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L'Arsenal continua a volare
16 gen 2023
Con la vittoria sul Tottenham la squadra di Arteta ha consolidato la sua leadership sulla Premier.
(articolo)
12 min
(copertina)
IMAGO / PA Images
(copertina) IMAGO / PA Images
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Ci sono quelli per cui tutto è un caso e quelli per cui niente è un caso. Per i primi Tottenham-Arsenal si spiega con le prestazioni dei due portieri: invertendoli anche il risultato sarebbe andato all’opposto. La squadra di Arteta è passata in vantaggio al 14' su una strana papera di Lloris, che ha respinto nella sua porta un cross teso a mezza altezza che Saka gli aveva sparato sul corpo, come si fa con i tennisti saliti a rete. Una specie di bug di FIFA che ha preso vita nel nostro mondo.

Allo stesso tempo, Ramsdale è stato decisivo nel tenere sott’acqua la squadra di Conte, che è stata molto più pericolosa di quanto il risultato finale di primo acchito non dica (secondo il modello di Micheal Caley ha creato 1.6 Expected Goals). In particolare sono stati due i momenti in cui il portiere di Stoke-on-Trent ha permesso all’Arsenal di mantenere il controllo sulla partita. Il primo pochi minuti dopo il gol del vantaggio. Il Tottenham stava gestendo il pallone all’altezza del centrocampo con una circolazione bassa che non stava riuscendo a bucare le due linee piuttosto strette della squadra di Arteta, quando Dier ha cercato di pescare con un lancio di bonucciana memoria il taglio esterno-interno di Sessegnon, seguito a fatica da Saka. È una giocata tipica del gioco di Conte che sottolinea come alcune ingenuità dell’Arsenal non sono sparite di colpo con questa ultima incredibile striscia di risultati. Il terzino destro, Ben White, che era molto stretto ai due centrali, quasi si disinteressa dell’azione mentre l’esterno del Tottenham arriva a giocare ai limiti dell’area avversaria, e anche Saliba sembra molto svagato. Va detto che per arrivare all’occasione vera e propria Sessegnon si deve inventare un filtrante che, anche a rivederlo, è di difficile comprensione: l’esterno inglese fa per girarsi su sé stesso quando vede il taglio di Son in area e cerca di servirlo avvitandosi con un angolo strettissimo. Il tipo di giocata che lacererebbe diversi tendini di un non professionista. La palla comunque arriva al limite dell’area piccola al numero 7 del Tottenham, che però in un attimo si ritrova lo specchio coperto dall’uscita fulminea di Ramsdale, che respinge con i piedi. Il brutto momento realizzativo dell’attaccante coreano continua.

Il secondo momento di gloria di Ramsdale arriva al 52', nel momento di maggior brillantezza del Tottenham, che per i primi venti minuti del secondo tempo è sembrato sul punto di rimettere in gioco la partita. Tutto nasce da una palla rimessa in gioco un po’ maldestramente da Saliba, che l’aveva rubata a Son a pochi centimetri dalla linea del fallo laterale. È un passaggio verticale in avanti alla cieca che viene intercettato ancora da Sessegnon (uno dei migliori dei suoi, come avrete capito), che recupera il ritmo dell’azione offensiva del Tottenham. L’esterno inglese chiama l’uno-due con Harry Kane, che era sceso sulla trequarti per ricevere al fianco di Thomas Partey, e lo scambio riesce talmente bene che arriva a tirare dallo spigolo sinistro dell’area piccola dell’Arsenal. È uno di quei gol che puoi vedere nella tua testa un momento prima che avvengano effettivamente sul campo davanti a te: un tiro a incrociare sul palo più lontano con la palla che scorre dolcemente sul lato corto della rete. E invece Ramsdale in spaccata ci mette i tacchetti del suo scarpino sinistro, in una riedizione quasi esatta della parata leggendaria di Courtois su Graelish nella scorsa Champions League.

