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Gli incubi dell'Argentina, i sogni della Croazia
22 giu 2018
22 giu 2018
La Croazia ha annullato un'Argentina in totale confusione tattica.
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In una competizione breve come un Mondiale, è inevitabile che le squadre presentino difetti, più o meno evidenti, in diversi ambiti del gioco. C’è poco tempo per prepararsi, in generale, e ancor meno per inculcare principi e strumenti di gioco più sofisticati ai giocatori, che necessitano di ripetizioni costanti, giornaliere: il tempo delle Nazionali ormai non esiste quasi più.

In risposta a chi gli chiedeva il segreto della Costa Rica al Mondiale 2014, l’allenatore Jorge Luis Pinto rispose in maniera semplice ma molto precisa: «Ho visto otto Mondiali e ogni volta c’erano molte Nazionali disordinate, senza alcuna preparazione e struttura. Così al mio gruppo di giocatori ho sempre detto che, se avessimo costruito una breve struttura tattica e ci fossimo preparati bene - non a livello fisico, ma con il pallone, per costruire associazioni tra i giocatori - avremmo potuto fare un buon torneo».

La chiave della partita tra Argentina e Croazia, le due favorite del gruppo D, sta sostanzialmente tutta in queste parole: basta poco per giocare un buon Mondiale, ma quel poco non è affatto facile da raggiungere.

I cambi in corsa di Sampaoli

Si affrontavano due squadre con stati d’animo molto diversi: da un lato la pesantezza e le pressioni argentine dopo il pareggio con l’Islanda, confermate dallo sguardo cupo di Messi negli ultimi giorni; dall’altro, la tranquillità croata dopo la vittoria contro la Nigeria, raggiunta con il minimo sforzo e senza aver dimostrato granché (tranquillità turbata, ma neanche troppo, solo dall’addio di Kalinic). In ogni caso, sembrava la classica partita in cui entrambe le squadre hanno un approccio molto prudente, e in cui la riduzione dell’errore al minimo diventa uno degli obiettivi principali.

Le formazioni iniziali indicavano perfettamente gli atteggiamenti delle due squadre. L’Argentina ha cambiato il suo modulo di riferimento per tornare a una linea difensiva a tre, da sempre preferita da Sampaoli, e che era stata utilizzata sin dall’inizio della sua avventura alla guida dell’Albiceleste, per poi essere abbandonata a novembre 2017 dopo una disastrosa sconfitta contro la Nigeria. I motivi erano anche abbastanza semplici: Sampaoli non disponeva di laterali in grado di coprire tutta la fascia.

Contro la Croazia, il tecnico argentino ha deciso di puntare in modo forte sui suoi convincimenti (facendo fuori tre titolari come Biglia, Di Maria e Rojo): con il senno di poi, si direbbe per follia, ma sarebbe ingiusto adesso, ed è necessario concentrarsi un po’ di più sulle motivazioni alla base di questo cambio che sui risultati ottenuti.

La scelta di Sampaoli sembrava utile sia per risolvere alcuni problemi visti contro l’Islanda, sia per adattarsi ad alcune qualità specifiche della Croazia. La difesa a tre, infatti, avrebbe potuto permettere una risalita del pallone molto più agevole, grazie anche al supporto di Mascherano vertice alto del rombo di costruzione, evitando così a Messi di abbassarsi continuamente nella propria metà campo per creare gioco. Inoltre, con i ripiegamenti dei due esterni Salvio (a destra) e Acuña (a sinistra), l’Argentina avrebbe potuto evitare le pericolosissime transizioni offensive croate. Il centrocampo formato da Mascherano ed Enzo Perez puntava a contrastare con la grinta il dominio tecnico croato, mentre davanti Messi e Meza avrebbero dovuto occupare i mezzi spazi, facendosi aiutare dai movimenti dell’unica punta, Aguero. La formazione dell’Argentina non presentava alcun giocatore abile a gestire il pallone, nessun vero passatore, ad eccezione di Messi. Il probabile piano di Sampaoli prevedeva quindi l’aggressione del possesso avversario, stando ben attenti a non subire transizioni.

La risposta della Croazia seguiva la corrente della prudenza, con un solo ma decisivo cambio rispetto alla prima partita: Brozovic al posto della punta Kramaric, con un vero e proprio 4-3-3, con il triangolo di centrocampo sempre pronto a ruotare per trasformarsi in 4-2-3-1 o 4-5-1 in fase difensiva. Il piano di Dalic prevedeva una squadra molto verticale, per raggiungere la punta Mandzukic o innescare le transizioni di Perisic e Rebic, ma soprattutto cercava il dominio del pallone a centrocampo, con Modric-Rakitic-Brozovic a sovrastare il doble pivote argentino e impedire i rifornimenti a Messi.

