Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Anthony Davis risolve ogni problema
26 ott 2020
I playoff hanno cancellato qualsiasi dubbio sul lungo dei Lakers.
(articolo)
17 min
Dark mode
(ON)

«La cosa che mette più paura è che sta solo cominciando a grattare la superficie». Così LeBron James su Instagram si è congratulato con Anthony Davis dopo che i due hanno vinto il titolo NBA a Orlando, spazzando via in gara-6 quello che restava dei Miami Heat. I Los Angeles Lakers si sono dimostrati la squadra migliore di questa lunghissima e stranissima stagione, in larga parte perché avevano in campo i due migliori giocatori in ogni singola partita. Durante i playoff LeBron e Davis hanno combinato per oltre 55 punti, 20 rimbalzi e 12 assist a partita nelle 21 gare disputate, facendo registrare i due migliori Net Rating tra i giocatori in campo per più di 28 minuti di media.

Non credo di fare un torto a qualcuno dicendo che, dando i giusti meriti a Frank Vogel e al suo coaching staff per il lavoro svolto, alla dirigenza e al resto della squadra per aver saputo alzare il proprio livello quando la posta in gioco è sensibilmente aumentata, questo diciassettesimo titolo gialloviola inizia e finisce con le prestazioni di LeBron James e Anthony Davis.

E se difficilmente era possibile dubitare del dominio che LeBron esercita ormai da quasi un ventennio sull’intera lega, più preoccupazioni si potevano avanzare sulla reale capacità di AD di affiancare il Prescelto per un’intera cavalcata playoff. Non tanto di carattere tecnico - il fit tra i due è tra i migliori che la pallacanestro moderna possa concepire - ma più legati alla tenuta mentale e all’esperienza dell’ex New Orleans. Prima di mettere piede a Disney World Davis aveva giocato infatti solo tre serie di playoff in carriera, vincendone una. E nonostante un talento trascendentale, a lungo ha faticato a imporsi come una star di primissimo livello sia per limiti di risultati di squadra che di personalità.

Invece nei mesi della bolla Davis non ha solo grattato la superficie, ma ha anche cancellato qualsiasi punto interrogativo ci fosse scritto sopra, consolidandosi come uno dei giocatori più forti e terrorizzanti visti in campo e iscrivendosi in un club ancora più esclusivo: quello delle superstars in grado di salire di livello nei playoff rispetto alla stagione regolare. Dopo averli sfiorati per i primi dieci anni in NBA, Davis è sembrato perfettamente a proprio agio nelle partite nelle quali non basta il semplice talento ma contano soprattutto l'efficienza, la versatilità e la scaltrezza. Qualità che definiscono i cosiddetti 16-game players e che Davis non aveva mai mostrato ad alti livelli, almeno finora.

Visualizza questo post su Instagram

〰️ + 👑 = 🏆. That simple!! My brother is a ANIMAL and the scariest thing about it he’s just scratching the surface of his potential! 😱. My Goodness bro you’re Special! @antdavis23 “He Like That”. Congrats Champ!! 🍾🍾🍾🍾🍾🍾 showers #ADondaWay

Un post condiviso da LeBron James (@kingjames) in data: 12 Ott 2020 alle ore 1:23 PDT

Certo, giocare al fianco del giocatore più vincente di sempre in post-season aiuta molto, ma AD non si è limitato a fare da spalla a LeBron; anzi spesso e volentieri ha trascinato i Lakers attraverso le avversità delle varie serie, senza che gli avversari riuscissero a capire come fermarlo. L’immagine di copertina resterà quella impressa dal suo urlo dopo aver segnato la tripla sulla sirena per battere i Denver Nuggets in gara-2 delle Finali di Conference o le stoppate che hanno spremuto via la vita dai Miami Heat nella decisiva gara-6, ma l’impatto di Davis va oltre le giocate spettacolari di questi playoff ed è da cercare nei tanti dettagli che hanno impreziosito la stagione da titolo dei gialloviola. E nonostante LeBron abbia giustamente vinto all’unanimità il suo quarto titolo di MVP della Finals, possiamo dire che Anthony Davis abbia contribuito a modellare questa versione dei Lakers almeno quanto il GOAT.

