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L'autocombustione di Antonio Conte
20 feb 2018
Otto mesi dopo aver vinto a sorpresa la Premier League, l'avventura di Conte al Chelsea sembra vicina al capolinea.
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12 min
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È passato un anno e mezzo dal suo arrivo in Inghilterra, e poco più di otto mesi dalla vittoria della sua prima Premier League, ma l’esperienza di Antonio Conte al Chelsea sembra essere già finita. Se si sentono le voci che circondano il club sembrerebbe che Roman Abramovich voglia sostituirlo con Luis Enrique, che però non sarebbe disposto a subentrare a stagione in corso, ma in caso di altri risultati clamorosi in campionato, o di una sconfitta pesante nell’ottavo di Champions League contro il Barcellona, non è escluso nemmeno che la società decida di allontanarlo lo stesso, appoggiandosi per l’ennesima volta al Mister Wolf dei “Blues”, Guus Hiddink.

D’altra parte, è innegabile che i risultati del Chelsea in questo momento siano negativi. In campionato ha vinto solo due delle ultime sei partite (contro West Brom e Brighton), subendo sette gol nelle ultime tre partite, contro Bournemouth e Watford, ed è stato anche buttato fuori dalla Coppa di Lega dall’Arsenal. Con il Manchester City che veleggia tranquillo verso la vittoria della Premier, al Chelsea non rimane che lottare per rimanere tra le prime quattro e sperare in un’impresa in Champions League che, oggi come oggi, contro un Barcellona in forma, sembra impensabile. Se si esclude un’eventuale, consolatoria, vittoria della FA Cup, insomma, le prospettive non sono delle migliori.

Ma è lo stesso Conte che sembra ormai con un piede fuori da Londra, nonostante abbia recentemente dichiarato di non aver mai pensato di dimettersi. «Non sono preoccupato», ha detto dopo la brutta sconfitta con il Watford per 4-1. «Domani è un altro giorno e posso essere l’allenatore del Chelsea oppure no. Qual è il problema? […] La vita va avanti».

Il tecnico leccese per l’ennesima volta nella sua carriera si ritrova in rotta totale con la società mentre spogliatoio e tifosi lo difendono a spada tratta. Le sue conferenze stampa sono ormai piene di riferimenti passivo-aggressivi verso il calciomercato del suo club. È sembrato quasi infastidito dall’acquisto di Emerson Palmieri («Onestamente non me lo ricordo perché ha giocato solamente la scorsa stagione in Italia») e solo pochi giorni fa è arrivato a dire che: «Dovrò parlare con gli altri allenatori per capire come fanno a persuadere i club a spendere i soldi per comprare loro dei campioni».

Lo straniante commento di Conte su Emerson Palmieri, che venerdì ha esordito in FA Cup con un assist.

Conte, probabilmente, è stato salvato dall’esonero proprio dall’appoggio quasi unanime di giocatori e tifosi, con questi ultimi che hanno continuato a cantare il suo nome dagli spalti anche durante le peggiori sconfitte. Courtois ha dichiarato: «Crediamo in Antonio Conte e crediamo nel nostro team […]. Adesso pensiamo ad allenarci bene con Conte alla guida della squadra». Mentre Gary Cahill è stato, se possibile, ancora più esplicito, dicendo: «Siamo noi giocatori che dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. L’allenatore ha svolto un lavoro assolutamente fantastico».

Va detto subito che, ironicamente, i problemi tattici del Chelsea di quest’anno sembrano derivare anzitutto dal mercato condotto dal club londinese, dal modo in cui la squadra è stata rivoluzionata in estate, nonostante Conte fosse riuscito nell’impresa di vincere la Premier League risorgendo dalle macerie lasciate da José Mourinho. Il Chelsea ha perso tre giocatori perno, uno per reparto, su cui Conte aveva fondato la propria architettura tattica. E cioè: David Luiz (anche se non per ragioni di mercato), Matic e Diego Costa.

