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Arrivano i russi
28 feb 2015
Calcio ed energia: simboli della rinascita dell'impero russo immaginato da Vladimir Putin e capitanato dalla fantomatica Gazprom.
(articolo)
16 min
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Un uomo sta lavorando al computer in un ufficio illuminato solamente da un enorme schermo blu appeso alla parete. Il suo sguardo viene attirato fuori, dove un’aurora boreale sta illuminando il paesaggio, un fitto bosco innevato. L’aurora è dello stesso colore di un’insegna che campeggia su una città male illuminata, dove tutti sembrano interessarsi unicamente ad una partita di calcio in cui si affrontano una squadra rossa e una bianca. Potrebbe essere l’incipit di un racconto distopico alla Orwell e invece è la trama degli spot della Gazprom per la Champions League.

Quando sono comparsi per la prima volta sul mio televisore mi sono chiesto come fosse possibile che il simbolo del potere russo potesse sponsorizzare la massima rappresentazione del calcio europeo nel mondo. Riguardandoli una seconda volta, però, la mia riflessione si è spostata sulla costruzione degli spot, e il loro effetto inquietante.

L’effetto acquerello e il generale gusto anni 80 danno un senso di estrema formalità, che diventa solennità quando alle immagini si fonde il sottofondo musicale. I due spunti di riflessione, che sembrano ad un primo sguardo inconciliabili, si intersecano in più punti tanto che per rispondere al primo bisogna addentrarsi nel secondo.

Le origini dell’impero

L’opera che fa da sottofondo allo spot di Gazprom, il "Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in si bemolle minore" di Tchaikovsky, è quella che fu suonata all’ingresso del tedoforo alle ultime Olimpiadi tenutesi in Unione Sovietica, quelle di Mosca del 1980. Nel 1980 l’Unione Sovietica fa paura e nessuno si immagina che solo dieci anni dopo crollerà sotto il suo stesso peso. L’anno prima l’Armata Rossa ha invaso l’Afghanistan e per questo motivo i paesi occidentali hanno deciso di boicottare quelle Olimpiadi. Nel 1984, l’Unione Sovietica ricambierà il favore non presentandosi alle Olimpiadi di Los Angeles, imponendo la scelta a tutti gli altri paesi del blocco di Varsavia.

Per cercare di aggirare questi ostacoli politici un produttore televisivo americano si inventa i Goodwill Games, una sorta di brutta copia anni 80 delle Olimpiadi. I Goodwill Games è la prima manifestazione sportiva di una certa rilevanza a tenersi in Russia dopo il crollo dell’Unione Sovietica. L’idea di portare questo strano evento in Russia è di Anatoly Sobchak, sindaco anticomunista di Leningrado (fu lui a promuovere il referendum per tornare all’antico nome imperiale, San Pietroburgo) e professore di diritto. Sobchak vuole che San Pietroburgo si apra al mondo, economicamente e culturalmente, per tornare a competere con Mosca dopo anni di depressione e capisce che non c’è mezzo più potente dello sport per ridare lustro ad una città devastata dalla crisi economica e politica.

Ad occuparsi dell’organizzazione della terza edizione dei Goodwill Games, quella di San Pietroburgo del 1994, ci sono i principali assistenti, nonché ex allievi, di Sobchak: Vitaly Mutko, Aleksej Miller, Dmitrij Medvedev e Vladimir Putin. Ci si prepara all’evento in grande stile: si mette a disposizione un budget di quasi 75 milioni di dollari, si rimette la città a nuovo, addirittura si affittano degli aerei speciali per diradare le nubi durante le cerimonie di apertura e chiusura. Ma i giochi sono un fiasco. Gli stadi rimangono deserti perché i biglietti costano troppo, le dirette televisive sono ignorate dal pubblico internazionale e la città viene invasa da taccheggiatori e ladri attratti dai ricchi turisti occidentali.

Due anni più tardi Sobchak perde a sorpresa le elezioni per il rinnovo del mandato e scompare dalla vita pubblica russa. A non scomparire affatto sono invece i suoi rampolli. Miller inizia ad occuparsi di energia presso la società che gestisce il porto di San Pietroburgo, Putin e Medvedev continuano la carriera politica con Yeltsin a Mosca, Mutko diventa presidente dello Zenit.

Immagini dalla cerimonia d’apertura dei Goodwill Games. Richiamano vagamente gli spot della Gazprom.

L’ascesa

Nel maggio del 2000 Putin diventa presidente con il progetto di rifondare l’impero russo cancellando l’immagine dell’Unione Sovietica. «Chi vuole restaurare il comunismo è senza cervello, chi non lo rimpiange è senza cuore» diverrà una delle citazioni più famose del nuovo zar. Dalla sua ha la lezione dell’esperienza politica di Sobchak. Non c’è mezzo come lo sport per rilanciare l’immagine di una Russia grande e potente, ma non tutti gli sport sono uguali. Se bisogna puntare sullo sport bisogna scegliere l’esemplare più popolare. Il primo obiettivo di Putin è quindi quello di riprendere il controllo di due settori caduti nel caos dopo l’implosione dell’Unione Sovietica: l’energia e il calcio.

Il primo serve a dare consistenza economica al potere di Mosca, il secondo ad ingigantire il più possibile la sua ombra sia all’interno che all’esterno. Affida quindi a Medvedev e Miller il compito di rimettere Gazprom, privatizzata da Yeltsin tra il 1992 e il 1993, sotto la guida del Cremlino e a Mutko quello di creare una lega calcistica nazionale sul modello europeo dopo la morte della Soviet Top League. I due obiettivi vengono raggiunti nella prima metà degli anni 2000.

Nel 2001 nasce la Russian Premier League, la nuova lega calcistica russa a 16 squadre, di cui Mutko è presidente. Quattro anni più tardi Gazprom, con a capo Medvedev e Miller, torna sotto il controllo dello Stato russo.

Che i due piani fossero collegati lo si capiva da tempo. Gazprom è sponsor dello Zenit già dal 1999, quando il presidente della squadra di San Pietroburgo è proprio Mutko. Ma con la statalizzazione di Gazprom i piani di Putin possono finalmente prendere vita. Alla fine del 2005 il colosso energetico russo acquista il 70% dello Zenit acquisendone il controllo. Nello stesso periodo Gazprom acquista per 11,5 miliardi Sibneft, compagnia petrolifera di proprietà di Roman Abramovich che un anno prima aveva messo gli occhi sul CSKA di Mosca diventandone sponsor. Subito dopo l’acquisto, il contratto di sponsorizzazione viene annullato. Il calcio è ormai il giardino del re, non c’è spazio per gli oligarchi.

A partire dal 2006 lo Zenit diventa quindi la squadra che la Russia mostra al resto del mondo, un po’ come Gazprom diventa il simbolo della rinascita dell’impero russo dopo il tracollo dell’Unione Sovietica (anche grazie alla legge con cui da quell’anno ottiene il monopolio sull’esportazione del gas naturale all’estero). In cantiere viene messo il ritorno dello Zenit ai vertici del calcio russo ed europeo e uno stadio nuovo di zecca. Il primo obiettivo viene raggiunto a suon di milioni. In otto anni di gestione vengono spesi oltre 310 milioni di euro solo sul mercato (senza contare gli ingaggi) per portare in Russia alcuni dei calciatori e allenatori più in voga: da Spalletti a Villas-Boas, da Hulk a Witsel, da Arshavin a Criscito.

Il secondo obiettivo, invece, stenta ancora ad arrivare. La costruzione dello stadio che si chiamerà Gazprom Arena o Putin Arena, iniziata nel 2007, ancora non si è conclusa nonostante anche in questo caso non si sia badato a spese. Nel corso del tempo il costo del progetto è passato da 170 a oltre 885 milioni di euro e per sostenere i costi la municipalità di San Pietroburgo ha iniziato a investire denaro pubblico. Nonostante queste difficoltà, i milioni di Gazprom trasformano lo Zenit in una squadra vincente: in bacheca vengono messi tre campionati, una Coppa UEFA e una Supercoppa europea. Risultati stupefacenti per un club che, prima dell’arrivo del colosso energetico, aveva vinto il campionato russo solamente una volta, nel 1984, e che nel 1967 si salvò dalla retrocessione grazie all’intervento del Partito Comunista Sovietico, che non accettò la scomparsa della prima squadra della città intitolata a Lenin nel 50.esimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre.

L’espansione

Ma lo Zenit è solo la capitale di quello che diventerà l’impero calcistico di Gazprom. Il colosso energetico è interessato a un obiettivo di più vasta portata: il calcio europeo. Come primo gradino della scalata viene scelta la Germania, il più grande cliente di Gazprom in assoluto. Alla metà degli anni 2000 la Bundesliga non è ancora quel campionato invidiato da mezza Europa che è oggi e molte squadre sono sull’orlo del fallimento. Sono gli anni in cui il Borussia Dortmund è costretto ad elemosinare prestiti al Bayern Monaco pur di rimanere in vita. Tra le squadre in difficoltà c’è anche lo Schalke 04. Nonostante i discreti risultati sportivi, la squadra gestita da Clemens Tönnies annega nei debiti e quando nell’estate del 2006 alla porta si presenta Gazprom con una valigetta piena di soldi ai dirigenti tedeschi non sembra vero.

Quello con Gazprom però non è un semplice contratto di sponsorizzazione. Nonostante la legge tedesca non permetta ad investitori stranieri di possedere più del 49% dei club, Gazprom tiene finanziariamente in vita la squadra di Gelsenkirchen ed ha quindi la possibilità di influenzare le scelte del club ben oltre a ciò che sarebbe permesso ad un semplice sponsor. Lo Schalke avvia fin da subito un programma di collaborazione capillare con lo Zenit a partire dalle giovanili. Nell’estate del 2011 interviene personalmente Putin che, dimostrando un certo fiuto per lo scouting, telefona a Tönnies per bloccare il trasferimento al Bayern Monaco di un giovane portiere: Manuel Neuer. Il presidente russo promette nuovi fondi per alzare l’offerta del rinnovo del contratto. Ma la telefonata arriva troppo tardi e lo stesso Tönnies risponde che ormai non è più una questione di soldi. Tutte le contraddizioni della situazione escono fuori nell’aprile dell’anno scorso, nel bel mezzo della crisi ucraina, quando Putin invita ufficialmente lo Schalke 04 a visitare il Cremlino. La mossa del presidente russo scatena una bufera in Germania con la CDU, il partito di Angela Merkel, che si scaglia contro il presidente della squadra di Gelsenkirchen. Quest’ultimo alla fine è costretto a rifiutare nonostante inizialmente avesse espresso il suo favore.

Eppure, prima della crisi in ucraina, il governo tedesco e quello russo si intendevano alla perfezione. L’annuncio del contratto di sponsorizzazione tra Gazprom e lo Schalke viene fatto a Dresda, dove la Merkel e Putin si incontrano nello stesso giorno per colloqui bilaterali sul commercio. Gazprom aveva firmato un accordo da circa 6 miliardi di euro con due aziende energetiche tedesche, la E.ON e la BASF, per la costruzione del Nord Stream, un gasdotto che a partire dal 2011 collega direttamente Russia e Germania passando sotto il Mar Baltico, bypassando così gli odiatissimi paesi baltici e la Polonia. Sono le ultime settimane del governo di Gerhard Schröder, tifoso sfegatato del Borussia Dortmund, che pochi giorni dopo la fine del suo mandato diventerà consulente esterno di Gazprom proprio sul Nord Stream con un compenso di 250mila euro l’anno. Secondo molti, tra le “consulenze” richieste a Schröder c’è anche quella di intavolare una trattativa con i dirigenti dello Schalke sul contratto di sponsorizzazione con il colosso energetico russo. Si è tentati di dare una versione romantica o addirittura religiosa del fatto che un tifoso del Borussia abbia contribuito a salvare lo Schalke, soprattutto dopo il salvataggio del Borussia da parte del Bayern Monaco. Ma la verità è che un contratto di consulenza con una delle più grandi aziende del mondo lascia poco spazio a romanticherie come la rivalità calcistica.

Schröder con la maglia dello Schalke.

Probabilmente è la stessa cosa che pensa Guus Hiddink quando, con un contratto da 2 milioni di euro in tasca, batte l’Olanda da allenatore della Russia ai quarti di finale degli Europei del 2008. L’idea di ingaggiarlo è ancora una volta di Vitaly Mutko, che nel frattempo è diventato presidente della federcalcio russa. «Vogliamo che la nostra squadra torni ai giorni gloriosi dell’Unione Sovietica», si fa scappare Mutko durante la conferenza di presentazione. La sua è quasi una profezia, dato che la Russia verrà fermata a quegli Europei solo dall’invincibile Spagna in semifinale, il risultato migliore per la Nazionale russa dalla fine dell’Unione Sovietica.

Nel 2008 finisce anche il secondo mandato presidenziale di Putin che non può ricandidarsi per ragioni costituzionali. Affida quindi il paese a Medvedev, che diventa presidente mentre lui agisce nell’ombra da primo ministro. In quel governo c’è anche Mutko, che viene nominato ministro dello sport. Miller rimane invece a gestire Gazprom nella veste di amministratore delegato. Cambiano i ruoli ma i progetti espansionistici di Gazprom in Europa rimangono gli stessi.

Nel gennaio del 2008 il colosso energetico russo compra il 51% dell’azienda petrolifera statale serba, la NIS, per 400 milioni di euro. La motivazione risiede nel progetto South Stream (un controverso gasdotto pensato per far arrivare il gas russo in Europa attraverso Mar Nero, Bulgaria e per l’appunto Serbia) e nelle ricchissime riserve serbe di petrolio e gas (che si aggirerebbero tra le 50 e le 170 milioni di tonnellate in totale). Energia e calcio sono ancora una volta due facce della stessa medaglia. Nel luglio del 2010 Gazprom salva di fatto la Stella Rossa di Belgrado dal fallimento firmando un contratto di sponsorizzazione da circa 15 milioni di euro per cinque anni, una cifra mostruosa per gli standard economici serbi.

Ma il 2010 verrà ricordato da Putin per ben altro. È in quell’anno che la FIFA assegna i Mondiali del 2018 proprio alla Russia. Il nuovo zar ha finalmente tra le mani i suoi Goodwill Games. Secondo Vyacheslav Koloskov, ex vicepresidente della FIFA, il successo della candidatura russa si deve in primo luogo all’impegno personale e giornaliero di Putin, che avrebbe incontrato periodicamente «almeno un terzo dei membri del Comitato Esecutivo della FIFA». Ad aiutare probabilmente c’è anche il fatto che uno dei quattro rappresentanti europei di quel comitato si chiama Vitaly Mutko.

La verità è che non sono state le capacità persuasive di Mutko (dotato tra l’altro di un pessimo inglese) ad aver portato i Mondiali in Russia. Ben più importanti sono stati i milioni di Gazprom. Ma questo si capirà solo anni dopo.

La presentazione della candidatura russa da parte di Mutko; da notare il suo inglese e il fatto che la mappa sullo sfondo divida Europa orientale e occidentale con la cortina di ferro.

Nell’estate del 2012 il colosso energetico russo diventa “Official Partner” della Champions League con un accordo per tre anni da 150 milioni di euro. Durante la stessa estate Gazprom diventa anche “Global Energy Partner” del Chelsea, fresca vincitrice del torneo. Devono averlo imparato i tifosi avversari dei "Blues", puntualmente presi in giro dagli account social di Gazprom Chelsea, non certo campioni di politicamente corretto. Certo, è difficile dire cosa significhi precisamente Global Energy Partner. L’accordo di sicuro implica la fornitura energetica, innaffiata da centinaia di milioni di euro, a Stamford Bridge e al centro d’allenamento di Cobham. Ma queste non sono altro che tappe di avvicinamento all’obiettivo finale: la FIFA. Nel settembre del 2013, Gazprom diventa sponsor ufficiale dell’organismo guidato da Sepp Blatter per quattro anni, ancora una volta non svelando le cifre dell’accordo. Periodo di sponsorizzazione: 2015-2018.

Con le mani sulla FIFA, l’influenza di Gazprom sul calcio globale è tale che Aleksej Miller arriva a proporre la rinascita della Soviet Top League, il campionato che sotto l’Unione Sovietica metteva di fronte le squadre russe e quelle delle repubbliche sovietiche, nonostante l’UEFA proibisca esplicitamente la sostituzione dei campionati nazionali con supercompetizioni regionali. Nei sogni di Miller il nuovo campionato unificato si sarebbe chiamato Super League e avrebbe visto inizialmente la partecipazione delle nove migliori squadre russe con le nove migliori squadre ucraine. Poi, se l’idea avesse funzionato, il campionato sarebbe stato allargato a tutti i paesi ex sovietici. La Super League sarebbe potuta iniziare già nella primavera del 2014 e avrebbe avuto un miliardo di euro di fondo premi, la stessa cifra che mette sul piatto la Champions League. Ma nella primavera del 2014 invece della Super League inizia la guerra civile in Ucraina.

Il declino?

La crisi ucraina è il proverbiale granello di sabbia negli ingranaggi della restaurazione imperiale di Gazprom, nonostante la vittoria di Pirro dell’annessione della Crimea. Il mix di sanzioni economiche occidentali e crollo del prezzo degli idrocarburi ha incrinato dall’interno il mondo calcistico russo. Il tracollo del rublo ha fatto lievitare il monte ingaggi dei top club, che si sono visti costretti a vendere i propri giocatori migliori pur di far quadrare i conti. La Roma ha approfittato di questa situazione per acquistare Doumbia dal CSKA ad un prezzo relativamente basso. Il piccole squadre hanno invece pagato il generale declino dell’economia russa. La stessa Gazprom ha visto una contrazione del 35% dell’utile netto nei primi nove mesi del 2014, che ha portato Standard & Poor’s ad un doppio declassamento, in meno di un anno, del suo rating da "BBB" a "BB+".

La situazione sta diventando preoccupante persino per l’élite economica e calcistica russa, di solito molto assoggettata a Putin. A dimostrarlo ci sono le rivelazioni del quotidiano russo Novaya Gazeta, che ha svelano alcuni dialoghi tenutisi l’estate dello scorso anno durante una riunione di oligarchi legati al mondo del calcio. Secondo la ricostruzione, i presenti si sarebbero detti molto preoccupati delle possibili sanzioni sportive derivanti dalla decisione di annettere le squadre della Crimea al campionato russo e della situazione economica generale del paese. «La capitalizzazione di mercato della mia azienda potrebbe calare dell’80% e passare da 30 miliardi a 7... questo è quasi certo ma è un mio problema personale. Capisco che siamo cittadini di questo paese, tutti lo capiamo. Sceglieremo sempre il nostro paese sopra ogni altra cosa... ma non ci sono possibili soluzioni intermedie?». A parlare sarebbe Sergey Galitsky, magnate dei supermercati e proprietario del Krasnodar.

Il declino economico russo è arrivato a colpire persino l’obiettivo a cui Putin tiene di più: la Coppa del Mondo del 2018. Il governo è stato costretto a tagliare del 10% il fondo da circa 9 miliardi di euro per l’organizzazione dei Mondiali e non è più riuscito a trovare i soldi per pagare il faraonico ingaggio di Fabio Capello. L’allenatore della Nazionale russa è rimasto senza stipendio per più di sei mesi per poi venire rimborsato solo parzialmente grazie all’intervento dei fondi FIFA. Nel frattempo, a causa della crisi ucraina, molte voci si sono alzate per togliere l’organizzazione della Coppa del Mondo alla Russia. Non a caso queste voci si sono levate soprattutto dai paesi precedentemente in lizza per l’assegnazione dei Mondiali del 2018, come la Gran Bretagna. Il vice-primo ministro inglese, Nick Clegg, proponendo la riassegnazione dei Mondiali è arrivato dritto al punto: «Se c’è una cosa che interessa a Vladimir Putin, quella è il suo senso per il prestigio. Forse si potrebbe produrre qualche effetto sul suo modo di pensare ricordandogli che non puoi conservare lo stesso prestigio se ignori il resto del mondo».

Conclusioni

Nonostante sia tutt’altro che disinteressata, l’osservazione di Clegg non è fuori luogo. Quando la FIFA decise di assegnare i Mondiali del 2018 alla Russia, la prima reazione di Putin fu questa: «Vi voglio raccontare una piccola storia sulla mia città natale, Leningrado. La città era stata distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale. Durante l’inverno non c’era né elettricità, né riscaldamento, né cibo. Ma c’era il calcio. Il calcio ha aiutato la gente a superare i momenti difficili». La dichiarazione risuona della storia dell’impero calcistico che Putin ha costruito intorno a Gazprom. "The beautiful game" non sarà virile come il judo o la caccia alle tigri ma se ti può far dimenticare il freddo russo e la fame postbellica può farti anche sognare (o temere) il ritorno di una grande Russia. D’altra parte, un assaggio l’abbiamo già avuto con le Olimpiadi invernali di Sochi. I giochi sono stati un disastro economico, ma hanno portato il Web™ a paragonare Putin al presidente Snow, lo spietato e onnipotente dittatore di Hunger Games. Ma la realtà è un’altra cosa. Anche l’Unione Sovietica organizzò le Olimpiadi autoconvincendosi di essere grande e spaventando i nemici. Ma crollò ugualmente dopo pochi anni.

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