«Senza capire se si trattasse di un gioco, o di un invito al massacro». Le parole di Emidio Clementi dei Massimo Volume si adattano bene all'arrivo di Alexander Blessin sulla panchina del Genoa. In un paese calcisticamente tradizionalista, in cui l'adesione a certi consolidati metodi tocca talvolta punte di autentica metathesiofobia, l'arrivo di un allenatore come Blessin – giovane, semi-sconosciuto, espressione di una filosofia calcistica, metodologica e organizzativa che alle nostre latitudini non esiste - è visto come un evento alieno, facilmente derubricabile come il capriccio di una proprietà che non sa più a quale santo votarsi.
Pur nella consapevolezza che nuovo non significa necessariamente migliore, né più efficace, la scelta del Genoa appare coraggiosa: è il tentativo di importare un modello diverso, già riferimento di numerose società europee – quindi tutt'altro che effimero, su cui costruire un nuovo progetto. La novità per il calcio italiano non è tanto Blessin, quanto la volontà di uscire dagli schemi e provare a percorrere nuove vie.
Il Bignami su Blessin confezionato in questi giorni ruota attorno a tre parole: Red Bull, pressing, Rangnick. Concetti che definiscono senza spiegare, sfiorando appena la superficie di un mondo ben più complesso. Il pressing è indubbiamente un elemento chiave tanto dello stile di gioco di Blessin quanto del modello Red Bull, ma è anche un termine semplicistico e generico, come spiegato dal neo-tecnico genoano al settimanale Voetbalmagazine: «Esistono più modi per fare pressione sull’avversario e possono variare molto da una squadra all’altra. Bisogna definire il quando e il come. C'è chi mette pressione sulla linea di passaggio e chi sul giocatore. Si può scegliere di fare pressione sull'uomo che tiene la palla oppure aspettare che il passaggio arrivi nello spazio lasciato aperto. Il pressing è una trappola nel quale far cadere gli avversari e non può essere uguale per tutti».
Lo stesso discorso vale per la scuola Red Bull, più un punto di arrivo che non un punto di partenza nella formazione calcistica di Blessin. Il tedesco aveva già trovato l’elemento di sintesi tra le decine di impulsi ricevuti durante la propria esperienza da calciatore quando all’Hoffenheim, ormai agli sgoccioli della sua carriera in campo, si ritrovò come allenatore Ralf Rangnick. Lo spazio, il possesso, il gioco di posizione: l’incontro ha unito i puntini.
Da calciatore Blessin era un discreto attaccante di categoria, ma più saliva il livello e più si accorgeva che le sue qualità si scontravano con i limiti di una capacità di lettura, del gioco e degli spazi di movimento. L’opposto di quanto accadeva a un suo ex compagno di squadra negli Stuttgarter Kickers, Fredi Bobic, giocatore meno forte di lui a livello tecnico, ma abilissimo nella lettura del gioco e nel farsi sempre trovare al posto di giusto in area di rigore. La carriera di Bobic, 37 volte nazionale e oltre 100 gol in Bundesliga (contro gli 0, in sette partite complessive, di Blessin), è stata uno stimolo per le idee di Blessin su spazio e posizione, che Rangnick ha codificato e implementato in una visione più ampia. Identico discorso per lo sviluppo del gioco orientato alla rapida riconquista della palla. Lo sportivo di riferimento per il calciatore Blessin è sempre stato Michael Jordan, del quale ha sempre amato ricordare la frase: “Sono diventato un ottimo difensore perché volevo catturare la palla il più rapidamente possibile per attaccare”. Trovare un tecnico che parlava di Raumfressen (traducibile come “apertura dello spazio”) teorizzando un sistema che punta a creare densità, e quindi superiorità numerica, nelle zone in cui prevedibilmente sarà giocata la palla, è stato per Blessin la tessera mancante per completare la prima parte del proprio puzzle.
Se Rangnick è la fonte di ispirazione primaria, l’insegnante vero e proprio per Blessin è stato Helmut Groß, suo istruttore durante la formazione a Lipsia. Considerato da molti uno dei pionieri della filosofia del pressing, Groß è il classico genio nell’ombra, un nome la cui importanza per diverse generazioni di tecnici tedeschi - Rangnick, Klopp, Tuchel - è inversamente proporzionale alla sua fama fuori dai confini tedeschi. Proprio Rangnick ha voluto il suo “padre spirituale” come formatore di tecnici Red Bull e, dopo sei anni da allievo, è stato Blessin a prendere il suo posto come insegnante degli allenatori delle selezioni under 15, under 16 e under 17 dei Bullen.
