Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Antony e l’imprevedibilità
09 nov 2021
Un artista che indossa la maglia dell'Ajax.
(articolo)
8 min
Dark mode
(ON)

A metà del secondo tempo l’Ajax può finalmente rilassarsi, dopo aver rimesso in piedi una gara in cui era passata in svantaggio contro il Borussia Dortmund. È una delle squadre più divertenti d’Europa, e nei suoi momenti migliori riesce a trovare un equilibrio aureo tra organizzazione e improvvisazione.

C’è un cambio di gioco di Lisandro Martinez da sinistra verso destra, e verso il giocatore copertina di quella partita, quello che vincerà il premio di migliore in campo. Antony corre retrocedendo un po’, perché il lancio non è proprio sulla corsa. Quando la palla sta per arrivare, e lui deve accorciare il passo, fa qualcosa di strano, forse non immediatamente percepibile. Per stoppare la palla salta, e poi non usa una parte convenzionale del piede ma fa sfilare il destro dietro la sua gamba sinistra, come un gatto che srotola la coda, e arresta il pallone con l’interno.

Non è la giocata più eccezionale delle sua partita, né la più utile né la più complessa. Per dire, pochi minuti dopo fa uno stop più tradizionale dentro l’area di rigore, di controbalzo usando l’esterno. La palla rimane piantata al suolo, e Antony può servire a Klaassen il gol del 3-1. Con quello stop al velcro, così raffinato nella sua semplicità, Antony ha praticamente fatto un gol, ma è l’altro stop - quello quasi sulla riga laterale, che non ha portato a nulla - che ci rimarrà impresso nella memoria. La cosa che preferisco di quella giocata è il fatto che sia completamente gratuita: non nasce da un’esigenza pratica particolare, e non porta a niente. È fatta solo per il gusto di farla, e di farcela vedere. Di mostrarci qualcosa di bello in maniera disinteressata. Non è, questa, una forma di generosità che tendiamo a sottovalutare in una partita di calcio?

Associamo la generosità sempre allo spendersi per gli altri compagni di squadra, in una visione della generosità, quindi, interamente introflessa sul campo da calcio, legata alla fatica. Ma esiste anche una generosità che contempla al presenza di un altro interlocutore fuori dal campo, il pubblico. Si gioca per il pubblico o si gioca per vincere? Le cose, la maggior parte delle volte, coincidono. Antony, però, è uno dei pochi giocatori del calcio europeo, oggi, a non rinunciare in partita a un certo gusto del bello, anche quando è superfluo, o solo un dono incondizionato da dare al pubblico. Non è la generosità del lavoro ma quella dell’arte.

Eppure dire con certezza cosa è superfluo, per un giocatore come Antony, è difficile. Quello stop è stato davvero inutile?

Quando parliamo dei calciatori tralasciamo spesso di parlare della loro presenza in campo, il tipo di vibrazioni che emanano. È difficile parlarne perché è una dimensione intangibile. Ci sono però giocatori che comunicano grande ansia e frenesia: Chiesa, Zaniolo, Barella; ci sono altri giocatori che comunicano calma e rilassatezza, l’assoluto controllo delle operazioni: Busquets, Bonucci, Benzema. Ci sono altri invece che in campo sembra stiano nel mezzo di un’attività artistica. Il momento prima non sai mai cosa faranno il momento dopo, pescano dalla loro testa, dal loro corpo - o da qualunque zona intima da cui nasce la creatività umana - un pensiero geniale. Antony in campo sta continuamente inventando, e chi nella vita ha mai dipinto, suonato, o scritto sotto ispirazione, sa che il ritmo, il flow, seguire un andamento in generale, è importante per arrivare a creare qualcosa di riuscito.

Questo per dire che quello stop di tacco può non portare un vantaggio evidente o immediato, ma, oltre a darci qualcosa di bello da guardare, ha aiutato Antony a mettersi in ritmo, a sentirsi bene, ispirato, in fiducia. Nelle sue partite pare aver bisogno di questi momenti di pura espressione creativa per diventare efficace.

Contro il Borussia Dortmund ha vinto il premio di migliore in campo. La prima cosa significativa della sua partita è stata far espellere Mats Hummels. Un’espulsione controversa, troppo severa, ma in cui Antony è andato così veloce da confondere tutti. Girato di spalle, ha dato una piccola carezza leziosa al pallone con l’esterno sinistro per farla passare a lato di Wolf. Nel frattempo Hummels era entrato in scivolata per chiudere in rimessa laterale. Uno di quegli interventi enfatici che ogni tanto i difensori fanno per dare un messaggio a compagni e avversari. Antony però era in anticipo sulla palla, e l’ha tolta a Hummels spostandosela all’indietro con la suola, prima di venire falciato. Dopodiché, in totale esaltazione, ha continuato a distruggere la fascia sinistra del Borussia Dortmund. Ha servito l’assist per Tadic per il pareggio, l’assist per Haller dell’1-2, e poi pure quello a Klaassen dell’1-3. Quindi un’espulsione procurata e tre assist. Tutti serviti da destra, con l’interno a rientrare. Su quella corsia Antony, mentre si trascina la palla in avanti con piccoli tocchi nervosi, le gambe corte ed elettriche, è una minaccia costante, e sfrutta la paura dei difensori spesso per rifinire con dei palloni insidiosi che scorrono tra difensori e portiere. È una situazione certamente codificata, che l’Ajax sfrutta con i colpi di testa di Haller, ma anche con quelli, in inserimento, di Berguis o Klaassen.

