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Griezmann è sempre il più intelligente della stanza
14 mar 2024
Contro l'Inter un'altra prestazione deliziosa.
(articolo)
7 min
(copertina)
Foto di Bagu Blanco / Imago
(copertina) Foto di Bagu Blanco / Imago
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Andate su YouTube, caricate gli highlights della partita di ieri, andate avanti fino al gol del pareggio dell’Atlético e mettete pausa subito dopo il cross di Molina. Da destra, Molina rientra sul sinistro e mette una palla tesa al centro dell’area di rigore, che de Vrij respinge di ginocchio anticipando Morata. Mettete play e poi di nuovo pausa, subito, quando la ginocchiata di de Vrij arriva Koke fuori area, e Koke riesce in qualche modo a controllare con il petto, schiacciandola a terra, leggermente orientato verso la sinistra dell’attacco madrileno.

Cosa notate? Ci sono cinque giocatori dell’Inter - Dumfries quello più arretrato, Barella quello più esterno a destra, Calhanoglu al limite dell’area dove arrivano di corsa Pavard e de Vrij, che carica su Koke per murare un eventuale tiro - corrono tutti in avanti. Morata è piantato al centro dell’area e Samuel Lino, molto largo, sta tornando indietro per evitare il fuorigioco. Un solo giocatore si muove in avanti. Un solo giocatore capisce, immagina, sente, che Koke non sta per tirare ma, invece, che potrebbe mettere quella palla dentro l’area. Quel giocatore è Antoine Griezmann, il più intelligente, il più sensibile, il più sveglio in campo. Sempre. Ancora oggi a 33 anni.

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Difficile capire razionalmente cosa abbia messo in moto Griezmann. Forse la conoscenza del compagno, sapere ad esempio che Koke è destro e che con quella palla sul mancino magari preferisce non tirare. Oppure la lettura del movimento della difesa interista, l’istinto a muoversi controcorrente come un salmone che risale la corrente: se voi salite, io scendo; se vuoi svuotate l’area, io la riempio. Certo la palla arriva a Griezmann solo grazie alla svirgolata di Pavard, colto di sorpresa, fuori equilibrio - come la palla arriva a Griezmann è casuale, ma come Griezmann arriva sulla palla no: quel movimento fa tutta la differenza. E la differenza tra Griezmann e gli altri giocatori sta nel fatto che lui, per capirlo, per vederlo veramente, devi mettere pausa.

Ah no, la differenza la fa anche la finalizzazione. Perché se Pavard si piega come una sedia di Ikea nel tentativo goffo di respingere la palla, Grizou lascia scorrere il pallone ruotando sul sinistro e quando calcia - con un unico movimento aggraziato - colpisce la palla quasi di punta, per mandarla senza giro, con un tiro secco e preciso, il più possibile vicino al palo. Senza neanche sapere dove fosse Sommer, fino a dove fosse uscito, ma tenendo ben presente dove si trovava la porta - come una volta ha detto Gabriel Omar Batistuta (uno di quegli aneddoti impossibili da verificare, ma anche troppo belli per essere ignorati, nel dubbio) non c’è bisogno di guardare la porta prima di tirare perché “la porta non si sposta”.

Senza questo gol, un minuto dopo il vantaggio nerazzurro, forse avremmo visto un’altra partita. Forse l’Atletico non avrebbe pensato di potercela fare. Gli uomini di Simeone, cioè, avevano bisogno che a dare la riscossa fosse un piccolo trequartista un terzo francese, un terzo sudamericano (per osmosi coi compagni) e un terzo spagnolo. Avevano bisogno di Grizou per capire che era possibile fare male all’Inter, fino a lì piuttosto solida.

Antoine Griezmann è stato ancora (sempre) splendido nell’ottavo di finale di ritorno di questa Champions League 2023/24, giocato una decina di giorni prima del suo 33esimo compleanno. Nel suo solito doppio ruolo di seconda punta e playmaker, regista offensivo e forcina con cui scassinare la serratura che chiude l’area di rigore. L’unico in grado di andare alla stessa velocità degli altri, rapido, intenso, elettrico fino a bruciare quando serve (come quando ha chiuso in scivolata Calhanoglu al limite della propria area di rigore) ma anche di costringere gli altri a rallentare fino quasi a fermarsi.

Griezmann organizzatore nel caos, che non ha paura a giocare “dentro” il blocco interista, permettendo ad una squadra altrimenti condannata ad attaccare solo sugli esterni, per propri limiti, di giocare sullo zerbino dell’area di rigore nerazzurra. Griezmann che gioca sempre a uno o due tocchi, che costringe i compagni a cercarlo e a cercarsi tra di loro, perché lui li cerca e si fa trovare, gli insegna a stare vicini, li lega con il suo esempio, contagiandoli con la sua idea di calcio.

