Anthony Edwards sapeva bene che essere chiamato con la prima scelta assoluta avrebbe comportato una robusta dose di pressioni, giudizi affrettati e responsabilità. Essere una prima scelta assoluta è un privilegio da eletti, qualcosa che ti distingue per il resto della carriera; ma a differenza di altre prime scelte assolute del passato, il cui valore era indiscutibile, cristallino, evidente, Edwards si approcciava al Draft in modo più trasversale. In una classe ritenuta povera di grandissimi talenti, Edwards aveva saputo distinguersi fino a conquistarsi un posto sicuro tra i tre prospetti più interessanti. Ma esattamente come per James Wiseman e LaMelo Ball, alle luci del talento corrispondevano altrettante ombre e campanelli d’allarme, rendendo Edwards un ammasso di atomi di carbonio che, senza Summer League e training camp a fare da cuscinetto preparatorio, rendeva impossibile la distinzione tra carbone e diamante.
A complicare ancora le cose c’era la questione relativa ai Minnesota Timberwolves. Dopo aver cambiato quattro allenatori e tre dirigenze diverse negli ultimi sei anni, dopo essere diventati, volontariamente o meno, il volto della protesta sociale che ha scosso gli Stati Uniti dopo l’omicidio di George Floyd, i T’Wolves hanno perfino cambiato proprietario e quando si parla di Draft hanno un lungo passato di scelte sbagliate. Dal 2009 a oggi, in possesso di una delle prime sei scelte, Minnesota ha selezionato Ricky Rubio, Jonny Flynn, Wesley Johnson, Derrick Williams, Karl-Anthony Towns, Kris Dunn e Jarrett Culver. Una lista di fallimenti – tolto ovviamente Towns e in parte Rubio – che ha posto “Antman” in una posizione se possibile ancora più scomoda.
È forse per tutti questi motivi che immergersi all’interno della sua prima stagione da professionista diventa un’esperienza piuttosto singolare, quasi rinfrescante, insolita. Edwards è stato in grado di fare tutto al contrario di tutto. Ha piegato da solo o quasi squadre da playoff come Portland (34 punti con 12/24 al tiro) e Phoenix, toccando un career high da 42 punti poi eguagliato la scorsa notte contro Memphis, quando “Antman” è diventato il terzo teenager della storia NBA dopo LeBron James e Kevin Durant a segnare almeno 40 punti in una partita di regular season. Con la stessa involontaria facilità si è preso la classifica dei marcatori-rookie con 18.9 punti di media a partita e la maglia nera per quello con il peggior percentuale di vittorie. Ve la ricordate la tonitruante schiacciata dello scorso 19 febbraio contro i Toronto Raptors, ancora oggi una delle più spettacolari dell’anno? Sicuramente uno degli highlight dell’intera stagione, all’interno di una prestazione da 3/14 dal campo – compreso uno 0/7 da tre.
In qualsiasi video su YouTube sulla sua carriera non potrà mancare questo momento.
Molto del fascino di Edwards risiede proprio in questa sua capacità di rimbalzare contro le avversità, prendendo sempre più slancio, fino a piegare la realtà dalla sua parte. Una qualità molto importante se negli ultimi 30 mesi della tua vita hai scelto di saltare l’ultimo anno delle superiori per poi vederti cancellare la tua unica stagione collegiale a causa della più grave pandemia dell’ultimo secolo, e sei entrato in una leghe sportive professionistiche più massacranti e competitive al mondo in un anno tanto complicato all’interno di una franchigia tanto in difficoltà.
Edwards non si è mai fatto scrupoli nel crescere in fretta, ma per una volta nella sua vita è apparso sovrastato dal contesto che lo circondava. E se da una parte non è raro vedere un rookie commettere errori o peccare di cattive letture, dall’altra raramente si è visto un giovane basarsi interamente sui propri istinti come Edwards. Il suo corpo è un cumulo di nervi e fibre che si muove rapsodicamente in ogni direzione, quasi non avesse ancora del tutto chiaro quali sono i suoi limiti, un po’ come un supereroe che deve ancora imparare a controllare i suoi superpoteri.