La sparizione di David Luiz

Vale la pena ricordare che il calcio di Conte non ha nulla a che fare con il gioco “all’italiana” per cui spesso lo si vuole far passare, stereotipo rafforzato dal fascino esotico che un allenatore italiano inevitabilmente genera sul pubblico inglese: quello del tecnico leccese è un gioco di posizione in piena regola, impiantato in questo caso in un 3-4-3 molto aggressivo e verticale. Con uno stile del genere, l’anno scorso David Luiz era il libero che garantiva la pulizia ad inizio azione, prendendosi la responsabilità e il rischio di rompere le linee di pressione avversarie e di cercare quelle di passaggio verso la trequarti, per attaccanti e mezzali.

Contro il Watford, nonostante la sconfitta finale, si è rivisto David Luiz titolare, e con lui i suoi passaggi taglia-linee dalla difesa. Qui il centrale brasiliano riesce a servire Pedro tra le linee del Watford, tagliando fuori attacco e centrocampo avversario.

Quest’anno il brasiliano ha cominciato titolare ma poi, all’incirca dopo il doppio match contro la Roma in Champions League, è stato sostituito da Christensen, ufficialmente per un’infiammazione ad un tendine del ginocchio. Molti, però, dicono che in realtà David Luiz abbia litigato con Conte, dopo averlo insultato proprio nella partita d’andata con la Roma, che a quanto pare ha fatto precipitare i rapporti tra i due. Ad inizio novembre, dopo la bella vittoria in casa con il Manchester United, David Luiz è stato mandato addirittura in tribuna. «Non l'ho convocato per scelta tattica, abbiamo Christensen che rappresenta il presente e il futuro di questa squadra», ha dichiarato Conte dopo quella partita. «Poi c’è anche il giovane Ampadu: a questa società piace lanciare nuovi talenti. E il risultato contro il Manchester United mi ha dato ragione».

Christensen è più attento in fase di marcatura e negli uno contro uno rispetto al brasiliano e questo ha contribuito a rendere la squadra di Londra ancora più solida e impermeabile, nonostante le sue coperture alle spalle degli altri due centrali e le scalate non abbiano sempre funzionato alla perfezione.

Qui Rüdiger non si alza per far scattare il fuorigioco ma è in ritardo su Vardy, che scappa alle spalle di Cahill. L’attaccante del Leicester sfiora il gol.

I problemi del Chelsea non sono di certo di natura difensiva, dato che la squadra di Conte è seconda solo al City per Expected Goals concessi (20,85) e solo allo United per gol effettivamente concessi (23). Ma gli effetti negativi di questa “sostituzione”, per il Chelsea, si vedono soprattutto con il pallone. Christensen è più conservativo di David Luiz in fase di impostazione bassa, rendendo prevedibile l’azione dei “Blues” già dalle sue prime battute. Il centrale danese è molto più scolastico nelle letture rispetto al brasiliano, che invece non si fa mai troppi problemi nel prendersi dei rischi.

Senza David Luiz, il Chelsea non ha saputo come sopperire alle responsabilità creative che ricadevano sulle sue spalle e la circolazione bassa è diventata lenta e perimetrale.

Sostituire Matic con Bakayoko: non ha funzionato

Ma l’assenza di David Luiz non è l’unico granello di sabbia che è andato ad inceppare il gioco di posizione del Chelsea. Anche a centrocampo, infatti, la cessione di Matic al Manchester United ha modificato le caratteristiche tecniche del motore dei “Blues”, allontanandolo dalle idee di Conte.

Matic è un centrocampista completo, che abbina un sapiente utilizzo del corpo nel gioco spalle alla porta a una grande sensibilità tecnica nel gestire il ritmo del possesso attraverso l’alternanza di gioco lungo e corto. L’anno scorso, Matic contribuiva a far risalire il campo alla propria squadra, abbassandosi in mediana in fase di prima impostazione e dando il proprio contributo creativo nell’ultima trequarti, quando il Chelsea attaccava posizionalmente.

È stato sostituito da Bakayoko, che ha caratteristiche tecniche quasi opposte, al di là del giudizio di valore che ognuno di noi può dare: il mediano francese ha una sensibilità tecnica molto meno raffinata, sia nella distribuzione del pallone che nel primo controllo, e dà il meglio di sé quando difende e attacca in avanti, possibilmente in campo lungo, dove può scatenare la sua progressione palla al piede.

Con un centrocampo composto da Bakayoko e Kanté, quindi, il Chelsea non solo non riesce ad avere una prima costruzione pulita, ma è anche impossibilitato nel passare per il centro del campo con il palleggio basso, senza limitarsi ad un possesso conservativo, o rassegnarsi addirittura a perdere il pallone a volte in maniera anche pericolosa. Bakayoko, in particolare, nelle ultime partite si è sublimato a simbolo del fallimento del calciomercato del Chelsea con una serie di errori clamorosi, culminati nella goffa espulsione contro il Watford.

Il primo gol subito contro il Bournemouth è un piccolo riassunto dei problemi attuali del Chelsea: in questo caso Bakayoko sbaglia il primo controllo, perdendo palla ingenuamente a centrocampo, il Bournemouth riparte velocemente e lancia Wilson in porta, che è scappato alle spalle di Cahill e su cui Azpilicueta è in ritardo.

Ma il centrocampo Bakayoko-Kanté ha dato problemi anche senza il pallone, sia in fase difensiva che offensiva. Quando il Chelsea difende posizionalmente basso, una cosa che la squadra di Conte fa molto più spesso quest’anno, Bakayoko ha dimostrato tutti i suoi limiti nello schermare lo spazio davanti alla difesa, concedendo ricezioni alle sue spalle su cui i centrali di difesa non riescono ad uscire con aggressività. Al tempo stesso l’ex mediano del Monaco, in transizione difensiva, non compensa con quell’incredibile qualità di Kanté nel difendere all’indietro e nel coprire enormi porzioni di campo di pura corsa. Ma anche quando il Chelsea attacca in fase posizionale, Kanté e Bakayoko non sanno attaccare l’area con movimenti senza palla, sono giocatori che in fase di possesso preferiscono correre con il pallone tra i piedi.

Per tornare a un centrocampo maggiormente di possesso, Conte ha cercato di affiancare Fabregas ai due centrocampisti francesi, pur senza rinunciare alla difesa a tre. Il Chelsea ha così perso uno dei due trequartisti che occupavano i mezzi spazi nel 3-4-3, e le due punte del nuovo 3-5-2 avrebbero dovuto spartirsi il lavoro tra chi veniva incontro tra le linee a ricevere e chi scappava alle spalle della difesa avversaria con il fine di abbassarla.

La contemporanea assenza di Morata e la totale sfiducia di Conte in Batshuayi (poi spedito al Borussia Dortmund) ha però privato il Chelsea anche dell’uomo che andasse in profondità, allargando lo spazio tra le linee. Conte, in attesa di Morata, si è affidato alla capacità magica del talento di Hazard, da cui ci si aspetta sempre qualcosa di decisivo (d’altra parte era stato proprio un suo incredibile gol a tenere in vita il Chelsea in 10 contro il Watford fino a poco meno di dieci minuti dalla fine).

La difficile transizione da Diego Costa a Morata

Anche in attacco i cambiamenti estivi, che hanno portato al ritorno di Diego Costa all’Atletico Madrid (anche questo propiziato da un grave litigio con Conte) e al contemporaneo acquisto di Morata dal Real Madrid, non sono stati facili da assorbire nell’architettura tattica del Chelsea. Anche Morata preferisce correre più con il pallone che senza e, pur avendo una grande sensibilità tecnica, manca di quel dinamismo folle che contraddistingue Diego Costa, che l’anno scorso permetteva al Chelsea di disordinare le difese avversarie in fase di attacco posizionale quasi solo con la sua presenza.

La forza di Morata in progressione, unita a quella sovrannaturale di Hazard, alle caratteristiche del nuovo centrocampo Bakayoko-Kanté e all’assenza di David Luiz, hanno reso il gioco di posizione di Conte una specie di gabbia per la sua squadra, limitando i movimenti e gli istinti anarchici dei singoli, all’interno di una serie di movimenti coordinati che in teoria dovrebbero esaltare le caratteristiche individuali dei giocatori ma che, in realtà, sembrano più adatti ad un gioco di transizioni veloci in campo lungo.