L'importanza della versatilità difensiva

Sin dalle prime uscite di questa stagione, l’identità dei Lakers si è definita specialmente nella metà campo difensiva - dove hanno fatto registrare il terzo miglior rating in stagione regolare con 106.1 punti su cento possessi - e ha preso via via sempre più consistenza fino ad annullare gli attacchi avversari ai playoff. Una difesa al ferro da contraerea, rotazioni pulite e precise e piani partita eseguiti magistralmente hanno permesso ai losangelini di adattarsi a ogni avversario affrontato a ogni turno, prendendo via via col passare della serie le misure e finendo per disinnescare i punti di forza degli attacchi.

I Lakers se la sono vista prima con due guardie esplosive, capaci di essere pericolose sia con la palla che senza come Damian Lillard e CJ McCollum, proseguendo con i cinque fuori e gli isolamenti di James Harden previsti dal Moreyball di Houston, per poi arrivare in finale di Conference contro i Denver Nuggets e la coppia di pick & roll più pericolosa della bolla. Infine con i Miami Heat e la loro orchestra di tiratori e passatori, che tanto male aveva fatto alle migliori difese della costa est.

Tutti limitati e gestiti dalla ragnatela tessuta da Vogel e dal suo coaching staff, bravissimi nel leggere i limiti e i pregi della squadra che si trovavano di fronte e ribaltarli valorizzando il personale a loro disposizione. LeBron è tornato improvvisamente quello dei primi anni a Miami, Howard una versione lite di quello di Orlando e Danny Green, KCP e Caruso hanno lasciato sul parquet di Disney World tutto quello che avevano inseguendo per i blocchi i tiratori avversari. Però alla fine il castello difensivo gialloviola si è retto sull’ubiquità aliena di Anthony Davis nel coprire gli inevitabili buchi lasciati dai suoi compagni di squadra.

Tutto il dominio del nuovo compagno di LeBron James.

Arrivato secondo per il premio stagionale come miglior difensore in NBA - andato a Giannis Antetokounmpo - Davis ha usato questi playoff per rimettere le targhette al loro posto, dando dimostrazione di cosa significhi essere una piovra nella propria metà campo e quali strumenti fisici siano diventati imprescindibili nella NBA di oggi. Spesso si sminuisce l’importanza dei lunghi difensivi, specialmente quando si arriva ai playoff e il loro valore cala in relazione all’aumentare del talento complessivo in campo e dell’abilità dei migliori attaccanti di sfruttare ogni minimo vantaggio. Rudy Gobert se l’è sentito dire ogni anno, quando veniva costretto fuori dal campo dallo zigzagare degli Splash Brothers, di quanto fosse adatto a giocare solo durante la stagione regolare.

L’NBA è in continuo cambiamento e con lei il ruolo del lungo - in una trasformazione che ha portato i più pessimisti a suonare le campane a lutto per la specie -, ma rimane sempre la pietra angolare sul quale edificare ogni impianto difensivo. E Davis ci ha ricordato l’assoluta necessità di avere in campo un giocatore con le sue specifiche caratteristiche se si ha in mente di arrivare fino in fondo in una delle competizioni più complicate nello sport mondiale.

Davis ha iniziato i suoi playoff avendo accanto un altro lungo di ruolo in JaVale McGee e difendendo sul peggior giocatore in attacco di Portland, Wenyen Gabriel, per potersi muovere da free safety in difesa e li ha finiti in marcatura a uomo sul principale creatore di gioco di Miami, Jimmy Butler, a nove metri dal ferro. Una versatilità universale che non sempre è stata presente durante la sua carriera da professionista, anzi uno dei principali interrogativi entrando in questa stagione rimaneva la disponibilità di AD a giocare minuti consistenti da centro, motivo per il quale i Lakers si erano cautelati con le firme di McGee e Howard. Ma se in stagione regolare Davis non ha avuto grande voglia di fare a sportellate contro avversari più pesanti di lui per venti minuti di partite per lo più ininfluenti - vista anche la sua perversione nel cadere sempre a terra - ai playoff non ha avuto timore di spendersi in compiti più gravosi, anche perché così può costringere le altre squadre a scendere di una categoria di peso.

In questi playoff, in controtendenza con la stagione regolare, è finito a giocare 914 possessi da centro - per contesto in RS Davis aveva giocato 1.721 possessi da centro in 71 partite - e solo 621 da 4 in coabitazione con un altro lungo. E i risultati non hanno tardato a farsi vedere: nei minuti con il solo Davis nel pitturato Los Angeles ha triturato i rivali con +15.7 punti su cento possessi, quasi il doppio rispetto alla configurazione a due lunghi (+8.3).