Ramsdale è una delle tante scelte forti dell’Arsenal che in questa stagione come per magia hanno iniziato ad avere senso. Quante sono state negli ultimi anni le pretendenti al titolo del campionato più competitivo del mondo che hanno messo tra i pali un portiere di appena 24 anni con relativamente poca esperienza a questo livello? Sembra che l’Arsenal possa volare solo sulle ali della giovinezza e della spensieratezza, e Ramsdale, nonostante l’età, sembra essere l’unico a non essersene reso conto. Dopo questa grande parata urla qualcosa al povero Sessegnon steso a terra, poi a fine partita viene coinvolto in una strana rissa con Richarlison, con un tifoso del Tottenham che entra in campo per dargli un calcio sulla schiena. La scena è surreale: dopo la rissa Ramsdale è imbronciato nonostante la vittoria decisiva per la corsa al titolo, mentre tutto intorno i suoi compagni saltano di gioia indicandogli il settore ospiti dalla parte opposta dello stadio dove dovrebbero stare a festeggiare. A un certo punto arriva anche Arteta a provare a trascinarlo via con il sorriso di chi sta cercando di far rientrare un amico immusonito nel gruppo dopo una battuta per cui se l’è presa troppo.

Arteta è un buon caso di studio per quelli che pensano che le squadre finiscano inevitabilmente per assomigliare al proprio allenatore. Questo incrocio iberico tra Pep Guardiola e Michael Scott, le cui reazioni in panchina sono così rigide da sembrare improvvisate ogni volta sul momento, è una buona immagine di una squadra giovane, ambiziosa e incredibilmente pignola. L’Arsenal è fatto a immagine e somiglianza di Arteta, il che significa che è fatto quasi a immagine e somiglianza di Guardiola, che se l’è cresciuto al City prima di farlo diventare sua nemesi a Londra. Si dice ironicamente che Guardiola si fosse talmente annoiato della supremazia che aveva imposto sulla Premier League da essersi creato l'avversario da solo, ed è uno di quei casi in cui ridendo si dice la verità se si pensa all’influenza che stanno avendo i due acquisti arrivati dal City in estate sulla stagione dell’Arsenal, e cioè Gabriel Jesus e soprattuto Zinchenko.

Il giocatore ucraino, andato via da Manchester con le lacrime agli occhi, è diventato una cosa sola con l’istituzione che rappresenta, cioè il ruolo del falso terzino, e fa strano adesso pensare che arrivò in Inghilterra con la nomea del trequartista estroso. All’Arsenal Zinchenko ha una funzione ancora più distruttiva che ben rappresenta le differenze tra il gioco di Guardiola e quello di Arteta, che teoricamente sarebbero figli dello stesso padre, e cioè il gioco di posizione catalano. Nel City il falso terzino serviva in primo luogo a superare la prima pressione, scappando alle spalle delle schermature della prima linea avversaria per ricevere alle sue spalle. Oggi all’Arsenal questa funzione è rimasta con una costruzione a 3+2, cioè una prima linea composta dai due centrali e il terzino destro e una seconda linea composta da Thomas e per l’appunto Zinchenko, ma sembra secondaria rispetto a quella di recupero del pallone appena perso, uno degli aspetti del gioco in cui la squadra di Arteta è più migliorata rispetto alla scorsa stagione. Avanzando ed entrando dentro al campo, il trequartista ucraino infatti stringe la propria posizione nei confronti del pallone mettendosi in condizioni migliori per bloccare sul nascere le transizioni avversarie. E spesso recupera il pallone in posizioni di campo potenzialmente pericolose.

Contro il Tottenham Zinchenko ha fatto una partita difensiva eccellente (4 duelli aerei vinti su 4, 2 contrasti vinti su 2), ma Conte era stato bravo ad escogitare un sistema per scardinare questa valvola con cui Arteta cerca di soffocare il gioco avversario, chiedendo a Kulusevski di ricevere sempre alto e largo, facendo densità a destra nella zona di Doherty. Al 60esimo, pochi secondi dopo l’azione che vedete qui sopra, Zinchenko è salito centralmente sul tentativo di riaggressione dell’Arsenal, che però non è andato a buon fine. Il Tottenham può così servire Kulusevski alle sue spalle, innescando un contropiede in tre contro tre. La squadra di Conte non è arrivata al tiro da dentro l’area solo perché l’ala svedese ha servito troppo pigramente Son, vanificando l’azione.

