Karel Poborsky e il pallonetto per mandare la Repubblica Ceca in finale all’Europeo 1996, Zlatko Zahovic che segna 3 dei 4 gol della Slovenia all’Europeo 2000, Theodoros Zagorakis che orchestra i movimenti della Grecia campione all’Europeo 2004, Miguel Veloso che comanda nel Portogallo semifinalista all’Europeo 2012, Dimitri Payet luminoso rifinitore della Francia finalista all’Europeo 2016. Tutti nomi entrati nel nostro immaginario grazie a un Europeo.
Gli Europei non avranno mai la stessa attenzione globale dei Mondiali, ma riescono comunque a funzionare da vetrina per alcuni giocatori quasi semi sconosciuti ai tifosi. Poborsky si trasferì quell’estate al Manchester United dallo Slavia Praga; Zahovic, invece, dall’Olympiakos al Valencia finalista di Champions League nonostante avesse già 29 anni.
L’Europeo del 2008 è stato quello di Arshavin, nonostante cominci solo alla terza partita del girone. Poche settimane prima aveva alzato la Coppa UEFA con lo Zenit in finale contro il Rangers a Manchester, il primo trofeo continentale della sua carriera. Arrivava comunque all’Europeo ancora da semi sconosciuto per il grande pubblico; per gli addetti ai lavori era un talento sprecato.
A fine Europeo, invece, è sulla bocca di tutti: dice allo Zenit di voler essere ceduto per andare a giocare in Spagna o Inghilterra (dopo una trattativa durata mesi la spunterà l’Arsenal, diventandone all’epoca l’acquisto più costoso di sempre) e a dicembre si piazza sesto per il Pallone d’Oro, dietro a Cristiano Ronaldo vincitore, Messi, Torres, Casillas e Xavi; e davanti a Villa, Ibrahimovic, Kakà e Gerrard. Ancora oggi il miglior piazzamento per un calciatore russo nel post-URSS.
Arshavin è cresciuto in una famiglia proletaria di Leningrado ed è stato subito riconosciuto come un talento di quelli che chiameremmo ora generazionale. Ha la palla sempre attaccata al piede, è rapido, ha un baricentro basso e con le gambe riesce a proteggere la palla e far partire il tiro da qualunque posizione. Il carattere fumantino gli costa la convocazione al Mondiale 2002 e Euro 2004; la Russia poi fallisce la qualificazione al Mondiale 2006.
Sembra strano oggi, ma Guus Hiddink si prese una bella responsabilità a convocarlo per quell’Europeo. Il giocatore aveva una squalifica di due partite per una gomitata a un avversario nell’ultima giornata del girone di qualificazione contro l’Andorra. I vertici federali avrebbero preferito lasciarlo a casa, anche perché avrebbe tolto il posto a qualcuno nei 23 potendo giocare solo dalla terza partita del girone, contro la Svezia. Hiddink però è irremovibile e credendo pienamente nel suo talento lo porta lo stesso: «Un giocatore normale nella stessa circostanza, con due match di squalifica, non l’avrei convocato. Ma sapevo che aveva quella qualità in più che magari sarebbe potuta essere utile, sperando di essere ancora in corsa per il passaggio del turno nella partita con la Svezia. Per questo l’ho portato lo stesso».
La Russia effettivamente batte la Svezia di Ibrahimovic nello scontro diretto qualificandosi ai quarti, lui è il migliore in campo e segna anche il gol del 2-0. Nonostante le pressioni dell’esordio giustifica la fiducia in lui riposta da Hiddink: «Arshavin è un calciatore che può decidere l'esito di una partita. Può creare un momento dal nulla ed essere molto utile per la squadra. Può segnare un gol incredibile da qualsiasi posizione».
Ancora oggi c’è un rapporto speciale tra i due, dice Arshavin nel 2018 quando gli chiedono l’allenatore più importante della sua carriera: «naturalmente, per me, il miglior allenatore è Guus Hiddink, perché è stato un successo. Sentivo di giocare il calcio che avrei voluto sempre giocare».