In una lega che sta sempre più privilegiando la mobilità e la lunghezza rispetto all’altezza e la pesantezza, Davis è davvero un prototipo unico che finalmente è stato messo nelle condizioni di sprigionare quel potenziale di cui si fantasticava fin dalla stagione a Kentucky. Le sue braccia telescopiche, la fluidità delle anche e la rapidità dei piedi gli permettono di difendere praticamente in ogni situazioni di gioco e contro qualsiasi tipo di avversario, nel pitturato e sul perimetro, sull’uomo e in aiuto.

Lunghezza mezza bellezza

C’è un semplice motivo per il quale la lunghezza, o estensione, ha sostituito l’altezza come parametro di maggior importanza nella valutazione di un giocatore ed è la sua applicazione funzionale. Se una volta il canestro messo in una posizione sopraelevata rispetto al terreno di gioco imponeva di avere atleti in grado di rivaleggiare sopra di esso, ora il perfezionamento di abilità tecniche e prestazioni fisiche ha allargato a dismisura la porzione di campo su cui si gioca e quindi da coprire per le difese.

Oggi le migliori difese sono quelle che riescono a mangiare lo spazio orizzontale agli attacchi senza compromettere la propria dimensione verticale. E per fare questo oltre alle braccia lunghe servono anche piedi veloci e coordinazione motoria - perché se la potenza non è nulla senza il controllo, la lunghezza non è niente senza mobilità. Non serve certo un PhD in fisica per capire che l’apertura alare di un giocatore acquista tutto un altro impatto quando è libera di muoversi con senso per il campo, o basterebbe vedere cinque minuti di Mo Bamba. Ma nessuna difesa di alto livello può permettersi di non essere costruita secondo questi principi e allo stesso tempo è estremamente difficile riuscire a costruire un roster coerente con le qualità delle proprie superstar.

Lo abbiamo visto in stagione regolare con i Milwaukee Bucks e durante i playoff con i Miami Heat, ma nessuno ce lo ha sbattuto in faccia quanto i Los Angeles Lakers. I gialloviola non hanno solo una squadra alta, con due lunghi oltre i due metri e dieci sempre in campo, e un prodigio atletico che da diciassette anni distrugge le aspettative che il mondo ripone in lui, ma soprattutto hanno una squadra lunga, dove anche gli esterni come Kentavious Caldwell-Pope e Danny Green quando aprono le braccia creano un muro. Persino Alex Caruso nonostante l’aspetto da ministeriale e i relativi meme è un atleta con misure sopra media per il ruolo.

Ma nessuno possiede e sa utilizzare questa accoppiata di mobilità e estensione delle proprie estremità in NBA come Anthony Davis - oltre forse a Giannis Antetokounmpo - e le serie giocate dai Lakers a Orlando ce ne hanno dato una lampante dimostrazione.

Nel primo turno è stato fondamentale per frustrare Lillard nei suoi classici pick & roll altissimi, andandolo a prendere al livello del blocco e oscurandogli la vista con le sue braccia. E se Dame - quando capiva che non avrebbe potuto lasciar andare il pallone senza vederselo intercettato - attaccava il canestro, AD usava il cuscinetto che lo spazio aereo garantito delle sue braccia per non farsi bruciare e contestare il playmaker dei Blazers al ferro.

Lillard, dopo una striscia di seeding games incendiaria, si è spento nella serie contro i Lakers, complice anche un infortunio alla mano, e ha abbassato volume ed efficienza in ogni sua voce statistica, specialmente passando da 1.07 punti in situazione di blocco sulla palla a 0.92.

Nella serie seguente è entrato invece negli incubi di Westbrook, sul quale era stato dirottato visto le percentuali del numero 0 nel tiro da fuori. Dopo la sconfitta in gara-1 contro Houston, Vogel infatti ha via via eliminato McGee e Howard dalle rotazioni abbassandosi quindi al livello dei Rockets ma con giocatori di maggior talento, specialmente difensivo. I Lakers hanno cercato di togliere in ogni modo la palla dalle mani di Harden con un complesso sistema di rotazioni e raddoppi, per costringere gli altri a creare con pochi secondi sul cronometro, giocando anche sulla pigrizia del Barba quando non è in possesso di palla. E Davis su Russell ha inibito le penetrazioni dell’altro creatore di gioco, ingolosendolo a tirare da fuori o a intestardirsi nelle solite scelte con il paraocchi che sfociano spesso e volentieri in una palla persa e in due punti della squadra avversaria dall’altra parte. Inoltre quando AD era in marcatura su un non-tiratore come Westbrook poteva liberamente aiutare in pitturato, lasciandogli un tiro aperto o un closeout corto più semplice da eseguire. Davis è straordinario quando c’è da invogliare l’attaccante nella propria trappola, facendogli credere che ci sia uno spazio e un tempo per la giocata, e poi risucchiandolo come un buco nero con il monociglio.

A volte sembra di vedere quei video dei giocatori NBA nei camp estivi, dove concedono lo spazio per il tiro al malcapitato prima di cancellarlo dalla superficie terrestre tra l’ilarità generale. Solo che questi sarebbero i playoff NBA.

Anthony Davis rappresenta l’alfa e l’omega delle difese NBA contemporanee. I due punti chiave per una sistema difensivo di alto livello, specialmente nei playoff, sono rappresentati dalla selezione dei tiri perimetrali e sulle percentuali concesse nel pitturato. Non è un caso quindi se Davis ad Orlando ha chiuso in testa per tiri contestati sia da due (154) che da tre (99), oltre che primo per stoppate con 30 e quarto in palle rubate (primo tra i lunghi con ampio margine). E non può fare una cosa o l’altra, solitamente riesce a farle tutte insieme.

Può cambiare su un esterno e tenerlo davanti fino a costringerlo a un tiro impossibile o chiudere forte su un tiratore senza concedere una linea comoda di penetrazione. Gli esseri umani che possono effettuare come lui dei closeout particolarmente aggressivi senza uscire dall’inquadratura e recuperare sulla palla grazie alla lunghezza delle proprie braccia si contano sulle dita d'una mano - e nessuno di questi ha l’equilibrio e la fluidità di Davis.

La rapidità con la quale apre le anche e riposiziona il proprio corpo perpendicolarmente a quello dell’avversario quando viene attaccato sul piede anteriore gli permette aiutare e recuperare in ogni situazione di gioco ed è una qualità indispensabile per una difesa proattiva come quella dei Lakers.

Le Finals hanno rappresentato per Anthony Davis una sintesi di tutto ciò che aveva già fatto vedere fino a quel punto. Ha ridicolizzato Adebayo come se fosse un modello più scadente della stessa linea di lunghi ultramoderni, ha limitato Butler quando sembrava che Jimmy si fosse incamminato nella sua personale crociata nella bolla esponendo le sue titubanze nel tiro da fuori. E ha rimandato al prossimo anno Tyler Herro, spettinandolo ogni volta che quest’ultimo provava ad avvicinarsi al ferro.

Le due metà campo

E se in difesa Davis è stato il miglior giocatore per distacco della bolla di Orlando, la sua duplice efficacia su entrambi lati del campo lo ha reso un rebus irrisolvibile. Finalmente affiancato a un creatore di gioco - e non uno a caso - di altissimo livello ha potuto mettere in mostra un gioco offensivo costruito mattonella dopo mattonella e che non era presente appena uscito da Kentucky.

Rimane ad oggi la minaccia verticale più clamorosa in NBA, una meraviglia di coordinazione, tempismo e mani che arrivano sopra tutte le altre. La rapidità con la quale può salire sopra il ferro sia con che senza il pallone esalta i flash dei fotografi e rappresenta uno dei modi più redditizi con i quali i Lakers hanno sfruttato a proprio vantaggio la loro taglia fisica. Davis a Disney World ha chiuso 54 volte sopra il ferro, di cui 15 alley-oop imbeccato soprattutto da uno specialista come Rajon Rondo.

Ma il suo dominio nel pitturato non è passato solamente da queste conclusioni ad alto tasso di spettacolarità. Davis ha trovato la via del ferro anche senza dover essere imbeccato a pochi passi dal canestro, anzi ormai ora è a suo agio non soltanto in situazioni dinamiche ma anche quando deve sfruttare dei vantaggi in isolamento. Ogni anno che passa è stato in grado di aggiungere un palleggio alle sue iniziative con il pallone in mano fino a diventare un realizzatore completo, pericoloso sui tre livelli.

Ha tirato un ridicolo 79.8% nella restricted area su 114 conclusioni e di queste solo due terzi sono arrivate dopo un assistenza di un compagno, segno che ha imparato a creare anche dal palleggio. Anche perché in pochi riescono a restare davanti a Davis quando parte con quel fulminante primo passo dal compasso infinito e a contestare il suo rilascio morbido specialmente con la mano destra, contorcendosi in aria come se non avesse la spina dorsale.

Un gioco frontale aperto dal suo jumper dalla media, che a Orlando è entrato molto più spesso rispetto a quanto fatto in carriera, e che lo ha reso un'arma ancor più letale. Ha segnato il 49.6% delle sue 115 conclusioni dal midrange - negli scorsi playoff Kawhi Leonard, che sembrava aver resuscitato il tiro dalla media riportandolo ad un'efficienza jordanesca, aveva chiuso con il 49.2% su 118 conclusioni - che hanno mandato al manicomio Denver, incapace di trovare un modo per fermarlo.

Pronti,partenza, via e cinque isolamenti consecutivi per Anthony Davis nello spicchio sinistro del campo, dove è vicino all'onnipotenza cestistica.

Se a questo aggiungete che Davis, un tiratore da tre da 33% in stagione regolare, ha deciso di alzare le proprie percentuali sopra la media della lega a 38.3% mettendo anche canestri piuttosto pesanti nella corsa di L.A., non diventa complicato spiegare perché i Lakers hanno alzato il Larry O’Brien Trophy.

Davis ha chiuso le 21 partite che sono servite per vincere il suo primo titolo NBA a 27.7 punti, 9.7 rimbalzi, 3.5 assist, 1.4 stoppate e 1.2 rubate di media e il 61% di percentuale reale. Una poliedricità che ha aiutato la squadra di Vogel a superare senza troppi problemi i minuti nei quali LeBron si sedeva sulla panchina igienizzata extralarge. Storicamente nelle squadre di James, quei brevi intermezzi diventavano degli horror movies: nei quattro anni a Miami nei playoff il cumulativo del plus/minus dei quintetti senza LeBron in campo era stato di -22, nella seconda edizione di Cleveland -96. Quest’anno i quintetti che prevedevano solo Anthony Davis hanno un differenziale positivo di +4.5 punti su 100 possessi, quelli con il solo LeBron +0.4.

Numeri su campioni non sensibili ma che rappresentano quanto speciale sia stata l’unione tra AD e LeBron e di come i due in questo momento siano entrambi in una categoria a parte quando si parla dei rispettivi ruoli. Così come LeBron ha rivoluzionato un’intera generazione di wing creator allo stesso tempo steroidei e cervellotici, imponendo al gioco nuove regole e nuovi scenari, così Anthony Davis si può affermare come il più perfezionato tuttofare, il secondo violino sovradimensionato che sistema tutti i quintetti.

Oltre ad aver urlato "Kobe" dopo il game winner in gara -2 contro Denver, AD ha omaggiato il compianto fuoriclasse gialloviola con movimenti di piedi da guardia pura.

Nella bolla AD ha recitato per i Lakers il ruolo di Mr. Wolf: ha risolto man mano ogni problema che la banda di Vogel poteva incontrare sul proprio tragitto. E i Lakers si sono continuamente avvantaggiati dei suoi servigi, spostandolo in giro per il campo dove più poteva terrorizzare le esecuzioni avversarie. Ha marcato senza necessità di raddoppi Nikola Jokic e Bam Adebayo, limitando il loro playmaking contro le squadre in rotazione; ha cambiato sui creatori di gioco avversari togliendoli dalla partita - spegnendo Butler in gara-4 e 6 e di fatto consegnando il titolo ai Lakers; ha trovato la via del canestro con grande efficienza scoprendo ogni volta il modo migliore per far male e mostrando un arcobaleno di mosse in attacco; ha segnato i canestri più pesanti e iconici della bolla per indirizzare delle serie che altrimenti si sarebbero complicate non poco.

Davis è stato ovunque ai Lakers servisse che fosse, un lusso che nessuna squadra in NBA può concendersi con tale libertà e che alla fine ha fatto la differenza. In un epoca nella quale ci si interroga su quale sarà il futuro dei sette piedi nel basket contemporaneo, Anthony Davis ha risposto delineando il sentiero da seguire.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura