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L'Arabia Saudita si vuole prendere gli esports
28 ott 2022
Il regime di Riyad vuole diventare il nuovo centro del gaming mondiale.
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15 min
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FAYEZ NURELDINE/AFP via Getty Images
(copertina) FAYEZ NURELDINE/AFP via Getty Images
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Il 19 ottobre 2022 il portale Dezeen ha pubblicato un video in cui mostra, tramite le immagini di un drone catturate dalla società saudita Ot Sky, l’inizio dei lavori per The Line: 170 chilometri di scavi nel deserto del Nefud in Arabia Saudita dove sarà costruita una nuova città. Un progetto futuristico, frutto dell’immaginario del principe saudita Bin Salman, che mira alla creazione di una metropoli energeticamente autosufficiente grazie a due enormi lastre di specchi che correranno lungo la chilometrica e rettilinea lunghezza (da qui il nome The Line, “La Linea”) della città per fornire tramite pannelli fotovoltaici e i semplici raggi solari tutta l’energia necessaria per far funzionare ogni attività interna: treni ad alta velocità, negozi, un microclima autonomo, il tutto gestito da un’intelligenza artificiale. Di fatto, sulla carta, è la città del futuro, come ha sottolineato lo stesso Bin Salman in occasione della presentazione di The Line nel 2017: «Il nostro progetto sfiderà le tradizionali città a cui siamo abituati oggi e creerà un modello per la conservazione della natura, dell’ambiente e consentirà agli esseri umani di sperimentare una migliore vivibilità».

The Line ospiterà 9 milioni di persone e costerà, secondo le stime, circa 200 miliardi di dollari. Non sarà però l’unica nuova città: fa infatti parte di un progetto più grande, chiamato Neom, una vera e propria nuova regione ad alto tasso tecnologico che mira a diventare il centro nevralgico di un nuovo modo di vivere con taxi volanti e lune artificiali, ma non solo. Oltre a The Line sorgeranno anche Trojena, una località montana, e Oxagon, la struttura galleggiante più grande al mondo. Definita come una città stato della dimensione del Belgio che toccherà anche le coste del Mar Rosso, il nome Neom deriva dall’unione di due termini: la parola greca “neo” che sta per “nuovo” e quella araba “m”, abbreviazione di “mustaqbal” che significa “futuro”. Un futuro che nella sua totalità costerebbe 500 miliardi di dollari. Cifre astronomiche, che l'Arabia Saudita si può permettere grazie ai proventi dell’estrazione del petrolio, e che rendono quasi irrilevanti il volume di investimenti che l’Arabia Saudita ha intenzione di utilizzare nell'oggetto di questo pezzo, e cioè gli esports. Se lo rapportiamo agli investimenti globali, però, le cifre che vuole mettere sul piatto Riyad sono tutt'altro che irrilevanti.

Il piano

Secondo quanto riportato da Bloomberg, infatti, il paese arabo ha preparato un piano di investimenti per trasformare il regno in un vero e proprio hub per il gaming competitivo entro il 2030 come “parte del progetto di diversificare l’economia del più importante esportatore di petrolio al mondo”. La cifra di 142 miliardi di riyal, cioè circa 38 miliardi di dollari, è gestita dalla Savvy Games Group, società controllata dal fondo sovrano saudita. In particolare, 50 miliardi saranno utilizzati per acquisire e sviluppare publisher di videogiochi, mentre altri 70 per ottenere quote di minoranza in diverse aziende globali legate al gaming, come già accaduto tramite il Fondo di Investimento Pubblico che gode oggi di azioni in Activision Blizzard, Electronic Arts e Nintendo, alcune delle più importanti aziende videoludiche al mondo. Un primo grande passo nella direzione voluta da Bin Salman è stato compiuto a fine gennaio 2022 quando il Savvy Group ha condotto una doppia operazione, acquisendo per un miliardo di dollari sia ESL, il più grande tournament organizer al mondo di eventi esports, che Faceit, piattaforma torneistica utilizzata dai gamer a livello globale per sfidarsi sui vari titoli videoludici, una sorta di primo approccio al professionismo nel gaming. L'Arabia Saudita ha deciso di unire le due società sotto l’unico nome di ESL Faceit Group, come riportato da Kotaku.

Il piano saudita prevede di creare da zero un settore, puntando anche sul proprio territorio: entro il 2030 l’obiettivo è investire internamente nel settore del gaming al fine di creare 39mila posti di lavoro, sia sviluppando videogiochi, con gli studi sauditi che hanno ricevuto l’indicazione di realizzare più di 30 nuovi titoli videoludici nei prossimi otto anni, sia diventando un punto di riferimento per l’esports e gli eventi competitivi. La capitale Riyad è già stata annunciata come la città che ospiterà l’edizione 2023 dei Global Esports Games, mentre quest’anno ha già fatto parte dell’iniziativa Global Esports Tour. A giugno la stessa città è stata teatro di uno dei primi e più grandi eventi esports nella storia del paese con il Gamers8, una manifestazione di otto settimane che ha coinvolto i migliori team e giocatori a livello globale su Rocket League, Dota 2, Fortnite, Rainbow Six Siege e PUBG Mobile e un montepremi totale di 15 milioni di dollari.

