Sul più bello, la regia stava per dimenticarselo. Le telecamere indugiano prima sul quartetto statunitense della 4x400 femminile, che ha appena vinto l’oro, e poi su quello giamaicano, argento. Sono le ultime medaglie di corsa assegnate ai mondiali di atletica di Eugene 2022, in Oregon, e per un attimo la sonnolenza delle cinque del mattino confonde noi spettatori d’oltreoceano: i Mondiali sono finiti, no? Possiamo tornare a dormire?In quel momento l’immagine stacca su Armand Duplantis, per tutti Mondo, che sta già raggiungendo la massima velocità di rincorsa con quella buffa asta lunghissima ormai quasi orizzontale al terreno, come nei tornei medioevali a cavallo in cui bisognava disarcionare l’avversario.Ma certo, Duplantis. Per un attimo quasi mi vergogno di essermene dimenticato. Eppure ho puntato la sveglia due ore e mezzo prima praticamente per lui, soltanto per arrivare a questo momento: l’assalto ai 6.21 m, un nuovo record del mondo. Le gare di Mondo sembrano assomigliarsi tutte: attorno ai 6 metri esaurisce tutta la concorrenza, che si assottiglia di misura in misura. Quando finalmente viene lasciato solo, l’asticella viene alzata di una spanna e si entra nel vivo. Tutto ciò che l’ha preceduto, gli avversari e la medaglia d’oro, sono solo un rito di passaggio.Quello di Eugene è peraltro un rito di altissimo livello: nove atleti si sono presentati a 5.87 m, sette ai 5.94. Qualitativamente, una delle migliori competizioni di sempre. In quattro arrivano a tentare i sei metri, ma ci riesce solo lui. Rieccolo, nuovamente solo, e quindi medaglia d’oro. È soltanto il primo titolo mondiale, dopo l’argento del 2019 e il nono posto del 2017, quando aveva solo 18 anni. Duplantis colma così un vuoto surreale in bacheca e nelle statistiche, per uno già considerato tra i più grandi di sempre nella disciplina. Tale è a livello strettamente numerico, dopo aver stabilito gli ultimi quattro primati mondiali. A 22 anni, con tutti i titoli più importanti già in bacheca, non resta che da lavorare sulla propria legacy.Nel salto con l’asta, questo vuol dire scomodare Sergey Bubka. Duplantis non è il primo a superare le misure di Bubka (il francese Renaud Lavillenie l’aveva già fatto, 6.16 nel 2014), ma il posto nella storia di Bubka va oltre i record e sta nella longevità del suo dominio, nel tempo che il resto dell’umanità ci ha messo per raggiungerlo, nel fatto che non si può scrivere un pezzo sul salto con l’asta senza spendere cinque righe su Bubka, proprio come sto facendo io. Quando Duplantis, dopo l’oro olimpico di Tokyo, ha detto di voler diventare «il più grande saltatore con l’asta che sia mai esistito», si riferisce a tutte queste cose. Non potremo più parlare di salto con l’asta, senza parlare di Armand Duplantis. E forse quel momento è già ora.A Eugene, rimasto senza avversari, Duplantis sceglie prima di saltare i 6.06, per mettersi in tasca il record dei campionati del mondo dell’australiano Dmitri Markov, stabilito nel 2001. Ci riesce, pure con facilità. Poi indica il numero che tutti aspettavano: 6.21. Quando un atleta resta da solo in gara, ha la possibilità di scegliere le misure da tentare, e ha fino a sei minuti di tempo a disposizione per farlo: praticamente come se saltasse nel giardino di casa sua.Per Duplantis, è più di un modo di dire: Armand ha letteralmente saltato nel giardino di casa sua da quando ha più o meno quattro anni. Sono le possibilità che offrono gli spazi suburbani degli Stati Uniti, come quello di Lafayette, in Louisiana, dove vivono i genitori di Dupantis: Greg, il padre, è stato astista di ottimo livello per gli USA (personale di 5.80) negli anni ’90, mentre la madre, Helena Hedlund, è un’ex eptatleta e pallavolista svedese. Insieme hanno installato nel cortile sul retro tutta la struttura per il salto con l’asta, dal pozzetto in cui infilare l’attrezzo al materasso su cui atterrare.Su quella pedana Armand (come i suoi due fratelli prima e sua sorella dopo di lui) ha cominciato a saltare per gioco, non per allenamento: «Lo facevo come i bambini cominciano a tirare calci al pallone», dice spesso. Ancora prima di poterselo ricordare, saltava sul divano utilizzando i bastoni delle scope. Armand ci torna spesso in quella casa, anche solo col ricordo: «Ogni tanto sono in pedana e penso di essere di essere di nuovo un bimbo che salta nel suo