La vera questione tattica dei croati riguardava l’atteggiamento: come si difende meglio contro l’Argentina, con un’aggressione alta sull’inizio azione, o con una squadra molto raccolta, in un blocco basso difensivo, e pronta poi a ripartire in transizione rapida?

La Croazia ha la meglio senza fare troppo

La risposta di Dalic è stata articolata: è vero che nel complesso dei 90 minuti la Croazia ha difeso con un blocco difensivo dalle linee molto strette (il baricentro medio finale è molto basso: 46.5 metri), ma è altrettanto vero che ad aver mandato in tilt l’Argentina è stato il pressing alto.

I croati sull’inizio azione argentino si disponevano con un sistema di pressione misto: all’interno della loro rispettiva zona, l’orientamento era sull’uomo. E così, con la linea difensiva che saliva fino a centrocampo, gli accoppiamenti erano chiari: Mandzukic si occupava di attaccare Otamendi, o di schermarne la ricezione; Modric copriva la ricezione di Mascherano, mentre Rakitic quella di Enzo Perez; i due esterni si posizionavano tra i difensori laterali e i due esterni argentini, e aggredivano al momento in cui veniva eseguito un passaggio laterale.

Nel frattempo, Messi era preso in consegna dalla coppia bad cop-good cop, cioè Vida e Brozovic: il secondo ne schermava la ricezione, il primo era pronto ad uscire in aggressione nel caso improbabile i suoi compagni riuscissero a servirlo. Nel secondo tempo, con i cambi di Sampaoli e il rimescolamento argentino, le accoppiate sono cambiate: e così l’abbassamento di Messi è stato coperto da Brozovic, mentre Vida e Lovren si occupavano di Higuain.

Brozovic ha coperto tutto il centrocampo, persino più di Modric e Rakitic.

Così facendo, Dalic ha bloccato l’inizio azione argentino, trasformandolo in una sofferenza continua, in particolare per Caballero e Tagliafico (che veniva lasciato più libero): rispettivamente primo e terzo per numero di palle perse (22 e 17). In un numero incredibilmente alto di situazioni la Croazia ha rischiato di recuperare palla addirittura dentro l’area avversaria, e non è quindi un caso che il gol che ha cambiato l’inerzia sia uscito fuori proprio da una situazione del genere: seppur con una pressione meno strutturata, sul retropassaggio di Mercado Mandzukic copre perfettamente Otamendi, mentre Rebic attacca Caballero, che commette un errore quasi incredibile per un portiere del suo livello, a cui però segue l’ottima girata al volo dell’esterno croato.

Grazie a questo sistema di pressione alta, la Croazia ha ottenuto un altro obiettivo fondamentale: isolare gli attaccanti argentini. Quando la palla finiva in fascia, i due esterni Salvio e Acuña erano immediatamente aggrediti da due o a volte anche tre avversari: i croati infatti erano bravissimi a scivolare sugli esterni, anche perché la loro pressione costringeva sempre un centrocampista argentino ad abbassarsi (quasi sempre Mascherano), spaccando sostanzialmente la squadra in due.

La pass-matrix dimostra una copertura spaziale del campo quasi perfetta, oltre alla tendenza degli esterni ad accentrarsi per occupare gli spazi di mezzo: c’è però anche la dimostrazione plastica della scarsa connessione dei tre giocatori offensivi con il resto della squadra.

Come tagliare fuori la variabile “Messi”

Nell’isolare Messi, un grande lavoro è toccato anche ai tre centrocampisti, perfetti nell’alternarsi i compiti, con una fluidità che forse nessun centrocampo in questi Mondiali aveva finora mostrato. Nell’inizio azione, Modric e Rakitic avanzavano per schermare il doble pivote avversario; nella propria metà campo, coprivano i corridoi di mezzo, stando ben attenti a coprire gli spazi ai lati di Brozovic; c’è sempre uno di loro tre pronto a schermare Messi, in qualunque azione, e grazie anche all’ottima copertura del campo.

Tutti e tre si sono alternati nel supportare l’inizio azione, con Rakitic sempre pronto ad accompagnare l’eventuale transizione offensiva, così come Modric, che ha concluso una grandissima prestazione difensiva (5 palloni recuperati, 3 intercettati) con uno splendido tiro da fuori area (guadagnandosi quasi da fermo uno spazio per calciare a lato di Otamendi), quello che ha sostanzialmente chiuso la partita. Il centrocampista del Real ha dimostrato, per l’ennesima volta, la sua capacità di interpretare qualunque registro richiesto dalla partita, senza perdere neppure un barlume di lucidità.

