Pubblichiamo un estratto di "Il sublime e la speranza. I tre Mondiali di Roberto Baggio", libro di Jvan Sica edito da Ultra.
Baggio, il ragazzo di Caldogno, provincia di Vicenza. Molto tempo fa, dove adesso c’è il paese, al tempo luogo acquitrinoso, non c’erano insediamenti umani. Lì si andava solo a cacciare. Questo è testimoniato dal fatto che sono state trovate diverse punte di frecce. La cosa deve essere rimasta, come un’onda elettromagnetica che ha catturato fra gli altri anche Baggio, amante quasi maniacale della caccia.
Di genius loci, poi, vorrei parlare anche in riferimento all’accostamento pittorico che l’avvocato Agnelli pensò per Baggio. Baggio è il Raffaello del calcio per la sua grazia quasi eterea, unita a un’efficacia spesso mortifera per gli avversari. Fra i due ci sono assonanze delicate, ponti fantasmagorici attraverso cui si legano, ma terrei ferma l’idea che, come nelle arti pre-globalizzate (anche se non è sempre detto), sia proprio il genius loci a diffondere sensazioni comuni.
Per questo il bello a volte ricercato di Baggio è riscontrabile in tante tele di un pittore vicentino come Francesco Maffei, che riesce a fondere le sue atmosfere nebbiose con quelle più luminose di Andrea Vicentino, altro artista di quelle terre. Una tela di Maffei che richiama la ricercatezza quasi introspettiva e simbolista che fa sponda col gioco baggiano può essere il bellissimo Perseo libera Andromeda oggi al Ca’ Rezzonico.
Altro pittore in cui un occhio che abbina mondi diversi può ritrovare i movimenti morbidi di Roberto Baggio è Giovanni Buonconsiglio, uno dei migliori allievi del rivoluzionario Antonella da Messina, che per la Chiesa di San Bartolomeo di Vicenza realizzò una bellissima Pietà ricca di colori che riempiono gli occhi, insieme al dettaglio di visi che abbinano contrizione e austerità. Un ultimo pittore che mi fa rimbalzare il gusto su Baggio è Giovanni Antonio Fasolo, il quale con le sue figure quasi congelate nelle loro pose sapeva trasmettere sensazioni fortissime. Fasolo ha dipinto anche alcune pareti di Villa Caldogno, e immagino il piccolo Roberto fra quelle stanze in gita di terza elementare. Parlare di ispirazione è da folli, però il gusto nel fare lo si costruisce grazie a tanti stimoli, a volte inconsci. Detto questo, l’opera d’arte che più mi ricorda Baggio è anche quella più vicina a lui, ovvero la Chiesa di San Bartolomeo a Rettorgole, frazione di Caldogno. Niente di particolare da un punto di vista artistico, ma la facciata così accuratamente composta con rombi che sembrano formati da pixel mi ricorda la ricercatezza delle traiettorie di Roberto.
Il ragazzo di Caldogno era apparso sugli schermi, quelli grandi e pieni di colore del calcio italiano, il 20 settembre 1987, a San Siro, durante la partita Milan-Fiorentina.
Fino ad allora era il talento gracile che dal Vicenza era arrivato alla Fiorentina già in stampelle e aveva realizzato il suo primo gol in serie A a Napoli, durante la partita che diede il primo scudetto ai partenopei. Era solo un’ipotesi di calciatore e ancora più lontano era l’orizzonte del campione, perso com’era in “una lunga odissea sui lettini degli ospedali”, come scrisse Giorgio Gandolfi sulla «Stampa» il giorno dopo la partita di San Siro.
Quella contro il Milan è la seconda partita del campionato, e la Fiorentina viene da uno 0-0 contro il Verona di Bagnoli. Prima del match Brera su «Repubblica» parla soprattutto di Milan e Sacchi, perorando ovviamente la sua visione, secondo la quale l’Italia aveva vinto tre Mondiali e un’Olimpiade perché conscia dei propri limiti e sapientemente difensiva. Già Sacchi aveva visto quanto era brutto perdere male il mercoledì precedente a Gijon, nel primo turno di Coppa UEFA, e doveva stare attento a non ripetere lo stesso errore (parlando di quanto la storia sia importante per l’impostazione calcistica delle nostre squadre, Brera cita un fantastico proverbio spagnolo: “Cuando un nino italiano nasce, le ponen un dedo en el culo: si llora es tenor, si no llora es maricon”. Questo per dire che è meglio cantare all’italiana che restare in silenzio cercando di imitare gli altri). Nell’articolo Baggio resta sullo sfondo, è ancora troppo poco quello che ha mostrato per entrare nel discorso.