Antony è nato in una favela di San Paolo, era così povero che i suoi primi scarpini li usava in prestito. Ricordi della sua infanzia: famiglie che perdono figli, mogli, mariti. Una perquisizione della polizia in casa sua in cerca di droga, che veniva venduta ovunque nel quartiere. Quella contro il Borussia Dortmund è stata la migliore partita della breve carriera di Antony, quella in cui il suo talento ha trovato una compiutezza e un’efficacia che un anno fa, quando è arrivato, qualcuno pensava non avrebbe mai raggiunto. Eppure anche lo scorso anno, presosi il posto tra i dubbi che circondano i sudamericani che dribblano troppo, aveva già segnato 10 gol stagionali. Quasi tutti portando palla con l’esterno da destra verso il centro, per poi tirare di interno sul secondo palo con un’immediatezza precipitosa. È un movimento che fa così velocemente che sembra un trucco.

È uno dei pochi gesti “banali” che lo caratterizzano in campo, un giocatore che rifugge ogni banalità. Oggi è difficile trovare qualcuno che gioca col suo stile, e cioè con la sua ispirazione, con la sua libertà mentale, con la sua capacità di improvvisare. Gli unici paragonabili sono altri brasiliani, come Rapinha del Leeds o Neymar, che infatti ha reso quello stop di cui dicevamo all’inizio una delle sue firme in campo. Non è l’unico gesto che Antony pare aver rubato dal repertorio di Neymar. C’è questo dribbling di suola, per esempio, su Hateboer, preceduto da un altro micro-tocco di suola.

C’è anche questo sombrero sopra la testa del difensore, fatto scavando la palla da terra e trasformando il piede in un cucchiaio.

Ma Antony è unico. La qualità della sua corsa, per esempio, il modo in cui si muove, è del tutto peculiare. La sua leggerezza non tende all’immaterialità di Neymar o Raphinha, ma è una leggerezza elettrica, da scoiattolo. Le sue gambe sono un fascio nervoso di muscoli, si muovono con un’elasticità formidabile. Gli occhi scuri, il naso pendente, il tatuaggio di una rondine sul collo, gli danno un’aria bruna e vagamente punk. Il modo in cui abbina la reattività muscolare e la qualità tecnica lo rende di fatto ingiocabile in spazi stretti. Non si sa mai dove può andare. Il suo uso della suola è così raffinato e vertiginoso che a volte si fa fatica a stargli dietro, a tenere traccia di quello che sta facendo.

Ma questa è la parte più appariscente del gioco di Antony, e la qualità del suo tocco palla e la fantasia con cui affronta gli uno contro uno potrebbe farci pensare che sia un dribblatore seriale. In realtà, numericamente, il volume dei suoi uno contro uno è molto limitato rispetto ai giocatori già citati, Neymar e Raphina. Antony completa 2,4 dribbling per novanta minuti. Non pochi in assoluto, ma meno di quanto forse immaginiamo, e decisamente meno rispetto ai migliori dribblatori in Europa. Fbref (dati Statsbomb, solo sulla Champions League) ne conta 1.2 ed è solo nel 24 percentile per dribbling fra le ali. Di certo conta il modo in cui i dribbling vengono contati, che è spesso intricato, ma Antony non tenta molti dribbling in isolamento. Usa soprattutto la sua abilità tattile nel primo controllo e nella protezione in spazi stretti per attirare i marcatori, eluderli, disorientarli e crearsi i presupposti per creare vantaggi alla squadra col tocco successivo. Ha grandi tempi nello scarico del pallone, nell’associarsi sulle catene di fascia. Tutte qualità esaltate dal sistema jazzistico di attacco dell’Ajax, la sua abilità nel giocare coi vuoti e i piedi del campo. Antony diventa temibile quando viene isolato sul lato debole, ma anche quando diventa il lato forte della catena e deve associarsi in spazi più stretti. Negli ultimi metri è geniale: è creativo, imprevedibile, può associarsi coi compagni anche nei cunicoli più congestionati dell’area, può tirare o servire l’ultimo passaggio in tanti modi diversi. I suoi cross, che non sono dei veri cross ma delle rifiniture alte che prendono in controtempo i difensori, somigliano alle giocate che Lorenzo Insigne fa in Serie A da anni, un giocatore a cui per certi versi Antony somiglia. Ha già servito 12 assist stagionali, 8 in Eredivisie e 4 in Champions.

È facile fare la retorica sul calcio che è diventato troppo tattico e complesso per non imbrigliare il talento individuale, la fantasia e l’estro. La verità è che può essere vero anche il discorso opposto, per cui la crescente organizzazione difensiva obbliga le squadre a trovare giocatori in grado di creare disordine, di attingere all’imprevedibile. Antony è oggi nella squadra che in Europa più di tutte ricerca, in maniera efficiente e organizzata, l’imprevedibilità. Quando la palla arriva a lui, nessuno degli occhi che gli sono posati sopra può immaginare cosa sta per succedere.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura