ogni mezzo possibile, la propria figura.

Lazio-Modena 4-0, 24 novembre 2002

Peruzzi è alto 181 centimetri e a vederlo in porta, largo quanto lungo, sembrava ancora meno. Il motivo principale per cui Peruzzi dominava lo specchio della sua porta stava nel suoi quadricipiti.

Questa parata con il Modena nella stagione 2002-2003 su Diomansy Kamara, una delle sue più belle, è un esempio luminoso di queste sue caratteristiche.

Tamara era stato molto bravo a girare di testa un lancio dalla trequarti indirizzandolo all'incrocio. Peruzzi è un passo avanti e sta passando al vaglio gli incroci di possibilità, pronto probabilmente a un'uscita in seguito a un plausibile stop di Kamara. Il colpo di testa però non lo sorprende perché il portiere della Lazio osserva il movimento del corpo del senegalese e rimedia scivolando verso la linea di porta. Quando salta la palla sembra essere passata, ma Peruzzi ha scelto il momento in cui spingere a terra con i piedi e aprire la mano per intercettare la traiettoria. I suoi 181 centimetri riescono ad annullare i 244 centimetri della porta. Se una delle cose che preferiamo dello sport e dell’arte è la lotta alla forza di gravità - pensiamo all’elevazione sulle punte nel balletto classico - Peruzzi è stato un’esperienza davvero unica.

Milan-Lazio 2-2, 16 febbraio 2003

La Lazio sta fermando il Milan sul 2-2 dopo una partita rocambolesca. Siamo vicini ai minuti di recupero e dalla trequarti sinistra arriva un lancio a mezz'aria in direzione di Inzaghi, poco dentro l'area di rigore. Lo stop sbagliato del numero nove fa scorrere la sfera verso Shevchenko che è alle sue spalle, libero di battere a rete. La parata con i piedi di Peruzzi, materializzatosi davanti all'ucraino, fissa il risultato sulla parità.

Il gesto tecnico nell'uscita bassa stavolta non è impeccabile: il portiere deve tuffarsi verso il pallone con le mani e il corpo e lasciare gli arti infeirori dietro; qui è tutto ribaltato ma efficace. Peruzzi è bravo soprattutto a restringere lo spazio intorno alla palla: non attende passivamente lo sviluppo dell'azione, ma domina l'intera area di rigore occupandola fino all'ultimo centimetro. È una parata che esula dalla normale amministrazione ma che è invece dettata dal gioco "contemporaneo" sempre più veloce. Nonostante lo ricordiamo principalmente come un portiere reattivo, Peruzzi era un portiere in un certo senso “proattivo”, che difendeva la porta bruciando lo spazio e i tempi degli attaccanti.

Lazio-Brescia 3-1, 17 maggio 2003

Al contrario della parata su Sheva, il movimento nei confronti del tiro di Tare è quasi impeccabile, da scuola calcio. Stavolta le mani e il corpo sono in anticipo rispetto alle gambe. La palla viene attaccata da Peruzzi nonostante si trovi di fatto sulla linea di porta. Si protrae con il petto sulla sua destra (mentre le mani sono sulla sinistra) non parallelamente alla porta, ma leggermente in diagonale. L’attaccante albanese, quando tocca il pallone di sinistro, non ha un angolo di tiro valido, e il goal diventa praticamente impossibile, anche a pochi metri dalla porta.

Roma-Lazio 0-0, 15 maggio 2005

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Quello di ritorno del 2005 è uno dei derby più brutti nella storia. La posizione di classifica delle due squadre li spinge a trasformare la partita più attesa della Capitale in un pareggio scialbo e utile solo a guadagnare un misero punto nella corsa salvezza. Il pubblico strilla "Buffoni", ma in campo non si muove nulla. E ad impedire un qualsiasi scossone alla partita ci pensa proprio Angelo Peruzzi.

Sono passati 21 secondi e Amantino Mancini è solo davanti al numero uno laziale. Dalla sinistra apre l'interno destro e prova ad incrociare il tiro sul palo opposto. Peruzzi, in un immaginario triangolo creato dal pallone tra i piedi del brasiliano e i pali della porta, si pone al centro o precisamente, entrando nel campo della geometria applicata al calcio, sulla bisettrice che taglia a metà l'angolo al vertice generato dalla sfera. La posizione è perfetta, a tal punto che riesce a coprire più specchio di porta possibile; il resto viene compiuto dalle due qualità che hanno accompagnato tutta la carriera di Peruzzi fino all'addio nel 2007 contro il Parma: il senso del gioco. Capacità cognitive più che fisiche, segno di un portiere che in quasi 20 anni di carriera, ha sempre saputo compiere una scelta, comprendendo l'evoluzione del gioco attorno a lui e sapendo selezionare ogni volta il miglior gesto tecnico, stilisticamente giusto o sbagliato che sia, più utile per condurlo al risultato.

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