Foto di Kurt Desplenter / Belga Mag / AFP / Getty Images.
Una metodologia multidisciplinare, che prevede lezioni anche da parte di esperti non appartenenti al mondo calcistico, e in alcuni casi nemmeno a quello sportivo. Qualche anno fa in Germania si parlava di una nuova generazione di tecnici tedeschi utilizzando il termine di “laptop trainers”, allenatori da portatile, espressione inizialmente coniata da Mehmet Scholl con valenza negativa per definire un coach privo di esperienza tanto in panchina quanto in campo, ma in seguito diventata sinonimo di allenatore innovativo, brillante, ambizioso e dall’approccio interdisciplinare. Un calderone nel quale sono finiti in tanti, da Thomas Tuchel a Julian Nagelsmann, da Roger Schmidt a Christian Streich a David Wagner, e che proprio per l’eterogeneità dei protagonisti ha finito per indicare più un’attitudine che un vero e proprio movimento.
Blessin viene da quel mondo, ma va detto che è stato un calciatore professionista fino a 33 anni. Eppure non ha sempre vissuto solo di calcio: da giovane faceva il serramentista, poi è diventato agente di polizia, lasciando la professione solo quando è stato acquistato dallo Stoccarda, e più tardi ha fatto l’assicuratore. Al quotidiano Het Laatste Nieuws ha raccontato di come l’esperienza in polizia sia tornata utile una volta diventato allenatore. «Mi sono trovato in mezzo a situazioni difficili, perché all’epoca il tasso di criminalità a Stoccarda era piuttosto alto, ma fortunatamente non ho mai dovuto estrarre un arma. Ero bravo nelle trattative, tanto da aver ricevuto anche un elogio dai miei superiori per aver risolto questioni delicate semplicemente parlando. Studiavamo molto le tecniche di comunicazione, e alcune di queste le uso ancora oggi come coach».
Blessin ha dichiarato di amare lavorare con i concetti più che con gli schemi, ed è una caratteristica tipica del sistema Red Bull, che nel corso degli anni non ha prodotto cloni attenti a riprodurre pedissequamente gli insegnamenti ricevuti, ma tecnici flessibili e dotati di peculiarità proprie. Le linee direttrici sono comuni a tutti, il resto è frutto delle propria personale elaborazione, basta pensare al 3-6-1 di Nagelsmann a Lipsia, al 4-4-2 di Jesse Marsch a Salisburgo o al 4-2-2-2 di Rangnick sempre a Lipisia, per arrivare al 3-5-2 di Blessin con l'Ostenda. «Puntare troppo su determinati meccanismi è rischioso» prosegue Blessin, «perché quando il meccanismo si inceppa, oppure l'avversario attua misure che lo rendono inefficace, non rimangono alternative». Arriva però un momento in cui i concetti si devono confrontare con la realtà del campo. Blessin ha scelto una piccola società belga, l'Ostenda, per uscire dalla propria comfort zone, come gli fu consigliato da un docente di Psicologia dell'Università di Heidelberg in uno dei seminari interdisciplinari organizzati dalla Red Bull.
L’immobilismo è la fine di tutto
«Mi disse che le cose facili spesso non sono le migliori. Mi ero formato in Germania e conoscevo solo l'ambiente tedesco. Fuori c'erano altre realtà e solo lì avrei potuto continuare a crescere. La sfida sarebbe stata quella di adattare i miei concetti a quelle realtà, ma contemporaneamente permettere a loro di modellare le mie idee. Un equilibrio difficilissimo da raggiungere». Pep Guardiola ha detto che non c'è niente di più pericoloso del non rischiare. Blessin non ha punti di contatto con il catalano, eppure quando afferma che «l'immobilismo è la fine di tutto» sta viaggiando lungo le stesse coordinate. Si può dire che, se esiste anche una pur minima possibilità che Blessin possa farcela in Italia, questa deriva dall'esperienza vissuta sulle rive del Mare del Nord, salutato ogni giorno dal fondoschiena di Mathilde, l'opera scultorea di Georges Grard posta sul viale principale di Ostenda e raffigurante una donna nuda coricata su un fianco in mezzo a un laghetto artificiale. È il Manneken Pis delle Fiandre (il nome originale della statua è Das Meer, in onore alla sensualità del mare, ma è conosciuta anche con il più scorretto Dikke Mathilde, Matilde la Grassona), specialmente per le accuse di indecenza che, a cavallo tra gli anni '50 e i '60, arrivarono dalle frange più conservatrici della città, culminando anche in atti di sabotaggio.
Ostenda è un luogo dove convivevano Belle Epoque e dura scorza marinaresca, oggi diventato un autentico porto di mare, multirazziale e multiculturale. La squadra cittadina ne rappresenta la degna estensione, con rose spesso composte da una dozzina di nazionalità diverse. Quando Blessin si è seduto sulla panchina dell'Ostenda nell'estate del 2019, per il suo primo incarico alla guida di una squadra dopo l'esperienza con l'under 19 del RB Lipsia, il club era reduce dal penultimo posto nella Pro League belga, e non aveva disputato i play-off salvezza solo in quanto la Federcalcio belga aveva chiuso in anticipo la stagione a causa della pandemia. La società era da poco stata salvata dall'hedge fund americano Pacific Media Group (PMG), che attualmente controlla altri cinque club in Europa (Barnsley, Nancy, Esbjerg, Thun e Den Bosch).
L'Ostenda apparteneva al boss di Omega Pharma Marc Coucke, prima che questi divenne l'azionista di maggioranza dell'Anderlecht con conseguente abbandono del club al proprio destino, visto il divieto di possedere due società militanti nella medesima divisione. Alla faccia degli imprenditori locali che dovrebbero avere a cuore gli interessi della comunità a cui appartengono. Gli hedge fund stanno introducendo nuovi modus operandi nel calcio, gestendo le proprie società (spesso piccole realtà che comportano investimenti iniziali contenuti) come asset che, attraverso il player trading, devono essere in grado di generare profitti. La PMG, in particolare, si muove seguendo una serie di regole gestionali applicate a ogni latitudine: squadre dall'identità tattica ben definita (in questo caso risulta forte l'impronta Red Bull, dal momento che i principi sono i medesimi); rose dall'età media bassa; decisioni prese sulla base di dati e numeri. Pur corrispondendo pienamente ai requisiti della PMG, Blessin si è ritrovato tra le mani una squadra giovane, piena di giocatori sconosciuti, alcuni dei quali provenienti da qualche oscura divisione inferiore europea. Una selezione che il diretto interessato non ha esitato a definire, in prima battuta, “di terza categoria”. Nove mesi dopo l'Ostenda ha concluso il campionato al quinto posto, sfiorando la qualificazione ai play-off per la Champions League, e Blessin è stato votato miglior allenatore della Pro League, preferito a Philippe Clement, nuovamente campione con il Brugge, e a Vincent Kompany, titolare di un rinnovato Anderlecht “made in Neerpede”, ovvero focalizzato sui giovani del vivaio (quanto meno, lo era quello del 2020-21).
La prima stagione di Blessin all'Ostenda è stato un crescendo, iniziato in maniera disastrosa tanto nel precampionato quanto nelle prime giornate (la prima vittoria è arrivata alla quinta partita), e chiusa proponendo un calcio verticale e aggressivo come in Belgio raramente si era visto prima. La squadra ha chiuso con la terza miglior difesa del campionato e valorizzato una serie di elementi che hanno poi permesso alla società di monetizzare in sede di mercato. Giocatori quali Jack Hendry (oggi al Brugge), Jelle Bataille (Anversa), Andrew Hjulsager (Gent), Fashion Sakala (Rangers Glasgow), Arthur Theate (Bologna). «Inizialmente non è stato facile», ha raccontato a Voetbalmagazine il difensore centrale oggi in Serie A. «Ci insegnava attraverso i video del Lipsia, mostrandoci i movimenti che dovevamo eseguire. Gli allenamenti non erano lunghissimi ma molto intensi, con questa ossessione sul pressing. Ce lo gridava di continuo. A volte uscivamo dal campo perplessi, perché nel corso della sessione non avevamo fatto nemmeno un tiro in porta. I meno giovani erano quelli che avevano più difficoltà con il suo approccio. Però capivamo che dietro c'era un'idea, un'identità ben precisa, e ha saputo trasmettercela».
I video del Lipsia rappresentano un must per Blessin. Sono un'idea che deriva da Rangnick: il concetto è che con le immagini non esistono scuse per i giocatori, mentre dopo una lezione alla lavagna qualcuno potrebbe sempre controbattere all'allenatore che aveva detto un'altra cosa, oppure che si era spigato male. Ricorda Blessin: «Rangnick sottoponeva i giocatori di ritorno dalle nazionali a intense sessione di video sulla filosofia di gioco, perché era convinto che bastasse una settimana e mezza trascorsa in un altro contesto per far dimenticare loro molte cose».
Maxime D'Arpino, mediano ex Lione tutt'oggi in forza all'Ostenda, afferma di non aver conosciuto tanto un allenatore, quanto un metodo. «La parte più difficile è convincerti a entrare in questo metodo, a sentirti parte di esso. C'è un grosso lavoro, anche comunicativo e psicologico, da parte del tecnico. Una volta ci mostrò le immagini di un branco di lupi che cacciavano, poi di uno stormo di uccelli che migravano. Ci invitò a osservarne i movimenti, a notare come occupassero gli spazi in un modo che sembrava scientificamente programmato. Ma era solo istinto, organizzazione, concentrazione. Ci disse che era questo il pressing che voleva da noi, perché il lupo che caccia da solo è destinato a morire. Rimanemmo molti colpiti».
Fare uscire i giocatori dalla propria comfort zone, anche attraverso esercizi apparentemente snervanti o inutili, è una caratteristica che rimanda a Thomas Tuchel e alle sue “regole provocatorie”. Ad esempio, si divide il campo in quattro settori e nel primo si può giocare solo di prima, nel secondo si gioca con al massimo tre tocchi di palla, nel terzo non si può pressare, eccetera. Blessin sostiene di non essere così radicale, tuttavia il concetto alla base è il medesimo: i giocatori arrivano quasi a rilassarsi in partita perché possono finalmente giocare senza le restrizioni imposte negli allenamenti.
Aggiustamenti
La chiave di volta dell'esperienza di Blessin è però rappresentata dagli elementi della filosofia che ha modellato per adattarsi alla nuova realtà, mettendo in pratica quel concetto di evoluzione continua che è alla base della sua proposta calcistica. Due gli esempi di aggiustamenti effettuati nel corso di quella stagione: gli allenamenti sulla ricerca dello spazio, e la disciplina. Ancora una volta, nessuno meglio del diretto interessato può spiegare il concetto. «A Lipsia durante gli allenamenti avevo abolito le zone vicino al calcio d'angolo. Lì non ci allenavamo, perché non erano zone dalle quali si potevano creare situazioni pericolose. Tuttavia quando incontri squadre che difendono con tre centrali e due esterni che arretrano, creare spazio per le vie centrali può diventare complicato. In Belgio, campionato molto fisico, con squadre che tendono a chiudersi parecchio, questa impostazione l'ho eliminata».
Riguardo alla disciplina, altra colonna portante della filosofia del tecnico, Blessin ha ammesso di «essere un po' troppo tedesco, e questo approccio non funziona con tutti. Con 13 diverse nazionalità in rosa, una certa flessibilità diventa necessaria. Ho dovuto imparare a trovare metodi differenti, a volte anche chiudendo un occhio e concedendo maggiore libertà, per ottenere con tutti i giocatori gli stessi risultati». Blessin è convinto che l'allenatore che abbia commesso uno sbaglio debba riconoscerlo di fronte ai propri calciatori, perché da un lato umanizza la sua figura, e dall'altro rinforza la sua credibilità. A patto, ovviamente, di non sbagliare troppo spesso.
Guardando l'attuale stagione dell'Ostenda, si nota subito la netta differenza con quella così positiva dell'anno precedente. Tante sconfitte e 16esimo posto in campionato, a soli una manciata di punti dai play-off salvezza. In estate la squadra è stata smontata da Gauthier Ganaye, uomo di fiducia del fondo PMG, a 25 anni capo dell'ufficio legale del Lens, a 29 CEO del Barsnley, a 31 massima presidente dell'Ostenda e del Nancy. Ma Ganaye ha chiesto a Blessin la salvezza e nulla più, consapevole che dopo le cessioni il materiale tecnico è tornato a essere “di terza categoria” e non sempre si può ricavare molto se si possiede poco. Il rapporto di fiducia società-allenatore è venuto fuori nei momenti caldi, quando la squadra ha inanellato risultati negativi in serie, arrivando anche a perdere 7-1 in casa contro la capolista Union Sint Gillis. Blessin però non è mai stato messo in discussione. Proprio su questo aspetto si giocherà il suo futuro in Italia. Ma, ancora una volta, unendo i puntini emerge un disegno di fondo che è tutto tranne che improvvisato o frutto della disperazione.
Da un lato c'è il fondo di investimenti americano 777 Partners proprietario del Genoa, con conseguente discorso sull'implementazione di un modello in grado di garantire profitti a medio termine; dall'altro il direttore sportivo Johannes Spors, in passato alle dipendenze del Lipsia, le cui prime mosse sono state l'esonero lampo di Andriy Shevhcenko, totalmente incompatibile con il nuovo corso sotto il profilo dei concetti alla base della sua proposta calcistica, e il successivo ingaggio di Blessin, con tanto di pagamento di clausola rescissoria all'Ostenda per la risoluzione anticipata del contratto. È una sfida lanciata a sé stessi e al calcio italiano.