Zinchenko non ha funzioni solo difensive ovviamente, e anche ieri la sua gestione del possesso sotto pressione è stata decisiva per permettere all’Arsenal di uscire dal basso giocando (al 22esimo ad esempio una sua progressione dalla difesa innescherà un tiro dalla distanza di Odegaard quasi identico a quello che porterà al gol del 2-0), ma il suo cambio di paradigma sembra riflettere tutta la distanza che c’è tra la squadra di Guardiola e quella di Arteta. L’Arsenal non è il tipo di squadra totalitaria che riesce a dominare il gioco per tutti i 90 minuti, e forse non ci ambisce nemmeno, e più che per il controllo del possesso fa impressione per l’applicazione estrema del pressing alto e della riaggressione. Siamo nel 2023 e quello che si fa senza palla è diventato più importante di ciò che si fa con la palla. La prima grande occasione della partita, per esempio, nasce da un filtrante troppo lungo di Thomas che sembrava di facile gestione per la difesa del Tottenham. Dopo pochi secondi, però, la squadra di Conte si è ritrovata in questa situazione.

Il Tottenham non è riuscito nemmeno a spazzare via il pallone a casaccio e l’Arsenal è arrivato a tirare a botta sicura dai limiti dell’area piccola, con Nketiah che però si è fatto respingere il pallone da Lloris. Era il momento in cui ancora pensavamo che il portiere francese potesse sfuggire dal suo declino, che invece dai numeri sembra inevitabile.

L’Arsenal insomma è una squadra che gira intorno al concetto di pressing: di portare al massimo dell’efficienza il proprio, con Saliba costretto a salire fino ai limiti dell’area avversaria pur di seguire alle spalle Kane, ma anche di trasformare quello avversario in un’arma a proprio favore. È da questo punto di vista che si capisce la sensatezza della scelta di far gestire il pallone a un doppio perno costituito da due giocatori non particolarmente creativi con i piedi, ma a cui è molto difficile togliere il pallone sotto pressione. Di Zinchenko abbiamo già detto, mentre è possibile che passi sotto traccia l’incredibile partita di Thomas, il giocatore che di fatto tiene insieme la fragile architettura pensata da Arteta.

Arrivato nell’ottobre del 2020 per circa 50 milioni di euro, Thomas è uno dei giocatori che meglio rappresenta questa spettacolare uscita dell’Arsenal dalla sua banter era, fatta di errori e tentativi costosissimi, di fiducia incondizionata nelle scelte del proprio allenatore e finalmente ripagata. Thomas è ormai sulla soglia dei suoi trent’anni, ha passato quasi tutta la sua carriera nell’ombra, come se non dovesse mai rispettare le aspettative che fin da giovane aleggiavano intorno al suo nome, ma oggi è come se tutto questo tempo d’attesa fosse stato assorbito dal suo corpo e adesso sia fatto di un’altra consistenza calcistica. Si potrebbe parlare anche solo della sua partita difensiva per tesserne le lodi (4 contrasti vinti su 5, un passaggio intercettato) ma gli si farebbe un torto perché in entrambi i gol è lui ad accendere la miccia. Sul primo lancia Saka alla scoperta di cosa c’è alle spalle della linea difensiva del Tottenham. Sul secondo controlla una palla complicatissima respinta a centrocampo dalla difesa dell’Arsenal, si mette alle spalle Hojbjerg con un primo controllo di seta e poi, senza nemmeno guardare, serve Saka tra le linee, da dove Odegaard farà partire il tiro dello 0-2. Sarebbe stata la partita perfetta se al 24esimo il suo spaventoso tiro al volo da fuori area fosse entrato in porta anziché sbattere sul palo, alla fine di una di quelle azioni in cui l’Arsenal sembra letteralmente mettere un coperchio sugli avversari, costretti a cuocere a fuoco sempre più alto dentro la propria area di rigore.