La strategia di investimenti promossa dalla corona saudita nello sport e nell’intrattenimento risale al 2016 quando lo stesso Bin Salman chiese all’autorità generale dello sport del proprio regno di istituire un fondo che potesse promuovere attività sportive nel paese, al fine di diversificare la propria economia e renderla meno dipendente dal petrolio. Da quel momento l’Arabia Saudita è diventata un hub per gli eventi sportivi: dall’accordo decennale da 650 milioni di dollari con la Formula 1 alla partnership di lungo periodo con la WWE, fino alla decisione di appoggiarsi alla società di consulenza Boston Consulting Group per iniziare a sondare il terreno in merito alla possibilità di ospitare in un futuro non troppo lontano la Coppa del Mondo di calcio. Interesse che ha portato nel 2021 un gruppo societario guidato dal fondo sovrano saudita ad acquistare il Newcastle, club di Premier League, garantendo all’Arabia Saudita la possibilità di iniziare a esercitare una certa influenza nel calcio inglese.

Secondo il portale Arabnews, l’Arabia Saudita punta ad avere 250 aziende legate al gaming con l'obiettivo di far contribuire il settore al Prodotto Interno Lordo del paese per 13 miliardi di dollari entro il fatidico 2030. D’altronde le stime di Arabnews riportano la presenza di 23,5 milioni di gamer nel Paese, di cui il 42%-46% circa sono donne. Nell’intero Medio Oriente e Nord Africa, ovvero la regione comunemente definita MENA (Middle-East North Africa) il gaming è cresciuto enormemente in popolarità, Arabia Saudita compresa: secondo i dati del Boston Consulting Group riportati dal Guardian la spesa legata al mondo del gaming raggiungerà nel regno saudita il volume di 6,9 miliardi di dollari entro il 2030. L’esports d'altra parte è ormai un fenomeno globale che spinge i vari paesi e le istituzioni a puntarci, riconoscendone sia l’importanza mediatica che le potenzialità come settore economico all’interno del mercato più grande ed eterogeneo del digital.

Nel 2023 ad Hangzhou, in Cina, si terranno i Giochi Asiatici, inizialmente previsti per il 2022 e per la prima volta gli esports saranno una disciplina inserita nel medagliere alla pari delle attività sportive tradizionali. È la naturale evoluzione di quanto già accaduto alle ultime due edizioni dei Giochi del Sud-Est Asiatico in cui gli esports erano già disciplina sportiva in un evento ufficialmente riconosciuto dal Comitato Olimpico Internazionale e dal Comitato Olimpico Asiatico. Nel 2018, invece, agli Asian Games, Pro Evolution Soccer e altri cinque videogiochi furono inseriti come disciplina dimostrativa, a dimostrazione di un percorso non improvvisato ma nato diversi anni fa e che nei prossimi vedrà la luce anche a livello sportivo. La stessa Riyad ospiterà i Giochi Asiatici nel 2034, contando di diventare per quel momento un punto di riferimento per gli esports. Nel 2030 toccherà a un’altra vicina potenza economica, Doha in Qatar, a dimostrazione di quanto l’intera area stia investendo nel diventare protagonista su più livelli.

Il terzo polo

L’Arabia Saudita, per voce e volto del principe ereditario Bin Salman, sta di fatto progettando a tavolino come ritagliarsi un posto nel futuro nel settore digitale mondiale al fine di diversificare la propria economia e staccarsi gradualmente da quella che per anni è stata la principale fonte di guadagno, il petrolio. Gli esports, in questo senso, rappresentano una grande opportunità di entrare in un settore ancora giovane, in piena espansione, in cui c’è ancora abbastanza spazio per chiunque per ritagliarsi un ruolo da protagonista. Al tempo stesso però è un settore che ha già un significativo peso economico a livello globale: l’industria del gaming in generale nel 2021 ha superato i 214 miliardi di dollari di ricavi, una cifra che secondo le stime continuerà a salire per una proiezione, secondo quanto stimato dal World Economic Forum, verso i 321 miliardi entro il 2026. Il settore degli esports è al momento una nicchia ma in continua crescita e nel 2022 ha superato il miliardo di ricavi, di cui più del 60% arriva dalle sole sponsorizzazioni.