Quel 20 settembre è dunque tutto pronto per l’apoteosi di Sacchi e di quello che vuole diventare il sacchismo. Sempre Gandolfi sulla «Stampa» descrive in poche righe ciò che vede (e che mai fino a quel momento si era visto in una tribuna di uno stadio) e quello che sarà anche un certo modo di fare calcio, mischiandolo con spettacolo e costume, che Berlusconi saprà farci digerire. Apre il pezzo parlando di come “la dentiera cavallina di Nadia Cassini” sorrideva a Silvio. In questa immagine che unisce mondi differenti sotto il controllo dell’uomo di Arcore c’è già quello che abbiamo visto in Italia fino all’altro ieri (forse).
Se tutto era iniziato con il sogno del nuovo calcio che diventava realtà, quella partita termina con gente che inveisce in dialetto milanese contro il Presidente e altri che vogliono già strappare l’abbonamento. Cosa è successo in mezzo? Ci sono stati novanta minuti di calcio schizofrenico e, come accade in molte occasioni, stupefacente. Il Milan per un’ora aveva travolto i viola, arrivando in porta almeno dieci volte, ma un po’ la sfortuna e un po’ Landucci si erano opposti al gol. Poi si era acceso il 10 della Fiorentina. Prima su servizio di Di Chiara calcia con un sinistro preciso nell’angolo basso: Galli ci arriva e tocca la palla, ma Diaz è lì per ribadire in rete. Dopo due minuti il Milan è sempre più in attacco e lascia palla a Baggio, il quale aggredisce i due centrali, gli passa letteralmente in mezzo a doppia velocità, vince un contrasto con Galli in uscita e deposita in porta lo 0-2. Amedeo Goria a 90° minuto parla dell’«ottimo Baggio che per farsi incoronare re degli Antognoni metteva a sedere anche Giovanni Galli».
I commenti del giorno dopo sulla prestazione di Roberto Baggio sono ancora una volta pieni di speranza e sospetti. Il 10 ha mostrato classe, ma per un’ora non è esistito. Lui stesso si dà un 5 e mezzo e ribadisce che «ha fatto bene Maldini a non convocarmi (per l’Under 21), perché Bortolazzi è più centrocampista di me».
Ancora Gandolfi però guarda già un po’ più in là, e titolando il pezzo Si scrive Gullit, si legge Baggio gli dà un 6,5, descrivendo un giocatore- campione che sta per arrivare.
Gianni Piva dell’«Unità» invece gli dà solo 6, parla pochissimo di lui e titola Elettroshock a San Siro, descrivendo come “la piramide d’oro zecchino del Milan è diventata sabbia”.
Brera non aspettava che questa sconfitta per prendersi tutte le ragioni del mondo. Il titolo del pezzo, Ma Sacchi non può andare contro la storia, già dice tutto il suo pensiero. Sul gol di Baggio scrive senza troppa enfasi: “Baggio passa festante fra i difensori del Milan e non resta che Giovanni Galli a tentare la pezza: esce il portiere e porta il tackle col destro: Baggio tiene duro e vince il rimpallo (non è un dribbling): resta beatamente solo: e infila il 2-0”.
La Fiorentina aveva vinto immeritatamente, Baggio aveva giocato a sprazzi e segnato solo perché la squadra rossonera aveva giocato in maniera quasi scriteriata dopo la prima ora, eppure chi allo stadio o negli highlights (forse è meglio dire nei riflessi filmati) aveva visto quella partita aveva già capito che quel calciatore sarebbe potuto diventare il campione del nostro futuro.
***
Anche per l’esordio in Nazionale di Baggio un botto si è sentito, e pure discretamente fragoroso. Non ai livelli di Piola, che alla prima nel 1935 segna una doppietta e vinciamo 0-2 al Prater, o di Bruno Nicolé, anche lui doppiettista a Parigi per firmare il 2-2 contro la Francia, ma uno squillo si è percepito. È il 16 novembre 1989, più di un anno dopo le meraviglie di San Siro (in Italia con i giovanotti andiamo sempre con i piedi di piombo), e dobbiamo sfidare allo Stadio Olimpico di Roma, in piena ristrutturazione per il Mondiale, l’Olanda campione d’Europa in carica.
L’allenatore Orange Thijs Libregts usa la partita per sperimentare soprattutto in attacco. Marco van Basten c’è e gioca 90 minuti, ma con lui scende in campo il baffo di René Eijkelkamp, che stava facendo bene con il Groningen, e Pieter Huistra, che poi farà bene ai Rangers Glasgow. Gli esperimenti però vanno molto male e si prega in ginocchio il ritorno in perfetta forma di Ruud Gullit.
Per quanto ci riguarda, in un articolo di spalla «La Repubblica» il giorno prima titola: Le facce nuove sulla strada di Vicini, sottolineando la difficoltà del CT di scegliere fra tanti probabili giocatori “mondiali”. In maniera molto poco politicamente corretta, si accenna al fatto che veniamo dalla pochezza di un Di Gennaro regista o Mancini punta, e grazie ai giovani Baggio, Borgonovo e Rizzitelli Vicini ha molte nuove e migliori alternative su cui puntare.