Ma è la partita successiva, ai quarti contro l’Olanda, che rivela davvero il suo talento. Va ricordato che alla vigilia l’Olanda di van Basten era una delle candidate alla vittoria finale, soprattutto dopo l’esordio con vittoria per 3-0 contro l’Italia campione del mondo in carica e la vittoria per 4-1 nella partita successiva contro la Francia finalista in carica. Ha passato il girone a punteggio pieno con 9 gol fatti e 1 subito. Una squadra che nonostante i due centrocampisti centrali bloccati (Engelaar e de Jong), ha un fronte offensivo devastante con van der Vaart, Sneijder, Kuyt e van Nistelrooy. Dalla panchina possono entrare van Persie e Robben (!). L’ossatura della squadra che arriverà in finale del Mondiale due anni dopo.
Arshavin tocca il primo pallone solo al quarto minuto: sulla trequarti controlla e protegge palla su di una sponda non troppo precisa di Pavlyuchenko, su cui il terzino destro Boulahrouz entra duro senza però riuscire a toccare il pallone, costringendo l’arrivo del compagno Mathijsen a commettere fallo. Nell’inquadratura lo vediamo rialzarsi senza dire nulla, classico Arshavin: i capelli a caschetto pettinati in avanti, la bocca aperta, le guance arrossate e gli occhi stretti e concentrati verso un punto indefinito.
Arshavin sbaglia i primi passaggi, ma Hidding ha preparato una serie di movimenti per mettere in crisi le fragilità individuate nel sistema di van Basten. Il primo è la lentezza della linea difensiva, e in particolare del terzino sinistro van Bronckhorst. Per questo inserisce per la prima volta titolare il veloce Saenko da ala destra, chiedendogli di puntare di continuo la profondità sulla sua fascia. Anche il terzino Anyukov si spinge molto in avanti e può metterlo in mezzo.
Il secondo punto è che la coppia di centrocampisti centrali, Orlando Engelaar e Nigel de Jong, è statica e facilmente manipolabile dai movimenti dei tre centrocampisti russi - Semshov, Zyrianov e Semak. L’Olanda si difende a zona con l’uomo come riferimento e quindi i continui scambi di posizione e smarcamenti a centrocampo mandano fuori giri la coppia di centrocampisti centrali. La presenza di Pavlyuchenko in stato di grazia a spingere indietro la linea difensiva olandese permette così lo scacco matto, creando lo spazio di manovra per Arshavin sulla trequarti.
A rivederlo oggi, l’Europeo 2008 mise in mostra squadre più offensive di quanto siamo abituati ora in ambito nel calcio per nazionali. O quanto meno sembra esserci qualcosa di ingenuo e ambizioso nel modo in cui l’Olanda e la Russia si affrontano a viso aperto, senza risparmiarsi. Si vuole arrivare in area in cinque passaggi, in mezzo almeno un paio provano a superare le linee avversarie senza preoccuparsi delle marcature preventive. Prima della partita Hiddink dice che la forza dell’Olanda lo spingerà a schierare una squadra molto offensiva: «Per far fronte alla paura andremo costantemente all’attacco. Entrambe le squadre hanno uno stile di gioco simile: amano attaccare, dominare tutto il tempo, divertitevi!».
In un calcio del genere - dove manca ancora la tendenza alla pressione costante sull’uomo in possesso - un giocatore astuto, veloce e tecnico nel controllo nello stretto e nel calcio come Arshavin può risultare devastante. Proprio in questo torneo in cui le squadre presentano formazioni poco fluide, difese che accorciano poco e centrocampisti bloccati che le sue qualità riescono ad inserirsi perfettamente con quello che serve alla sua squadra e quello che patiscono maggiormente i sistemi difensivi avversari. Così lo spiega Hiddink: «Si muove nelle zone dove i difensori pensano di poterlo anticipare, ma non riescono mai a prenderlo. Questa è la qualità che la natura gli ha dato». In un contesto tattico del genere Arshavin è tanto facilmente individuabile dai compagni quanto difficilmente arginabile dalla difesa avversaria.
Dopo pochi minuti è già chiaro come in modo impronosticabile la Russia ha il miglior giocatore in campo, Arshavin, e il vantaggio di avergli creato l’habitat tattico ideale. Mentre Sneijder e Van der Vaart non sanno bene dove trovare spazio, lui sì e può orchestrare l’attacco della sua squadra muovendo i fili della partita. Un vero e proprio capolavoro tattico di Hiddink che ha permesso l’apoteosi di Arshavin.