Dopo un avvio incerto, nelle 29 partite giocate dopo la pausa per l’All-Star Game i suoi numeri dicono 23.7 punti, 5.4 rimbalzi e 3.2 assist di media a sera – cifre che soltanto altri teenager come Luka Doncic, LeBron James, Carmelo Anthony e Zion Williamson sono riusciti a tenere per una stagione intera – e la sua intesa con Towns sembra migliorare di settimana in settimana. Ancora una volta la questione fondamentale è il tempo: il fatto che i primi a credere ciecamente nel suo immenso potenziale siano proprio i Minnesota Timberwolves è rincuorante per un ragazzo che ragionevolmente avrà bisogno di tempo per mettere insieme i pezzi del suo gioco. Ma quanto tempo può ancora permettersi di perdere Minnesota?
Un giocatore di football prestato al basket
Edwards è capace di trasmettere tante Superstar-vibes quante Rookie Che Non Ha Idea Di Cosa Sta Facendo-vibes anche all’interno dello stesso possesso, una qualità intrigante per un ragazzo che fino ai 14 anni aveva nel football il proprio sport di riferimento. Come ha dichiarato lui stesso in un’intervista a SB Nation fino ai 10 anni molti lo consideravano uno dei migliori cornerback della nazione e lui stesso sognava di diventare un giocatore NFL. Il passaggio al basket è avvenuto durante il secondo anno di superiori, dopo un’estate spesa a darsela di santa ragione nelle partitelle nel cortile della casa della nonna contro i suoi due fratelli – che non lo facevano mai vincere.
Cosa che potrebbe spiegare la brutalità fisica con cui gioca. Immaginatevi di essere il pallone nella stoppata rifilata a Westbrook :/
Nonostante un anno a Georgia, gli allenamenti individuali con il proprio trainer Anthony Holland e sei mesi di apprendistato NBA, ancora oggi vedendolo giocare i suoi movimenti ricordano molto più quelli di un running back che cerca di evitare i placcaggi. La sua capacità di fermarsi e ripartire – sicuramente il punto di forza del suo gioco finora – gli permette di cambiare passo all’improvviso senza perdere di intensità, accelerando e decelerando a seconda delle necessità.
Sotto il profilo fisico Edwards non è perfetto solo per la pallacanestro, ma per lo sport in generale. Grazie a una pregiata combinazione di velocità, resistenza, dinamismo e struttura, “Antman” è in grado di piegare l’asse cartesiano del campo a piacimento. Può spiccare balzi assurdi e volare a canestro (in verticale), correre per il campo senza sosta (in orizzontale) e tagliare da un punto a un altro (in diagonale) sfruttando il baricentro piuttosto basso. Con un telaio da 193 centimetri per 102 chili tanto potente quanto flessibile, Edwards possiede quello che gli scout definiscono “atletismo funzionale”, la capacità di imprimere energia e fisicità in ogni giocata, sfruttando ogni stilla di sudore in modo proattivo all’interno di una partita. Fino al suo ingresso in NBA, Edwards raramente ha giocato contro qualcuno in grado di pareggiarlo in atletismo e fisicità. Poi però le cose sono cambiate: «In NBA sono tutti così grossi» ha dichiarato candidamente a Defector, «soprattutto i lunghi, passare sopra i blocchi è una cosa complicata perché sono tutti così grossi!».
Edwards ha dovuto imparare presto che la vita sa essere spietata e non ti regala nulla – ha perso la madre e nonna nel giro di otto mesi, nel 2015 – ma da degno possessore di un soprannome da supereroe, affidatogli dal padre quando aveva appena 3 anni, sembra capire bene l’importanza del possedere un cuore puro.
Spalle larghe
La spontaneità e la brutale onestà con la quale Edwards è in grado di commentare ciò che avviene attorno a lui, le sue gesta come gli errori, è un’altra delle sue qualità. Le sue interviste sono tra le più piacevoli da leggere in assoluto e dimostrano il perché, nonostante sia un rookie che prende una miriade di (brutti) tiri in una squadra che perde (quasi) ogni notte, trovare un compagno di squadra che parla male di lui è un’impresa. Edwards è una piccola “gemma”, come lo ha definito Ricky Rubio – uno che di pressione e aspettative se ne intende – ai microfoni dello Star Tribune di Minneapolis – un ragazzo che ha saputo non perdere la testa nonostante le tante difficoltà.
Minnesota sicuramente non è stata fortunata con gli infortuni: l’aver perso Town per quasi un mese per via del COVID-19 a inizio stagione, D’Angelo Russell per oltre due mesi per un problema a un ginocchio e poi Malik Beasley, infortunatosi al flessore nella stessa partita in cui Russell tornava a disposizione (una striscia di assurde coincidenze iniziata nella scorsa stagione, quando Towns si ruppe il polso esattamente una partita dopo l’arrivo a Minneapolis dei due!) ha contribuito a destabilizzare ancora di più la situazione, e in special modo quella di Edwards, rimasto spesso l’unico punto di riferimento in una squadra di gregari e giovani. Soprattutto se si considera che, dopo 31 partite, l’ex allenatore Ryan Saunders è stato licenziato per far posto all’ex assistente dei Raptors Chris Finch – non senza una robusta dose di polemiche.
Il pessimo rendimento dei T’Wolves ha messo Edwards in una situazione peculiare, nonché potenzialmente pericolosa, costringendolo a una stagione ancora più inefficiente di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi, e che rischia di lasciare strascichi e cattive abitudini. Non avendo altro a cui aggrapparsi Saunders prima e Finch poi lo hanno tenuto in campo nonostante errori o cali di concentrazione: Edwards ha saltato appena 1.095 minuti in 66 partite e, nonostante una seconda parte di stagione in crescendo, arriva a malapena al 41% dal campo e al 32% da tre punti. E sebbene i 7 tentativi da tre a partita siano un segnale incoraggiante per un ragazzo che ancora non ha finito di aggiustare la propria meccanica di tiro (dimostrano aggressività e volontà di acquisire un elemento fondamentale per un esterno), dall’altra potrebbero essere un campanello di allarme per un giocatore che già al college era sembrato un giocatore troppo innamorato del proprio jumper.
Poi ci sono notti in cui diventa la “torcia umana” e tutto sembra più semplice. Il testa a testa con Ja Morant è solo l’ennesima cartolina del futuro radioso della NBA, di cui è diventato il più giovane di sempre a segnare 150 triple. Ah, due quarantelli da parte di un teenager nella stessa stagione non si vedevano dai tempi di LeBron James.
L’aspetto positivo è che, malgrado le apparenze, Edwards non è un giocatore egoista. Il numero di assist per cento possessi (12.2) è maggiore rispetto a quello delle palle perse (9.5) per tutta la durata della stagione, e il giocare in una delle peggiori squadre al tiro, perimetrale e non solo, nonché in una delle meno dotate di playmaking e/o giocatori in grado di costruirsi un tiro dal palleggio, ha finito spesso col penalizzarne il rendimento statistico. Edwards possiede buoni istinti per il gioco, soprattutto per un giocatore con così poca esperienza di pallacanestro, e questo dovrebbe aiutarlo anche a correggere la miriade di imprecisioni difensive che hanno contraddistinto la sua prima annata in NBA - al netto di una interessante capacità di leggere le traiettorie di passaggio per intercettare i palloni, retaggio del suo passato da cornerback.
Giocare in una delle peggiori squadre della lega sotto in ogni parametro difensivo sicuramente non lo sta aiutando, così come non lo aiuta l’aver dovuto spesso usare troppe energie nel supportare un attacco che, senza di lui, in molti frangenti della stagione semplicemente non sarebbe esistito. Imparare a bilanciare il proprio apporto nelle due metà campo è un processo che solitamente richiede anni e non va dimenticato che Edwards compirà 20 anni soltanto il prossimo 5 agosto.
La coppia con Towns, tra presente e futuro
Dall’arrivo di Chris Finch, Edwards è già sembrato un giocatore più maturo, meno grezzo. Voluto fortemente dal capo della dirigenza Gersson Rosas dopo l’esperienza condivisa ai Rio Grande Valley Vipers, la squadra di G-League degli Houston Rockets, Finch è riconosciuto come una delle migliori menti offensive in circolazione. E infatti, nelle 35 partite in cui si è seduto sulla panchina dei T’Wolves il rendimento offensivo è passato da 105.7 a 108.7 punti su cento possessi, migliorando sia la percentuale reale (da 50 a 52%) che la qualità dei tiri – più triple, più tiri dentro il pitturato, più tiri liberi tentati.
Sapendo di avere una lunga strada da percorrere prima di farlo diventare un giocatore maturo, quello che Finch gli chiede maggiormente è di fidarsi del suo talento, soprattutto quando entra nel pitturato. Sotto il nuovo allenatore, Edwards ha iniziato a toccare più volte il pallone, ma soprattutto a toccarlo meglio, ricevendo in situazioni dinamiche che gli permettono di usare il proprio atletismo per penetrare a centro area, cambiando direzione come un discesista che evita i pali durante il percorso.