Al 42esimo del primo tempo, con l’Atletico già rientrato in partita, Grizou si ritrova una palla in area di rigore. Rientrando da un fuorigioco (aveva fatto un taglio profondo poco prima e se l’era presa comoda) di parecchi metri si disinteressa dell’azione finché non torna in gioco regolarmente, sbucando dal nulla, dal punto di vista della difesa interista. Marcos Llorente salta Bastoni con un tunnel e la palla arriva a Griezmann dentro l’area di rigore. De Vrij è come se lo vedesse solo in quel momento e recupera più velocemente che può, correndogli davanti. Correndogli troppo davanti, però: de Vrij ha preso male le misure e a Griezmann basta rallentare, smettere di toccare la palla e aspettare che De Vrij gli sfili davanti, che si dribblasse da solo, in un certo senso. Poi Grizou si sposta la palla sul sinistro e calcia troppo timidamente in porta, con Pavard che fa una parata di piede che nega all’Atletico il 2-1.

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Persino in una partita decisa da altri in cui Griezmann avrebbe potuto essere più efficace in alcune occasioni, ha seminato giocate utili e raffinate a tutto campo, sempre più libero col passare dei minuti, senza mai soffrire la pressione della partita o dei giocatori interisti. Con la leggerezza di chi si sposta da una stanza all’altra durante una festa, chiacchierando qui con uno e lì con un altro. A volte Griezmann si accontenta di mettere in mostra la sua conversazione brillante. Al 79esimo Riquelme recupera una palla in scivolata su Lautaro, vicino al fallo laterale sinistro, dentro la metà campo difensiva dell’Atletico. Griezmann raccoglie la palla prima che esca e la porta all’interno di un triangolo Lautaro-Darmian-Pavard, da cui la fa uscire con un tocco sotto delicato e al tempo stesso un po’ sadico con cui scavalca il difensore suo connazionale e fa arrivare il pallone sul piede di Depay alle sue spalle.

A volte invece la chiacchiera diventa discussione seria e profonda, e la conversazione di Grizou si fa poetica, la festa si ferma per ascoltare la sua voce. Come al 93esimo, a trenta secondi dalla fine dei tempi regolamentari. Su un fallo laterale a destra si sposta dalla traiettoria del pallone per far arrivare la palla a Correa, correndo alle spalle di Acerbi che lo marcava (entrato, Acerbi, per rendere più solida, impermeabile, la difesa interista). Quando De Vrij, che invece marcava Correa, lo raddoppia per non lasciargli la corsa sulla fascia, Grizou restituisce la palla a Correa, a quel punto libero, con un tocco di collo di controbalzo che passa nello spazio tra Acerbi e, appunto, de Vrij.

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Poi corre alle spalle di de Vrij e Correa, di nuovo, lo serve nello spazio. Grizou porta palla fino al limite dell’area, dove lo triplica Bisseck - a questo punto Griezmann, scambiandosi la palla con un compagno due volte ha attirato su di sé tutto il pacchetto dei 3 difensori centrali interisti - lasciando alle sue spalle una voragine in cui potrebbero andare al tiro sia Correa che, come poi effettivamente fa, Riquelme. Il tiro finisce alto - dalla disperazione di aver visto sprecare un simile match-point ai suoi giocatori il Cholo Simeone finisce sdraiato in terra, con la faccia nascosta nei fili d’erba - ma anche in questo caso va sottolineata l’ultima palla di ritorno giocata da Griezmann, un colpo d’esterno in controtempo, che esegue frenando sul posto ma senza cambiare postura, prendendoli di sorpresa e anticipando il recupero dei difensori.

Si tratta di dettagli. Ma il calcio contemporaneo è fatto di queste cose, un calcio che costringe a guardare più volte le azioni, a studiare i replay a chiedersi: aspetta un attimo ma come ha fatto a passare lì il pallone, come ha fatto a saltare quell’uomo? È un calcio che non viene esagerato dai reel su Instagram o dalle compilation YouTube ma che, anzi, sembra venire da quel mondo, sembra essere fatto per essere visto anche in pezzetti di questo tipo. Ma che non sfugga il senso generale: i giocatori in grado di controllare i dettagli sono anche quelli più decisivi, più dominanti, non sono solo i più adatti ai criteri estetici di quest’epoca.

Grizou, oltretutto, non è neanche pienamente di quest’epoca. Dovrebbe essere passato, di una generazione precedente, e invece non c’è molta differenza tra il suo modo di giocare e quello di Xavi Simons o Musiala. Era avanti lui, rispetto ai suoi contemporanei e adesso che ha 33 anni il calcio somiglia molto di più a lui, al suo modo di giocare, rispetto a quello di Pogba, per fare un paragone forse un po’ crudele, che ha comunque due anni meno di lui.

Griezmann l’eterno terzo (terzo al Pallone d’Oro nella sua migliore stagione, 2018, terzo nella classifica come miglior giocatore del mondiale che ha vinto, dopo Modric battuto in finale ed Eden Hazard battuto in semifinale. Griezmann meno vistoso, meno evidente, rispetto ai suoi coetanei, ma forse più influente sul lungo periodo, più moderno. Ma in definitiva possiamo dire che non era (non è) Griezmann a farsi vedere troppo poco, eravamo (siamo) noi a non guardare abbastanza nel dettaglio.

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