Al di là del fattore economico, l’Arabia Saudita punta a diventare una sorta di terzo polo industriale del mondo gaming per frapporsi tra le grandi nazioni asiatiche e quelle occidentali già affermate nel mercato del videogioco. Come ha sottolineato Casper Harteveld, professore associato di game design alla Northeastern University di Boston, Massachusetts: «C’è già un piccolo mercato relativo allo sviluppo dei videogiochi e al gaming professionistico in Medio Oriente» ha raccontato sul sito dell’università «Ma nulla di particolarmente significativo. L’ingresso dell’Arabia Saudita potrebbe pertanto rappresentare un’opportunità per l’intera regione per avere una propria voce nell’industria globale».

Celia Pearce, professoressa di game design e collega di Harteveld, pone però un dubbio sulla libertà che i game developer avranno in Arabia Saudita in termini di creatività: non è comune nel mondo del gaming che uno stato, attraverso un fondo sovrano, intervenga direttamente per costruire il proprio settore. «Racconteranno le loro storie in maniera originale o saranno forzati nel promuovere i valori culturali della corona saudita e del suo principe?»: la domanda è più che lecita. Solitamente i governi utilizzano incentivi e sgravi fiscali per attrarre le aziende, come successo a Montreal dagli inizi degli anni 2000 che nel tempo è diventata la Hollywood dei videogiochi: un nome su tutti, per citarne uno, è quello di Ubisoft che ha la propria sede centrale di sviluppo proprio nella città canadese. Il problema, per l’Arabia Saudita, è che l’obiettivo richiede molte più infrastrutture e molta più formazione sullo sviluppo dei videogiochi di quanta ne esista attualmente nel paese. Lo dice ancora Harteveld: «Un’infrastruttura così ambiziosa richiede un grande numero di talenti, di linee internet dedicate e potenti: la seconda è un problema che può essere facilmente risolto, il primo è più complesso, bisogna creare le condizioni per attirare i migliori del settore».

Una foto dalla conferenza sugli esports "Next World" tenutasi a settembre a Riyad (foto di FAYEZ NURELDINE/AFP via Getty Images)

I dubbi legati ai diritti umani

Al di là della potenza economica che renderà plausibilmente fattibile il raggiungimento degli obiettivi prefissati, se in tempo o meno è da vedere, altri grandi dubbi permangono per il rapporto dell’Arabia Saudita con il rispetto dei diritti civili. I diritti delle donne quasi assenti, il coinvolgimento nella guerra in Yemen, il fumoso assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, secondo la CIA ordinato dallo stesso principe ereditario nonché Primo Ministro Bin Salman, sono solo le più note controversie legate al regime saudita di diritti umani. Ed è per questo che dopo gli sport tradizionali anche per gli esport è stato coniato il termine gamewashing.

Ma in realtà il rapporto tra l'Arabia Saudita e gli esports è problematico ancora prima di arrivare a parlare di gamewashing. Più volte, infatti, il principe saudita ha già incontrato l’opposizione forte dell’opinione pubblica del mondo del gaming e dell’esports. È successo ad esempio nel luglio 2020 quando l’LEC, la lega europea di League of Legends, ritirò la sponsorizzazione ottenuta da Neom nemmeno 24 ore dopo averla annunciata. Una decisione che Riot Games fu costretta a prendere dopo che tifosi, diversi giocatori, gli stessi caster del campionato minacciarono di boicottare il proseguimento della competizione se la lega non avesse fatto marcia indietro, sottolineando come le leggi anti LGBTQ+ (l’omosessualità è un reato punibile con la morte), la mancanza della tutela dei diritti delle donne e dei basilari diritti umani andasse contro i valori della community degli appassionati di videogiochi.

Se ciò non bastasse la costruzione di Neom, secondo un reportage del Guardian del 2020, sarebbe inoltre fondata sul “sangue degli Huwaitat”, una tribù che occupa, o sarebbe meglio dire occupava, la regione designata dalla corona saudita per la costruzione di Neom. «Per la tribù Huwaitat, Neom è costruita sul nostro sangue, sulle nostre ossa», ha detto al Guardian Alia Hayel Aboutiyah al-Huwaiti, portavoce e membro della tribù che vive a Londra: «Neom non è per le persone che abitano quella regione, è per i turisti, per le persone ricche». Si stima che almeno 20mila persone e membri della tribù siano stati costretti con la forza a lasciare la regione e le proprie terre, senza alcuna informazione su dove andare a vivere. A inizio ottobre è arrivata la notizia che tre membri di questa tribù che avevano provato ad opporsi a questi sfratti forzati sono stati condannati a morte.

