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Ante Rebic risolve problemi
28 gen 2020
L'attaccante del Milan è in un momento d'oro.
(articolo)
8 min
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Quando al 46’ di una partita pazza contro l’Udinese è entrato Ante Rebic qualcuno magari neanche si ricordava giocasse nel Milan. I friulani erano in vantaggio di un gol e la squadra di Pioli sembrava rassegnata agli ennesimi punti persi contro una rivale alla portata. Dopo la vittoria contro il Cagliari, con il primo gol di Ibrahimovic al suo ritorno in Italia, ci si aspettava che la stagione dei rossoneri potesse svoltare. Ibra però era stato tra i peggiori in campo, stanco e fuori fuoco. L’Udinese era riuscita a rimontare per due volte i rossoneri con una facilità deludente.

Due minuti dopo il suo ingresso in campo, però, Rebic aveva già segnato, tagliando al centro con puntualità su un cross basso di Andrea Conti. Era il primo gol con la maglia del Milan, ovviamente. Rebic aveva sfiorato il campo un minuto nella partita contro il Cagliari ma non c’era traccia di sue partite reali fin da novembre, quando aveva giocato 46 minuti assolutamente anonimi contro il Napoli, la sua prima e ultima partita da titolare.

Fino a questa partita era difficile capire se fosse più strano il fatto che il Milan lo avesse comprato o che non giocasse. Quando segna il pareggio contro l’Udinese qualcosa sembra però invertirsi nella sua narrazione, comincia a giocare mostrando quello per cui era stato acquistato ed era lecito aspettarsi cose da lui. Prende palla a sinistra e comincia ad accentrarsi al massimo della velocità, poi si allunga palla e la perde rotolandosi per terra; riceve sulla fascia una palla che rimbalza e la calcia in avanti senza pensarci un attimo. Un minuto dopo si getta in una scivolata come se fosse sul bob, recupera palla ma ha un impeto tale che finisce per scivolare. Sembra pazzo, ma è Rebic: un giocatore entropico e ha bisogno della libertà di andare fuori controllo quando corre con la palla tra i piedi.

Per questo è ancora più eccezionale quando al 93’ raccoglie una palla sporca al limite dell’area e con la freddezza di un chirurgo capisce qual è l’unica strada percorribile per il tiro. Aggira il nugolo di avversari davanti a lui, fa una finta, una piccola pausa impercettibile che manda per terra un marcatore, e poi incrocia il tiro col sinistro, non certo il suo piede. Dal replay dal basso si può apprezzare meglio la lucidità di Ante Rebic agli sgoccioli di una partita furiosa. Il tocco di suola, la finta col sinistro, il tiro di interno, basso e infido. Un gol che, questo sì, ribalta davvero la sua narrazione nel Milan.

Rebic sembra entrato in quel momento magico in cui riesce a fare qualcosa di decisivo a ogni pallone che tocca. E così, sabato, contro il Brescia, ci ha messo tredici minuti per segnare un altro gol da tre punti in una partita difficile, in cui il migliore in campo del Milan è stato “Gigio” Donnarumma. Quello di Rebic quindi comincia a non essere un caso: ha segnato 3 gol negli ultimi 80 minuti giocati che sono sono fruttati 6 punti.

Una carriera difficile da leggere

Anche allargando lo sguardo alla sua intera carriera, è difficile trovare una storia più strana di quella di Ante Rebic. Nel 2013, a vent’anni, passò alla Fiorentina dopo due stagioni da prodigio nell’RNK Spalato in cui si era guadagnato l’etichetta di “Nuovo Alen Boksic”. Perché croato, ma anche per una leggerezza nella corsa, abbinata alla forza fisica, che lo faceva somigliare a un treno. In fondo era lo stesso Boksic a riconoscerne la somiglianza: «Se parliamo di velocità nei movimenti credo che Ante ricordi molto come ero io alla sua età». Mamic, noto direttore sportivo della Dinamo Zagabria, aveva pronunciato una frase che oggi è piena di comicità: «Per me il passaggio di Rebic alla Fiorentina vale quello di Bale al Real Madrid».

Montella, allora tecnico viola, si era sbilanciato: «Ha le gesta del campione». Ma alla fine non lo fece mai giocare. Tra Fiorentina, RB Lipsia e Verona (in cui era finito in prestito) il croato metterà insieme nemmeno 30 presenze in 3 anni, quasi mai dal primo minuto. Questo nonostante continuasse a venire convocato in una Nazionale ricca di qualità come quella croata. Rebic giocò qualche minuto anche nel Mondiale in Brasile, a 21 anni, mentre alla Fiorentina non vedeva il campo.

Ci vuole il passaggio all’Eintracht Francoforte perché Rebic trovi per la prima volta nella sua vita un posto da titolare in una squadra europea. A cambiare la sua carriera è Niko Kovac. Il tecnico croato appena si siede sulla panchina del RB Lipsia dice chiaramente di non capire la scelta della Fiorentina di cederlo, e decide di prenderlo all’Eintracht. Il calcio tedesco, in ogni caso, è quello che ci vuole per Rebic, che in gioventù era considerato un finalizzatore ma che nel tempo si è dimostrato essere un esterno offensivo che aveva bisogno di grandi praterie in cui correre libero.

La sua esplosione definitiva, molti di voi lo ricorderanno, è arrivata nel mondiale del 2018. Nella Croazia finalista Rebic ha segnato un prestigioso gol nel 3-0 all’Argentina e ha offerto prestazioni complete, fisicamente e tecnicamente. Nel contesto più disordinato di un campionato del mondo, Rebic sguazzava negli spazi ampi e nei ritmi blandi, rompendo le partite grazie alla sua vena anarchica. Quell’estate sembra poter finire in una grande squadra, e Kovac prova a portarselo al Bayern. Lui rimane, un po’ per riconoscenza e un po’ perché sul suo contratto c’è una clausola che porterebbe il 50% della sua cessione alla Fiorentina, e l’Eintracht, capirete, non è convinto.

Nel frattempo l’Eintracht di Adi Hutter stava preparando una grande stagione. Nel gioco ad alta intensità, tutto transizioni lunghe, della squadra di Francoforte, Rebic ha vissuto la miglior stagione della carriera. Ha continuato a non segnare troppo, 10 gol in 38 partite, ma è stato fra i migliori giocatori di un’Europa League in cui l’Eintracht si è spinto fino a una semifinale persa ai rigori contro il Chelsea.

Rebic si è affermato come uno dei creatori di gioco più peculiari d’Europa. Un giocatore capace di rendersi un pericolo costante per le difese non grazie alla tecnica o alla raffinatezza delle sue letture, ma grazie alla furia cieca con cui attacca in verticale, con un’intensità mentale che lo porta a cercare momenti decisivi ogni volta che ha la palla tra i piedi. Nel bene o nel male. Marco Van Basten per parlare della sua spigolosità e durezza in campo lo aveva definito “Un bell’osso”.

Forse proprio nella sua stagione migliore si sono però visti i limiti di un giocatore che allunga sempre la propria squadra, che perde tanti palloni (3.4 per 90’) e a cui spesso riescono meno dribbling di quelli che prova (il 50% nel 2017/18, ma era sul 40% l’anno prima).

Comunque la si volesse vedere, però, il suo arrivo al Milan era sembrato un affare. In un certo senso era strano che Rebic finisse in una squadra che non giocava neanche in Europa. Anche la formula, quella del prestito biennale, era vantaggiosa e particolare per un calciatore che era centrale nel progetto dell’Eintracht. In mezzo c’era anche il prestito di Andrè Silva, che dopo una stagione fallimentare poteva sembrare quasi un’altra buona notizia per il Milan.

Insomma, diverse cose non tornavano, ma Rebic sembrava un ottimo colpo. Nel sistema di Giampaolo poteva giocare seconda punta al fianco di Piatek, lavorando ai fianchi le difese, aprendogli spazi. Qualcuno diceva sarebbe tornato utile anche trequartista. L’entropia che si portava dietro, paradossalmente, poteva tornare utile a una squadra compassata, poco carismatica, leggera.

Rebic invece è sparito quasi subito.

Non solo non giocava, ma in un ambiente in cui praticamente tutto diventa un caso mediatico non si parlava neanche di lui. Dalla Germania Wolfgang Steubing, presidente del consiglio di sorveglianza dell’Eintracht Francoforte, commentava: «Se devo essere sincero, non ho parole. Voleva assolutamente andarsene, perché non voleva passare come l’unico dei tre attaccanti legato a noi. Adesso sta in panchina, ha giocato d’azzardo ma sta perdendo. E non sarà semplice per lui».

L’arrivo di Pioli sembrava però una buona notizia per lui. Il tecnico in carriera era riuscito a valorizzare calciatori verticali e intensi e non è assurdo forse definirlo il tecnico italiano dalle idee più tedesche. All'inizio, però, per Rebic le cose non sono cambiate. A Natale era uscita la notizia che era andato alla cena dell’Eintracht Francoforte, in un attacco di malinconia. Alla luce di questo contesto, la svolta contro l’Udinese è stata ancora più imprevista.

Nel 4-4-2 di Pioli

Se l’aspetto mentale, oltre alla fortuna, avrà giocato un ruolo decisivo nelle ultime prestazioni di Rebic, non possiamo ignorare il cambio di modulo del Milan. L’arrivo di Ibra ha portato Pioli a passare dal 4-3-3 al 4-4-2, un sistema che sembra aver messo i giocatori più a proprio agio nella fase offensiva.

Calhanoglu da esterno a sinistra si accentra per aprire il binario alle corse poderose di Theo Hernandez; Bennacer è più libero di accompagnare l’azione; a destra Castillejo, con Conti più bloccato, può spingere di più in verticale. Il Milan gioca in maniera palleggiata e ha una ricerca più diretta delle punte - Leao ma soprattutto Ibra, ovviamente. In questo contesto più diretto e verticale Rebic è entrato contro l’Udinese esterno a sinistro, e contro il Brescia seconda punta. Le due posizioni cucite per lui in questo sistema.

In entrambe può giocare bene, specie accanto a Ibra. Rebic in particolare può sfruttare un istinto innato nell’attaccare le seconde palle. Ha meno capacità tecniche di Leao in conduzione, ma più intensità. Queste sue caratteristiche tecniche lo rendono un’arma particolarmente vantaggiosa contro difese stanche - ed esistono spiegazioni razionali al perché sta diventando così decisivo entrando a partita in corso - ma sarebbe strano non cominciasse ad avere qualche chance da titolare già da stasera, in cui il Milan gioca in Coppa Italia contro il Torino.

In un’intervista recente Rebic ha dovuto ricordarci quello che molti di noi avevano dimenticato: «Personalmente, penso di avere certe qualità che sono sempre ben accette in ogni squadra e che rendono migliori i miei compagni di squadra. Dopotutto, non sono in un club così grande per caso».

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