A fine partita ha dichiarato: «Ci aspettavamo che gli olandesi fossero più aggressivi, ma alla fine eravamo più forti noi. Ad essere onesti mi aspettavo di più da loro, è sembrato come se avessero perso molta della loro energia ben prima di noi. Certo quando giochi sotto un grande allenatore si vede come cambiano le cose, alla fine un grande allenatore ha battuto 11 olandesi di talento».
Arshavin è sicuro fino a diventare arrogante. O si gioca il suo calcio o non si gioca. Se potesse porterebbe lui anche il pallone, così da portarlo via se le cose non dovesse andare come vuole lui. Questo atteggiamento può essere nocivo per una squadra, ma può trasmettere anche sicurezza. Era proprio il suo carattere problematico, agli occhi di Hiddink, a rendere Arshavin importante: «In Russia ci sono molti buoni giocatori, ma Andrei è creativo, eccentrico, con un carattere duro. Non ha paura di dire quello che pensa e mi piace». Trascina un gruppo di giocatori con una mentalità più tranquilla e laboriosa.
Arshavin è egocentrico, vuole sempre il pallone; quando lo riceve trova nuove soluzioni. Quando tocca il pallone esalta i movimenti instancabili di centrocampisti e terzini, completa il lavoro della punta Pavlyuchenko a cui gira attorno. L’Olanda fa la sua manovra ma appena perde palla si accorge di non avere punti di riferimento per il recupero immediato e allora è costretta a ripiegare, generando spazio per la Russia.
Se l’Olanda gioca meglio palla a terra, la Russia è più pronta nella riaggressione e questo genera momenti di palleggio ragionato alternato a improvvise accelerazioni. Hiddink ha anche chiesto alla difesa di variare e provare anche a lanciare direttamente lungo provando a giocare sulle seconde palle e sfruttare la maggiore reattività della sua squadra. A contrario della sua fama da indolente, Arshavin sembra essere argento vivo: è quello che va in pressione fino sul portiere (mentre Pavliyuchenko deve schermare il primo difensore per togliere l’opzione di passaggio al portiere) ed è sempre pronto a muoversi in riaggressione e sui contrasti aerei, nonostante la stazza non lo avvantaggi di certo e il dispendio fisico rischi di prosciugarne le energie.
Col pallone invece non si ferma mai. Quando la Russia può manovrare l’ideale e far arrivare il pallone ad Arshavin sui piedi e poi muoversi sulle sue invenzioni. L’Olanda finisce sempre per dorvergli fare fallo.
Il primo tempo è piacevole, con le squadre che si suddividono le azioni da gol, forse la maggiore della Russia è un vero e proprio siluro del difensore centrale Kolodin da almeno 40 metri che il portiere devia sopra la traversa e quella maggiore dell’Olanda è di van Nistelrooy che sfiora soltanto un cross che lo vedeva liberatosi in area piccola come altre centinaia di volte aveva fatto con successo in carriera.
Nel secondo tempo la partita si accende: van Basten prova a vincerla inserendo van Persie per Kuyt sulla fascia destra, cosa che però scompensa difensivamente la squadra, con il terzino Boulharouz costretto a un fallo che gli costa il giallo poco dopo per fermare Arshavin. Van Basten allora lo sostituisce con Heitinga. Due minuti dopo arriva il gol della Russia. Arshavin si mette a giocare sull’avversario non ancora in ritmo: finge di accentrarsi, poi invece serve alle sue spalle il compagno Semak che si era sovrapposto a sinistra. Sul suo cross Pavlyuchenko arriva indisturbato sul primo palo, calciando in porta di prima.
