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Emanuele Atturo

L’apprendistato di Willy Gnonto

Racconto dei primi mesi di Gnonto in Inghilterra.

Dov’eravamo rimasti? Wilfred Gnonto convocato per la Nazionale italiana mentre giocava ancora in Svizzera. Di lui si parlava con una felicità venata dal rimpianto. Perché aveva deciso di abbandonare l’Italia così giovane, non eravamo abbastanza per lui? La sua storia, sportiva e famigliare, ne raccontava altre più grandi. La diffidenza dei giovani talenti verso i nostri club, ma anche delle leggi restrittive del nostro Paese, in cui si nasce senza cittadinanza comunitaria se i tuoi genitori vengono da fuori l’Unione Europea. Gnonto era stato convocato in Nazionale mentre era ancora alla periferia dei nostri discorsi sul calcio; al primo giro di nomi dopo la bruciante partita contro la Macedonia del Nord, la sua presenza doveva promettere futuro. A cosa somigliava questo futuro? A quest’ala brevilinea per cui il campo sembrava semplicemente troppo grande?

 

Il 4 giugno 5 minuti dopo il suo ingresso in campo, alla sua terza palla toccata, Wilfred Gnonto punta Timo Kehrer. Si capisce che vuole andare verso il fondo, il tedesco muove il corpo di conseguenza, ma la velocità di Gnonto è leggermente imprevista. La rapidità con cui si sposta la palla sul destro e mette una palla tesa dentro su cui Pellegrini segna il gol del vantaggio. È il primo gol dell’Italia in una partita ufficiale dopo la la catastrofe contro la Macedonia del Nord. «L’Italia rialza la testa» scrive il sito della FIGC. Il gol lo avevamo segnato grazie a questo giocatore che non somiglia a nessun altro: un’ala rapidissima, che ha come primo pensiero quello di saltare l’uomo. Un’ala con tecnica, frequenza di passo, intraprendenza. Il tipo di giocatore che di solito noi affrontiamo, non ce lo troviamo dalla nostra parte.

 

Gnonto sembrava un alieno, com’era possibile che un calciatore così fosse nato in Italia? Non solo giocava come un alieno, ma parlava come uno di loro: «Sapevo che Kehrer era già ammonito. Sono andato subito sull’uno contro uno, poi il cross è la palla più difficile ed è andata bene. Bisogna prendere dei rischi, l’attaccante deve fare la differenza e ci sono riuscito». Prendersi dei rischi? Sa che rappresenta la scuola calcistica che i rischi cerca di eliminarli? Dice che il suo idolo è Sterling, che in Italia conosciamo per i gol sbagliati e il tatuaggio del fucile sulla gamba. «Il mio modello è Sterling, un giocatore di livello mondiale. È duttile e sempre determinante. Come cerco di esserlo pure io, posso giocare in tutte le posizioni in attacco, a seconda di quello che serve al mister». Ha trovato sempre più spazio, ha segnato il suo primo gol in Nazionale contro la Germania, è diventato una certezza. Di lui pensavamo che fosse un calciatore di sistema, un’ala brava a puntare l’uomo che sarebbe stata utile a livello tattico. Pensavamo al suo talento come a qualcosa di limitato. Poi Gnonto ci ha stupito ancora.

 

Due mesi questo assist dopo Gnonto si trasferisce in Inghilterra. Mancini si è detto stupito che nessuno in Italia abbia puntato su di lui, in fondo è costato poco più di 3 milioni. Si parla di lui come di uno dei giovani più interessanti del campionato più competitivo. Nella canzone che gli avevano dedicato in Svizzera il suo nome faceva rima con “Espresso doppio”; in Inghilterra invece mangia spaghetti e beve Moretti. Nelle interviste è perfettamente sorridente e rilassato. Non sembra un ragazzo di 19 anni alle prese con le prime autentiche pressioni mediatiche. La sua famiglia del resto non è preoccupata: «Gli stiamo dietro. Sono sereno e tranquillo, pensiamo di avergli dato l’educazione giusta» ha detto il padre, in uno slancio di normalità. Il suo inglese è migliore di quello della maggior parte dei nostri politici. Nella sua prima intervista si descrive con semplicità: «Sono veloce, mi piace correre con la palla, andare uno contro uno, fare qualcosa». È la descrizione di quello che dovrebbe fare un’ala, ma per noi suona comunque controculturale. “Creare qualcosa” è quello di cui abbiamo bisogno, nel nostro calcio prudente. Non avevamo ancora capito del tutto di cosa era capace Gnonto.