Molte partite si vincono a centrocampo, e in questo caso la Croazia aveva una superiorità schiacciante su tutti i livelli (tecnico, tattico, psicologico).

Modric è un fenomeno e sa giocare in ogni modo, ma questa è l’immagine di una squadra con problemi ad attivarne le qualità di gioco: costretto a ritagliarsi uno spazio sulla destra, poco servito dai compagni.

Nella squadra di Dalic, però, non funziona tutto alla perfezione. Il CT croato continua a proporre una squadra sostanzialmente in grado di gestire un solo registro, quello reattivo.

L’Argentina era forse la squadra perfetta per questo tipo di atteggiamento, ma con la palla i croati continuano ad avere un’unica opzione, il gioco verticale, con l’attacco alle seconde palle e l’innesco delle transizioni offensive. Davvero poco per una squadra che può schierare un centrocampo tra i più tecnici del Mondiale, e in cui la punta centrale è talmente isolata da toccare meno palloni persino del portiere.

Insomma, Dalic conosce molto bene la lezione di Pinto (l’allenatore che portò la Costa Rica ad un passo dalla semifinale nel 2014), e questa Croazia può fare molta strada in un Mondiale che presenta, appunto, molte squadre disordinate, persino tra le favorite: ma cosa succederà quando i croati si troveranno davanti una squadra con gli stessi loro principi?

Agli Europei di due anni fa è già accaduto: agli ottavi il Portogallo lasciò il dominio del possesso ai croati, che conclusero i 120 minuti senza effettuare neppure un tiro nello specchio della porta. Basta poco per arrivare lontano in un Mondiale, ma forse per vincerlo potrebbe servire qualcosa in più.

Disastro argentino

In ogni caso, la struttura tattica croata rimane decisamente più organizzata di quella argentina. La Nazionale di Sampaoli è arrivata al Mondiale con molta confusione, e invece di dissiparla lentamente sta addirittura aumentando: non è ben chiaro cosa debbano fare i giocatori in nessuna delle 4 fasi.

Contro la Croazia non si è capito quale fosse il piano gara: nella successiva conferenza stampa, Sampaoli ha detto che voleva generare pressione sugli avversari, per asfissiare il centrocampo croato, aggiungendo subito dopo che il progetto però è fallito. Gli undici giocatori scelti sembravano indicare in effetti una squadra molto aggressiva, ma la pressione sull’inizio azione avversaria è stata spesso mal eseguita.

La prima azione pericolosa della Croazia, dopo appena 4 minuti, nasce da un’aggressione poco convinta degli argentini: sul retropassaggio di Vrsaljko, tocca addirittura al portiere Subasic lanciare lungo e scoprire così il disordine argentino. Rakitic è libero di prolungare di testa e servire Perisic, bravo a ricevere a lato del difensore laterale, mentre l’esterno Salvio è troppo in avanti: il croato entra in area, ha un facile uno contro uno con Mercado, ma trova una grandissima parata di Caballero sul tiro a incrociare sul secondo palo.

A livello teorico, il piano dell’Argentina non era sbagliato, ma forse lo erano gli strumenti con cui eseguirlo. Il passaggio alla difesa a tre ha determinato una sostanziale spaccatura in due tronconi della squadra, invece di aiutarla a ricompattarsi, rendendo quindi difficile l’esecuzione di movimenti ben coordinati in pressione.

Ciò nonostante, era comunque bastato a gestire un avversario con poche idee in fase di possesso: fino all’errore di Caballero, la partita era in pieno equilibrio (e anzi l’Argentina era appena riuscita a servire Agüero, permettendogli di tirare in area). Ma proprio l’errore del portiere del Chelsea, scelto tra l’altro proprio perché considerato abile nella gestione del pallone - anche se aveva già mostrato incertezze contro la Spagna - oltre a evidenziare la sfortuna di Sampaoli (che aveva perso il titolare Romero per infortunio pochi giorni prima del Mondiale), ha messo in chiara luce il disastro argentino nella costruzione del gioco.

Il sistema a tre difensori più un centrocampista (Mascherano), invece di consolidare l’inizio azione lo ha reso ancora più farraginoso: e così il pivote argentino si è spesso abbassato per formare una linea a quattro piatta con il pallone, con Enzo Perez inutile appoggio pochi metri più in avanti. L’Argentina si è ritrovata costretta a scaricare spesso sulle fasce, dove però Salvio e Acuña erano ben circondati e costretti a tornare indietro o inventare soluzioni individuali. In questo modo, l’Argentina ammassava troppi giocatori vicini al pallone, in alcuni casi addirittura fino a 7, isolando completamente i giocatori offensivi.