L’Arabia Saudita, in realtà, non è stata l’unica ad avere finora un rapporto complesso con il gaming. Altri stati del Golfo hanno ricevuto contestazioni quando hanno provato a ritagliarsi un posto nell’ecosistema esports: a febbraio 2022 Ubisoft è stata costretta a spostare uno dei tre major della stagione di Rainbow Six Siege che si sarebbe dovuto disputare negli Emirati Arabi Uniti, dopo che 13mila persone della community tra giocatori, spettatori, semplici appassionati, commentatori, hanno firmato una petizione che definiva la decisione di disputare il torneo nel paese arabo un insulto alla nostra identità”.

Nel frattempo l’Arabia Saudita si è dotata di una propria Federazione, chiamata Saudi Arabian Federation for Electronic and Intellectual Sports, SAFEIS, di fatto incaricata di regolamentare le competizioni saudite e di sviluppare i propri talenti, promuovendo il gaming in tutte le sue forme, come sport e come intrattenimento, nel paese. Nata nel 2017, vede come presidente il principe Faisal bin Bandar Al Saud, reale saudita della famiglia dei Saud e figlio dell’ex-ambasciatore dell’Arabia Saudita negli Stati Uniti. L’intero board della Federazione è composto da membri della famiglia reale, desiderosa a mostrarsi attenta nei confronti del settore. Se ciò non bastasse c'è anche il fatto che il principe Faisal bin Bandar Al Saud è anche vicepresidente della Global Esports Federation, organismo internazionale che vanta più di 125 partner nel mondo e 100 membri tra brand, publisher e sviluppatori nel mondo del gaming.

E le donne?

Del consiglio della federazione fa poi parte anche la principessa Sara Bint Faisal Al Saud, sempre della famiglia reale saudita. Potrebbe apparire una sorpresa vedere una donna in un paese che al sesso femminile impone innumerevoli restrizioni: solo dal 2018 le donne sono potute tornare al cinema insieme agli uomini, mentre grazie al movimento Women to Drive a settembre 2017, appena un anno prima, il re Salman aveva emanato un decreto che ha permesso alle donne di guidare, pur con il consenso del proprio tutore. A gennaio 2019, in occasione della Supercoppa Italiana di calcio, le donne hanno avuto il permesso di accedere per la prima volta allo stadio, con alcune di loro persino a volto scoperto, mentre qualche mese dopo a Gedda per la prima volta le donne hanno partecipato a una maratona insieme agli uomini. In generale negli ultimi anni il governo saudita ha annunciato diversi cambiamenti nei rapporti con le donne e sui diritti delle stesse, abrogando alcune disposizioni sulla segregazione dei sessi nei luoghi pubblici o persino nei ristoranti. Lo stesso hanno intenzione di fare negli esports.

D'altra parte, come già detto, le donne rappresentano tra il 42%-46% della community gamer del Paese. E, se non si parlasse proprio dell'Arabia Saudita, non stupirebbe che il Paese avrebbe intenzione di realizzare uno “spazio sicuro”, come lo ha definito Ghada Al-Moqbel, ceo di Gcon, una community dedicata alle donne con un interesse per i videogame in occasione del The Next World Forum tenutosi in estate a Riyadh. «Il nostro obiettivo è aumentare la consapevolezza del settore e creare spazi sicuri e di supporto in cui le donne possano sviluppare competenze e gareggiare alla pari degli uomini». Haya Al-Qadi, responsabile marketing dell’organizzazione esports Galaxy Racer, tra le più importanti del paese e del Medio Oriente, ha sottolineato come «le giocatrici sono state spesso costrette a nascondere o anonimizzare la propria identità e il proprio genere a causa della minaccia di abusi online e di altri pericoli che potrebbero incontrare in un campo di gioco online dominato dagli uomini». La stessa Haya ha iniziato il suo percorso nell’esports nel 2007 come giocatrice di Call of Duty all’interno di un team composto da soli uomini.

Nonostante i miglioramenti, alcune cose non sembrano essere cambiate, però: «Nella regione MENA, e in realtà anche in Nord America, le gamer sono ancora un tabù» ha confessato Al-Qadi ad Arab News «Abbiamo promosso diverse discussioni su come coinvolgere le donne nel gaming, proponendo tornei solo femminili che possano aiutare la scena a svilupparsi e accelerare». Creare degli spazi sicuri assicurerebbe pertanto alle donne gamer, non solo saudite ma di tutto il mondo, di giocare e competere protette dalle molestie e dagli abusi, promuovendo un ambiente che le faccia sentire motivate e incoraggiate a intraprendere una carriera nell’esports e nel gaming.

Fa strano pensare che questi discorsi siano fatti in un Paese che reprime le donne come l'Arabia Saudita. Ma questo, per assurdo, dimostra ancora di più quanto il governo di Riyad sia interessato al settore del gaming, se per investirci è così disposto a costruirsi un'immagine diversa dalla realtà con una comunicazione accomodante e la propaganda.

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