giardino». Forse è questa sua capacità di astrarsi dal contesto, di ridurre ogni salto agli elementi essenziali che lo accompagnano dalla nascita (la pedana, l’asta, l’asticella, il suo corpo, il materasso) che gli garantisce la leggerezza necessaria. «Alla fine, è solo salto con l’asta. Quando l’asticella è lì, provo a fare le solite cose». Pure se si tratta di provare il record del mondo, per di più ai campionati mondiali.Pochi minuti prima, mentre era quasi al via la staffetta femminile, Duplantis ha fallito il primo assalto al primato. Il salto con l’asta è un gioco di minimi incastri, di meccanismi sottili e delicatissimi. Devi arrivare alla massima velocità, inserire l’asta nel pozzetto con la giusta angolazione delle braccia e staccare, tirare su le gambe mentre l’asta si flette e poi trovare la verticalità mentre quella restituisce la spinta, infine ruotare sul proprio asse e svincolare al di sopra dell’asticella, a sei metri di altezza. Se sfugge un dettaglio, finisci mestamente sotto l’asticella. Se tutto fila liscio, l’asta ti spara come un cannone nell’iperspazio. A Duplantis finisce quasi sempre così, e il secondo tentativo non fa eccezione: 6.21, record del mondo, una distanza abissale tra sé è l’asticella. Ora sì, che i Mondiali sono finiti.
Duplantis si è preso la scena sul finale, e ha consegnato la controcopertina perfetta a questi Mondiali, come nei sogni più reconditi degli organizzatori. Esulta sotto la tribuna, regala al pubblico un salto mortale sulla pista. Con quel record Duplantis non ottiene soltanto il quinto primato personale (il terzo nel 2022), ma consacra la sua leadership come atleta di riferimento dell’intero movimento. Certo c’è concorrenza: Warholm, Ingebrigtsen e il solito Barshim tra gli uomini, McLaughlin, Rojas tra le donne. Atleti e atlete generazionali, che però non sembrano essere la risposta a una delle domande più impegnative - e in parte stupide - dell’atletica contemporanea: chi è l’erede di Usain Bolt?Da quando il velocista giamaicano non corre più, l’atletica cerca costantemente un nuovo tedoforo, un nuovo messia dello sport. Duplantis è perfetto: un freak tecnico e atletico, una disciplina spettacolare, anni di dominio di fronte a sé, e quindi un volto a cui far affezionare la gente, qualcuno che per dieci anni ci faccia pensare che se stasera salta Duplantis, allora ci divertiamo. E se lui respinge il paragone con Bolt («siamo molto diversi, due discipline diverse»), è pur consapevole che il suo ruolo va oltre l’arrampicarsi su un’asta: «Provo a saltare più in alto che posso, a mettere su uno spettacolo, a divertire. Alla fine, siamo intrattenitori».È un momento storico particolare, nel mondo dello sport, in cui la competizione di élite (soprattutto individuale) non sembra sostenibile; in cui per spingersi fino alla cima del mondo vengono richieste risorse che erodono le riserve di sicurezza di chiunque; in cui non si può eccellere senza rompere il proprio equilibrio mentale (Osaka, Biles) o chiedere sacrifici inumani al proprio corpo (Nadal) fino all’autodistruzione. Duplantis rappresenta un’eccezione talmente luminosa da abbagliare: il miglior saltatore con l’asta della storia record alla mano, ma anche un intrattenitore, un uomo apparentemente in pace con sé stesso e con il proprio lavoro, e pure col padre allenatore, che non concede un’intervista senza ricordare quanto è fiero di suo figlio. Un talento cresciuto in casa senza le forzature delle sorelle Williams o di Agassi, ma saltando nel cortile per gioco, alzando l’asticella poco a poco, ma sempre qualche centimetro più in alto di chiunque lo circondi, a cominciare dai 2.33 m saltati all’età di 7 anni, considerati come un record del mondo ufficioso per quell’età.Da quei 2.33 a sette anni, la carriera di Duplantis è andata dritta come un fuso, continuamente in cima alle classifiche storiche per ogni categoria. Armand realizza di essere davvero arrivato proprio a Eugene, in un meeting del 2017. Condivide per la prima volta la pedana con Lavillenie, l’ex detentore del record del mondo, il primo uomo a spingersi oltre Bubka. La loro storia ricalca il topos avevo-il-suo-poster-in-camera-e-adesso-ci-gareggio-contro, ma va oltre. Oggi, a 35 anni, Lavillenie non ha più i picchi di un tempo: ha passato i sei metri solo in una delle ultime sei stagioni, ma Duplantis lo definisce “un mentore”. Se guardate una gara di salto con l’asta, li troverete spesso vicini, a scambiarsi opinioni e battute sui rispettivi tentativi. Quando Duplantis poi saluta la concorrenza e si mette in caccia di grandi misure, Lavillenie è sempre lì, quasi a proteggerlo. Come in questo tentativo di 6.16 a Stoccolma poche settimane fa, in cui il francese da allenatore in pedana controlla l’intensità del vento, prima di dare l’ok a Duplantis per tentare il nuovo primato all’aperto, che ovviamente riesce.Il primo momento di svolta nella carriera di Mondo arriva però nel 2015, quando gli arriva una chiamata dalla Svezia, da parte di un allenatore dell’associazione svedese di atletica. Vuole approfittare della doppia nazionalità di Duplantis per farlo gareggiare con la Svezia a partire dai prossimi campionati giovanili, anche se lui lo svedese lo parla poco e in Scandinavia ci andava giusto d’estate da bambino, per far visita ai nonni. La federazione svedese lo corteggia per un po’ di tempo, e Duplantis alla fine accetta. In fondo questa storia che da americano per partecipare ai grandi appuntamenti devi passare attraverso una gara di un giorno, i trials, è piuttosto scomoda, e rischiare di dover mancare un gara importante per una giornata storta non gli va a genio. E poi la Svezia gli è sempre piaciuta.Come successo con il salto con l’asta, Duplantis ha la costanza per trasformare una cosa leggera in un impegno serio. Negli anni migliorerà la lingua, e deciderà di dividere la propria vita tra la Louisiana e Stoccolma, sei mesi per parte. Si farà svedese insomma, e verrà adottato in fretta dai suoi nuovi tifosi, che come tutti i tifosi in termini di simpatie sportive sono esseri semplici: bastano pochi record del mondo.Dopo aver superato i primati delle categorie giovanili, finalmente Duplantis passa a quelli dei grandi. Migliora il record di Lavillenie per la prima volta nel febbraio del 2020, salendo di un ulteriore centimetro una settimana dopo. Sembra tutto apparecchiato per una lunga parata fino alle Olimpiadi di Tokyo, finché il Covid-19 non cancella il resto della stagione, Giochi compresi. «È stato un momento difficile»,racconta, sicuramente il più duro in una carriera in costante ascesa. «Quando le Olimpiadi sono state spostate, è stato difficile trovare la motivazione ogni giorno per allenarsi. Non sai nemmeno bene per cosa ti stai allenando».Duplantis torna allora alla sua dimensione privata, ai salti sul materassone in giardino e a tutta quella parte di vita che il Covid non gli ha tolto, e che da parte sua prova sempre a tenersi stretta, per isolarsi da quelle pressioni che rischiano di mangiarti, se per una volta fallisci un nuovo record. Scopre il golf, di cui si definisce “ossessionato”, con cui riscopre un’indole conflittuale che gli apparteneva nei primi anni di salto con l’asta. Gioca e gioca, diventa ovviamente bravissimo,si gode una sfida con il Principe Daniel di Svezia («come un paio di amici che giocano a golf, divertendosi. Se non avessi saputo che era un principe, non l’avrei mai immaginato»). Nel frattempo torna l’atletica, e Duplantis la azzanna: vince 18 gare di fila dalla ripresa nel 2020 fino a maggio 2021, e poi altre tre prima di trionfare, finalmente, alle Olimpiadi di Tokyo. La vittoria di Eugene tiene aperta una striscia di 17 vittorie consecutive. Duplantis ha perso due gare negli ultimi due anni. È tornato a mietere record del mondo, un centimetro alla volta. I salti in altezza, e quindi alto e asta, convivono con un problema sostanziale: in aria non puoi lasciare segni. C’è quindi bisogno di un’asticella che stia lì, testimone dell’impresa. Il limite da superare non è virtuale come nei lanci, nel salto in lungo o nel triplo, né ha la forma di una finestra temporale che si stringe, come nelle gare di corsa. È invece un ostacolo concreto, in forma sottile e allungata. Il risultato di ogni atleta si misura nella distanza tra il terreno e quell’asticella. Duplantis, al contrario, sembra ormai esistere solo nella dimensione complementare, quella che sta tra l’asticella e il cielo infinito. Invece di contare i centimetri al di sotto, ci meravigliamo di quelli che stanno sopra: a Eugene, nella fase di massima ascesa, Mondo è oltre 13 centimetri sopra l’ostacolo, virtualmente attorno ai 6 metri e 35. L’asticella ci diceva 6.21, ma ha barato.