Un esempio di come i giocatori stiano deformando il gioco di posizione di Conte attraverso le proprie caratteristiche: qui Kanté prende palla dalla difesa e si lancia in progressione, utilizzando Hazard tra le linee come sponda per chiudere il triangolo e puntare la linea difensiva del Leicester.

Conte ha cercato di venire incontro alla nuova realtà della sua squadra abbassando il baricentro e rinunciando spesso al pressing alto, per invitare gli avversari nella propria metà campo e avere dello spazio da attaccare in transizione.

Anche il calciomercato di gennaio è sembrato certificare il cambio di paradigma, con la disperata ricerca di una prima punta abile nei duelli aerei (prima di Giroud, i rumor avevano dato il Chelsea vicino a Dzeko e addirittura a Peter Crouch) che potesse distribuire secondo palle nella trequarti avversaria con i lanci lunghi direttamente dalla difesa. Il Chelsea è però rimasto a metà strada (complice anche la lunga assenza di Morata per infortunio) e se non ci saranno ripensamenti tattici radicali nelle prossime settimane sarà molto difficile per Conte uscire vivo da questa esperienza, sempre che lo voglia davvero.

La dimensione di Conte

Al di là dei problemi di campo, che sono inevitabili nel ciclo biennale o triennale di una normale gestione tecnica, questi ultimi mesi al Chelsea pongono degli interrogativi più grandi sull’allenatore leccese: Conte è capace di gestire un gruppo di giocatori sul medio-lungo periodo o ha bisogno di subentrare in un contesto che viene da un passato fallimentare per far remare tutti dalla stessa parte?

Se è vero che è ormai lo stesso calcio contemporaneo a dare sempre meno tempo agli allenatori, sempre meno margine di errore, e che il Chelsea di Abramovich, con la sua fame di trofei, sembra non poter fare a meno di consumare allenatori come prodotti immediatamente deperibili (ha cambiato 8 allenatori negli ultimi 10 anni), è anche vero che sembra essere lo stesso Conte a non saper sopravvivere alla quiete, di aver bisogno di uno stato d’emergenza perenne per poter rendere al massimo. Uno stato d’emergenza che, se non è reale (come quello in cui Conte aveva raccolto inizialmente la Juventus, la Nazionale e il Chelsea), è ricreato artificialmente dall’allenatore leccese, con uno scontro che, però, il più delle volte gli si rivolge contro.

In questo caso, non solo con il goffo tentativo di attaccare Mourinho (che ha avuto l’unico effetto di riportare all’attenzione dell’opinione pubblica inglese i suoi precedenti guai giudiziari in Italia), ma soprattutto con i litigi con alcuni dei suoi giocatori più importanti, che però hanno finito per impoverire il materiale tecnico a sua disposizione.

Anche questa sua ultima esperienza in panchina, come le precedenti, sembra assomigliare alla combustione di un fiammifero, con una forte fiammata iniziale seguita da un veloce spegnimento, che lascia il legno nero e rinsecchito. Forse Conte è l’allenatore perfetto per i nostri tempi, in cui tutto sembra consumarsi ad una velocità infinitamente superiore rispetto anche a solo pochi anni fa.

Difficile dire se le cose stanno realmente così, Conte è giovane ed è alla sua prima grande esperienza fuori dall’Italia, un contesto che conosce e gestisce sicuramente meglio. Inoltre ci sono troppe cose che non sappiamo (magari era davvero impossibile non litigare con David Luiz e Diego Costa), ma ragionando solo su quello che è nel nostro spettro visibile sembra difficile, con una gestione della rosa di questo tipo, immaginarlo sulla panchina di un altro top club senza che si metta in conto un percorso breve, un viaggio che arrivi al capolinea dopo un paio d’anni appena. E considerato quanto Conte sia cresciuto negli ultimi anni e quanto possano essere entusiasmanti le sue squadre quando giocano bene, quando i giocatori si muovono coordinati dalle stesse idee e con il fuoco della motivazione ancora vivo, è senz’altro un grande peccato.

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