 


Sei mesi dopo il suo esordio in Nazionale sta giocando in FA Cup contro il Cardiff. Rodrigo dribbla all’indietro indolente, siamo sullo zero a zero e non si vede niente all’orizzonte. Tutti sembrano assorbiti in questo momento di nulla, mentre Gnonto è il più affilato di tutti. Si muove dietro al difensore del Cardiff e Rodrigo lo cerca con una palla morbida. Gnonto è piccolo ma furbo: usa le mani per prendere distanza dal difensore, mentre alza gli occhi al cielo per capire la fisica di quella parabola. È chiaro: non è una palla facile da calciare. Gnonto prende il tempo, abbassa un tantino lo sguardo e stacca entrambi i piedi da terra. È una palla da calciare teoricamente col sinistro, ma Gnonto la calcia con l’esterno destro, dandosi uno slancio a forbice per avere più interzia. La palla finisce in porta. “OH MY GOODNESS” strilla il telecronista mentre i calciatori del Leeds corrono per il prato increduli e festanti. I cultori della Premier League riconoscono subito l’albero genealogico di quel gol: è Paolo Di Canio contro il Wimbledon, l’indice che dice no verso i tifosi, la testa scossa, “Can you believe that?!”. Giorni dopo Di Canio filma un messaggio per Gnonto, che si porta una mano alla testa mentre un sorriso imbarazzato gli invade il viso. Quanto deve amare il calcio un ragazzo che si emoziona così per un messaggio di Di Canio? «Vengo da Baveno, non mi sarei mai aspettato di ricevere complimenti da giocatori del genere».

 


Sette mesi dopo il suo esordio in Nazionale Willy Gnonto gioca la sua prima partita a Old Trafford contro il Manchester United. È la prima azione della partita, ma è già elettrico. Bamford gli viene incontro, Gnonto gliela tocca con l’esterno e gli corre addosso, come per ricevere una sponda dal muro. Le maglie dello United gli si sono addensate contro, ma Gnonto gli è passato in mezzo con perizia ed eleganza. Quando la palla gli ritorna vede uno spazio, primo tocco d’interno destro, secondo tocco d’interno sinistro, tiro secco sul primo palo. Sono passati solo 55 secondi e Old Trafford è già in silenzio perché ha segnato Willy Gnonto. Quando l’abbiamo vista un’ala in Italia che gioca così, che si associa con gli altri, rapida, veloce, fredda nelle scelte, perfetta per attaccare difese aperte o schierate. Noi così diffidenti verso il dribbling, dove ha imparato Gnonto? Eppure la sua storia è così italiana: cresciuto nell’oratorio della parrocchia dove il padre lavorava da custode. Un’Italia del Novecento, dove il lavoro dei parroci sostituisce quello dello Stato.

 


Nove mesi dopo il suo esordio in Nazionale Gnonto torna a vestire la maglia dell’Italia. Dentro una squadra irrigidita dai compromessi, senza grandi entusiasmi, lui rappresenta una delle poche cose che ci parlano davvero di futuro. In Inghilterra si è fatto spazio, anche dentro una stagione complicata del Leeds. Il suo stile di gioco si adattava bene al calcio intenso e verticale di Jesse Marsch mentre ora deve ripensarsi dentro al sistema di un altro allenatore. Non parte sempre titolare, ma quando lo fa spesso incide. Ha servito due assist nelle ultime due partite. Contro il Wolverhampton ha stappato una partita difficile. Isolato sulla sinistra ha ricordato ai suoi avversari che conviene raddoppiarlo. Con solo un uomo davanti, il pur veloce Semedo, ha portato avanti palla fino a ricavarsi lo spazio per il cross. Ha messo una palla intelligente, arretrata. Il tipo di assist che Gnonto fa sembrare ordinari, ma che nel nostro calcio nessuno è capace di fare.

 


Nove mesi dopo il suo esordio in Nazionale Gnonto torna a vestire la maglia dell’Italia. Dice che Mancini ancora lo “intimorisce”, che non ha rimpianti, che vive tutto con orgoglio e desiderio di migliorarsi. Non è Cassano, non è Baggio, non è Totti o Del Piero: non è quel tipo di talento. Il modo in cui tocca la palla, punta l’uomo, si prende dei rischi, cerca di far succedere qualcosa, è un dono per il nostro calcio. Quando prende il pallone, defilato sulla sinistra, sappiamo che può nascere qualcosa dai piedi di Gnonto, ed è una bella sensazione.

 

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Emanuele Atturo è nato a Roma (1988). Laureato in Semiotica, è caporedattore de l'Ultimo Uomo. Ha scritto "Roger Federer è esistito davvero" (66thand2nd, 2021) e "Visionari, la percezione alterata degli sportivi" (Einaudi, 2024).