Dopo aver tirato con un terribile 46% al ferro nel primo mese di regular season, Edwards oggi si è stazionato stabilmente oltre il 62%, che diventa quasi 67% quando in campo insieme a lui c’è Towns, che col suo rientro in quintetto nelle ultime settimane ha permesso a Finch di iniziare a sviluppare l’alchimia tra le due giovani stelle.
Sebbene non sia chiaro quanto il futuro di Towns sia legato a quello di Minnesota, il futuro a breve termine di Edwards è sicuramente collegato a quello dell’ex Kentucky. La sola presenza di Towns, oltre a dare alla squadra uno dei migliori lunghi offensivi della lega – e forse il miglior tiratore sopra i 2.13 al mondo – garantisce maggiore e migliore spazio di manovra per Edwards, che sfruttando la gravità che KAT è in grado di esercitare ha iniziato a manipolare le difese in modo più efficace.
Con Towns in campo i numeri di Edwards cambiano praticamente in ogni parametro: l’efficienza offensiva sale di oltre 4 punti percentuali, il numero di liberi tentati quasi si triplica, il numero di assist potenziali passa da 4.7 a 6.8 a partita, l’attacco di Minnesota (oltre a farsi più sofisticato) sale fino ai 113 punti segnati su 100 possessi.
I giochi a due tra Towns e Edwards finora sono stati incentrati sulla capacità del primo di spaziare il campo e del secondo di avanzare verso il ferro. Ma lo stesso Finch ancora sta sperimentando alla ricerca della ricetta migliore. Molto spesso Towns e Edwards agiscono sullo stesso lato del campo, costringendo le difese avversarie a svuotare il proprio lato debole – lo stesso che, Minnesota spera, possa venir presto occupato da altri giocatori di talento. Il rientro di Russell, seppur inizialmente dalla panchina, ha contribuito a ridistribuire i carichi offensivi di Edwards, mettendolo nelle condizioni di attaccare difese meno sigillate; e quando rientrerà anche Beasley, probabilmente nella prossima stagione, Minnesota sarà in grado di schierare quattro giocatori abili a costruirsi un tiro dal palleggio o punire sugli scarichi.
«Dobbiamo ancora ancora capirci meglio, ma giocare insieme a lui è una cosa davvero divertente» ha dichiarato Edwards con la solita spontaneità dopo aver combinato per 83 punti con Towns nella vittoria contro i Suns dello scorso marzo.
Quanto questo sia un fattore positivo o negativo per Edwards è ancora da scoprire. Aumentare le soluzioni di creazione/costruzione potrebbe impedirgli di subire le contromosse à-la-Morant delle difese avversarie – pronte a sfidarlo al tiro passando sotto i blocchi. Tuttavia non è detto che il diminuire dei carichi di responsabilità possa giovare a un giocatore che, sia per talento che per aspettative, deve imparare a gestire l’attacco di una squadra NBA. Sicuramente gli ingredienti sembrano promettenti: nei 205 minuti in cui Edwards, Towns e Russell sono stati in campo l’efficienza offensiva di Minnesota sale ancora (120.6), e anche se il Net Rating resta negativo il record di squadra dice 10 vittorie a discapito di otto sconfitte.
Edwards possiede il necessario per far funzionare non soltanto gli incastri tra giocatori ma la franchigia nel suo insieme. A differenza di Towns, che tra i due primeggia in talento e classe pura, Edwards potrebbe evolversi nella mentalità della squadra, ereditando quel seggio di leader emotivo rimasto vacante dopo la partenza di Kevin Garnett – parentesi di Jimmy Butler a parte.
Il problema è che Edwards possiede anche il necessario per implodere. E se spesso il confine tra successo e smarrimento, quando si parla di ragazzi così giovani, è determinato da fattori difficilmente controllabili, nel caso di “Antman” provare a intuire le oscillazioni diventa ancora più complesso. Andare a cento all’ora in un mondo che va a cento all’ora ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi: Edwards potrebbe diventare una wing creator di livello All-NBA capace di difendere diverse posizioni, di tirare sugli scarichi e costruire un tiro dal palleggio, per sé e per i compagni. Al tempo stesso potrebbe diventare Andrew Wiggins. E non c’è bisogno di essere un tifoso di Minnesota per capirne la differenza.