Baggio arriva a questa sua prima partita in Nazionale con i fari sparati addosso, anche perché si sta iniziando a parlare di un’Italia a tre punte (mai successo fino a quel momento, e quasi mai più visto anche in futuro) e deve essere lui l’uomo che dovrebbe far funzionare l’intero marchingegno offensivo e non far scoprire il centrocampo. Auguri!
Il giorno del match, Mura sentenzia quella che sarà la carriera in Nazionale di un altro Roberto: “Mancini ha ragione a sentirsi sempre sotto esame, ma non hanno torto quelli che l’hanno sempre rimandato. Non essendo una vera punta né un vero centrocampista né un tornante, col passare del tempo l’ex enfant prodige rischia di essere considerato un lusso che poche squadre possono permettersi: la Samp forse sì, la Nazionale no”. E quindi Baggio? viene subito da chiedersi. Non ci potrebbe essere lo stesso problema?
Mura questiona subito sul caso: “Baggio è emblematico: critiche feroci dai suoi stessi loquaci padroni e fiammeggianti entusiasmi. Baggio merita di essere visto e rivisto, nel frattempo è lecito chiedersi di che pesce si tratta. Non è una punta, non è un centrocampista, non è un tornante. Anche lui può essere considerato un lusso: rispetto a Mancini ha conclusioni più felici, un più spiccato senso balistico”. Siamo alla solita. L’Italia non si può permettere un calciatore che non entra in canoni per noi – solo per noi – troppo rigidi.
Ma sullo stesso giornale Fabrizio Bocca ribalta la prospettiva, con un articolo dal titolo: Arriva Baggio, l’uomo di domani (da notare l’assenza del punto interrogativo). Qui i dubbi di Mura si dissolvono ed è tanta “la voglia di vedere in lui un campione. La gente lo aspetta in fin dei conti da anni”. Ma, detto questo, “bisognerebbe capire dove poterlo inserire, sapere quanto e cosa ci si può aspettare da lui. È come Maradona? Ma no, un paragone con lui è improponibile. Credetemi, è ancora su un altro pianeta. E allora chi? Somiglierà pure a qualcuno questo giocatore che è così complicato, per stessa ammissione di Vicini, inserire in Nazionale”.
Purtroppo per far giocare un ragazzo dobbiamo trovargli sempre un padrino. Se non c’è un padrino di squadra che per mano lo accompagni al primo ritiro di Coverciano, allora ne dobbiamo trovare uno tecnico, di personalità, di atteggiamento, un riferimento del passato dove poter pescare per tenerci le apprensioni in saccoccia. C’è da dire che nel nostro caso calza. Nell’alto Medioevo era d’uso ricevere la Cresima con il cresimando che doveva mettere il proprio piede destro sul piede destro del padrino. Veniva dall’uso germanico che serviva a indicare una presa di possesso. E allora come non immaginare il piede destro di Baggio sopra quello di Rivera, per fare solo il primo esempio? Noi italiani poi abbiamo aggiustato il rito, chiedendo di mettere la mano destra del padrino sulla spalla destra del cresimando.
Ma come fai a definire Baggio? Somiglia più a Rivera o a Corso, più a Paolo Rossi o a Galderisi, qualcuno dice che è un Mancini furbo o un Giannini rapido. Per fortuna o per caso, siamo eccezionali nel trovare i dettagli di un paragone. Per poi non farcene niente.
Nel suo esordio con l’Italia, Baggio gioca benino. Sul gol che decide il match, Giannini recupera il pallone e glielo serve. Roberto attende lo smarcamento di Vialli senza essere attaccato (ah che bei tempi, di attese e confusione tattica) e serve in diagonale il centravanti, che stoppa preparandosi al tiro e sbatte il pallone in porta, superando Van Breukelen (non abbiamo vinto nessun Mondiale con Vialli, è assurdo!).
Il giorno dopo sempre Mura fa titolare Brava Italia, ma ora cresci, e pur promuovendo la squadra con un 6 risicato boccia le tre punte e non si esprime fino in fondo su Baggio. Vicini dice ai cronisti: «Baggio mi serve più come punta che come centrocampista. Una cosa è certa: preferisco dover scegliere, soprattutto in attacco. In una serie di partite così, dove fisicamente e psicologicamente sei molto impegnato, può benissimo giocare un tempo uno, un tempo un altro. A me fa molto comodo un Baggio che stia lì davanti, efficace e incisivo sotto rete». Un’altra staffetta si profila all’orizzonte.
Libregts, l’allenatore olandese a cui viene chiesto di Baggio, afferma che l’ha visto poco perché era concentrato sui suoi, mentre il Presidente del CONI Gattai tiene a sottolineare: «A me è molto piaciuto Baggio, soprattutto per la grande precisione dei suoi passaggi».
Le parole con cui Mura chiude su Baggio sono volutamente confondenti: «Baggio è punta, ha già detto Vicini. E allora, insistere su Baggio che, insisto, punta non è».
Ma allora Baggio chi è?