La scelta dei due centrocampisti rimane uno dei grandi misteri di Sampaoli: Mascherano ormai da anni ha arretrato il suo raggio di azione, e quindi perché incaponirsi a usarlo da regista? E com’è possibile che un giocatore come Perez, convocato per il Mondiale solo dopo l’infortunio di un compagno, possa poi diventare addirittura titolare nella partita decisiva dei gironi? Ma soprattutto, come si pensava di aiutare Messi ad esprimere il suo talento senza neppure un compagno in grado di creare gioco?

Nella partita contro la Croazia è sembrato che a Messi fosse quasi impedito di abbassarsi troppo - come invece era accaduto contro l’Islanda - una buona idea, certo, ma serviva almeno un regista a centrocampo per aiutare la risalita del pallone.

Così invece la squadra di Sampaoli ha creato rari pericoli esclusivamente dalle fasce, rimanendo imbottigliata nell’imbuto centrale (la distribuzione dei passaggi nella fascia centrale è del 55%, un dato elevatissimo). Più che un imbuto, per Messi la trequarti si è trasformata in una sorta di palude in cui è finito sempre più per impantanarsi: completamente avulso dal gioco, lontanissimo dalla zona pericolosa (solo due tocchi in area in 90 minuti), solitario. Nessun compagno è riuscito ad associarsi con lui: basti pensare che il giocatore a cui ha passato di più il pallone è Perez, e quello da cui ha ricevuto più passaggi è Mascherano - cioè gli unici due con cui riusciva a giocare il pallone quelle poche volte in cui si abbassava.

In totale Messi ha toccato 49 volte il pallone, appena 6 in più del portiere, ed effettuato un solo tiro (quello respinto da Rakitic): questi sono i veri numeri del fallimento di Sampaoli e dimostrano la completa incapacità di creare un sistema in grado almeno di far arrivare il pallone al suo giocatore migliore.

La scomparsa di Messi ha di conseguenza generato anche quella di Agüero, che è sembrato quasi uno spettatore, tanto da far registrare il record negativo di non aver toccato il pallone per addirittura 21 minuti consecutivi nel primo tempo. Così è impossibile non solo vincere le partite, ma proprio tirare in porta. Neppure i cambi del secondo tempo, e un passaggio al 4-2-4, sono riusciti a migliorare la situazione: anzi hanno permesso alla Croazia di esaltarsi nel suo gioco preferito, quello delle transizioni.

Messi riesce a ricevere palloni solo sulla metà campo, Agüero solo uno in area: completamente isolati.

Se è vero che con una squadra senza un piano gara chiaro, disordinata, senza passatori, con una difesa rabberciata e un portiere disastroso è difficile dare le colpe a Messi, è anche vero che non si può ignorare la sua completa assenza dal campo durante la partita decisiva dell’Argentina. Le immagini del pre-partita mostrano un Messi disperato come alla fine dei 90 minuti: di solito siamo abituati a vederlo in uno stato di quasi assenza, una concentrazione che lo rende quasi sconnesso dal mondo ma pienamente concentrato sull’unica cosa che gli interessa, il pallone. Questo è un Messi che come Siddharta esce dal palazzo sfarzoso del Barça e trova la miseria argentina, e ne rimane talmente scosso da non farcela.

Messi aveva capito tutto due anni fa, quando dopo l’ennesima finale persa (era la Copa America) annunciò il suo ritiro dalla Nazionale: un ciclo era finito, ma soprattutto la sua energia calcistica in Nazionale sembrava essersi esaurita. Messi ha dato tantissimo a questa Nazionale, ma purtroppo per lui si è notato poco: è stato per anni una sorta di condono fiscale, che sanava tutte le magagne dell’Argentina.

Non resta che una flebile speranza di qualificazione all’Albiceleste, legata soprattutto ai risultati delle avversarie, oltre alla necessità di dover battere la Nigeria (contro cui ha invece già perso nel novembre 2017): mentre le tenebre avvolgono Sampaoli e il suo gruppo, ormai nessuno sembra nemmeno credere più che in fondo al tunnel sarà Messi a illuminare il cammino.

Per portare l’Argentina a crederci ancora, il numero 10 avrà bisogno di scomodare tutte le divinità del calcio.

I dati di questa analisi sono stati gentilmente offerti da Opta.

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