Facendo circolare palla sul perimetro con il solito doppio perno Thomas-Zinchenko l’Arsenal era arrivato a crossare con Saka portando ben cinque giocatori dentro l’area. Il cross era arrivato leggermente arretrato sul destro di Martinelli, che aveva comunque deciso di colpirlo con uno strano tacco-esterno al volo, che forse era un tiro ma era uscito talmente strambo dal suo piede che per poco non serviva Nketiah di testa dentro l’area piccola.

Le partite dell’Arsenal sono piene di questi momenti di creatività un po’ casuale in cui sembra per brevi istanti poter riportare in vita il disordine organizzato che lo rese grande con Arsene Wenger. Avete presente quell’incredibile gol di Wilshere del 2014 in cui tutti i giocatori sembrano improvvisare il passaggio sul momento producendo un’azione tutta di prima che porta l’ex numero 10 dell’Arsenal a tirare da solo davanti all’area piccola? Azioni in cui tutto è casuale fino al punto in cui niente lo è davvero. Ecco, oggi siamo lontani da questo tipo di perfezione jazzistica ed è inevitabile che sia così: contro sistemi di pressing sempre più organizzati è impossibile mantenere questa libertà creativa. Eppure qualche sprazzo rimane, come la pelle d’oca o il coccige, rimanenze di un passato ancestrale che l’evoluzione non è ancora del tutto riuscita a cancellare. Dopo la partita è circolato molto un video di Martinelli che controlla un pallone con la schiena - un gesto tecnico sostanzialmente inutile, ma che nella sua ostinazione a rimarcare il carattere ludico del calcio contrasta in maniera spettacolare con il sacrificio marziale che Conte richiede ai suoi giocatori, costretti ad affondare nel fango della stanchezza e delle trame avversarie come i membri della polizia antisommossa tedesca di fronte all’uomo vestito da mago.

Da questo punto di vista non esiste giocatore che rappresenta meglio questo Arsenal, ma anche l’Arsenal in generale, di Martin Odegaard. Un giocatore bellissimo e fragile, come lo stesso Wilshere, come Ozil, come Walcott, come Rosicky. Un trequartista che sembra la trasposizione sul campo di un notturno di Chopin. Prelevato dal Real Madrid in Norvegia quando aveva ancora 16 anni, non sembrava fatto per la brutalità atletica del calcio contemporaneo. Anni di prestiti falliti, di buone cose viste in contesti troppo peculiari, infine il passaggio all’Arsenal che sembrava uno scherzo. Decidere di puntare su un giocatore così è programmazione, fede ostinata o quello che comunemente viene chiamato DNA? Quello di ieri contro il Tottenham è l’ottavo gol stagionale di Odegaard e oggi il suo acquisto sembra essere tutt’altro che casuale. Lui si è preso la leadership di questa squadra seriosa e leggera al tempo stesso, Arteta gli ha anche dato la fascia da capitano togliendola dal braccio di un giocatore carne e sangue come Xhaka, come a voler tracciare una linea visibile tra la fine dell’era precedente e l’inizio della nuova. La sua creatività in Premier League in termini quantitativi è seconda solo a quella di Kevin de Bruyne, che però sembra produrre assist con la precisione meccanica di un macchinario industriale. Quando vediamo Odegaard danzare tra gli avversari al limite dell’area, invece, ci illudiamo che il calcio possa essere ancora un gioco non professionalizzato.

Con Odegaard in campo l’Arsenal sembra poter volare oltre i propri limiti, come Willy il Coyote che continua a camminare nel vuoto finché non guarda verso il basso. Sono 10 vittorie nelle ultime 12 partite, l’ultima sconfitta risale agli inizi di settembre. Nella sua storia l’Arsenal non aveva mai avuto così tanti punti a questo punto della stagione. Solo oggi ci sembra di capire il senso di due anni in cui tutto è sembrato casuale. Quando funziona, l’Arsenal fa così.

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