Nel gol c’è l’astuzia di Arshavin, la fluidità e le ottime letture del centrocampo russo e la capacità in area di Pavlyuchenko. Un gol uscito dal playbook di Hiddink. Van Basten decide di togliere il centrocampista Engelaar per far spazio all’ala Afellay. All’ora di gioco ha tutti e tre i cambi fatti e il trequartista van der Vaart a centrocampo accanto a de Jong. L’idea è quella di provare a segnare subito, ma la pagherà cara, perché a causa di tutto l’arsenale offensivo messo in campo l’Olanda diventa una squadra docile una volta persa palla. L’orientamento delle marcature sull’uomo è completamente saltato: Arshavin che svaria su tutto il fronte che diventa lo spauracchio del povero de Jong che deve correre ad aiutare la difesa.
La Russia arriva vicinissima al raddoppio più volte perché ogni palla recuperata porta ad una situazione di 2 contro 3 in campo aperto. A un certo punto viene inquadrato Johan Cruyff con addosso quell’espressione stizzita che montava quando vedeva in campo qualcosa che non gli piaceva. L’Olanda riesce ad arrivare al tiro, ma alla fine le vere azioni da gol le ha la Russia, che quando la palla arriva ad Arshavin manda nel panico la difesa a prescindere dalla posizione o dalla situazione di gioco in cui gli arriva.
Forse nulla spiega meglio di quest’azione a 10 minuti dalla fine in cui ruba palla e costringe il secondo avversario ad appendersi a lui per provare a tirarlo giù senza riuscirci comunque. Penso sia la vera azione simbolo della partita, con la forza nelle gambe e la rapidità di pensiero a cui gli avversari non riescono a stare dietro neanche provando a giocare a rugby. L’azione termina con un cross basso in area piccola di Zhirkov su cui il centrocampista entrato da poco Torbinski viene anticipato all’ultimo dal centrale in scivolata. È almeno la terza azione da gol arrivata in area piccola in cui non riesce ad arrivare soltanto il tiro.
Nel finale arriva il pareggio di Van Nistelrooy con un colpo di testa dopo una punizione lunga calciata da Sneijder. Qualche minuto dopo c’è il secondo giallo a Kolodin poi revocato perché il guardalinee ritiene il pallone uscito poco prima del suo fallo. Con l’inizio dei tempi supplementari, e la dinamica della partita improvvisamente a favore dell’Olanda, Arshavin ammetterà che aveva perso la speranza.
Anche per il migliore in campo, per quanto sbruffone possa sembrare da fuori, ci sono momenti in cui si sente di poter incidere e altri in cui gli sembra che gli avversari ne abbiano di più. La Russia quando vede l’inizio dei supplementari forse pensa più ai rigori che a poterla vincere, nonostante le tante occasioni avute poco prima, o proprio per questo motivo: «Alla fine della partita Kolodin è stato espulso, ma poi annullata l’espulsione e c’è stato anche il pareggio di Van Nistelrooy. In quel momento ho pensato che era veramente finita per noi, che avremmo perso la partita. Ma come sappiamo la squadra ha in qualche modo trovato qualcosa da tirare fuori anche nei tempi supplementari».
A dire il vero a vederla anche nel primo tempo supplementare la partita è apertissima e l’azione migliore ce l’ha comunque la Russia, ovviamente con Arshavin. Viene a perdersi il pallone a centrocampo e parte in conduzione fino all'area avversaria dopo, essere passato attraverso van Bronckhorst, van der Vaart e Torbinski questa volta solo davanti alla porta per un tiro strozzato sul portiere. La sua è una di quelle azioni personali che sarebbero difficili a inizio gara e non sembrano proprio possibili al minuto 98 di gioco.
Da quel momento l’Olanda non sembra più avere la forza mentale di giocare; il resto dei tempi supplementari sono continue azioni della Russia, coronate dal gol di Torbinski su assist di Arshavin dopo una conduzione iniziata a centrocampo. Questa volta il numero 10 punta l’avversario partendo dal mezzo spazio di sinistra; l’avversario gli nega il centro, ma Arshavin prima di arrivare sul fondo copre il pallone col corpo e si ricava lo spazio per un cross di sinistro alto a sorvolare tutta l’area piccola e trovare sul secondo palo libero Torbinski.
Un passaggio pre-assist, un assist e pochi minuti dopo anche il gol del 3-1, smarcandosi su una rimessa laterale con un taglio profondo dentro-fuori per poter ricevere dietro la linea difensiva e calciare sul primo palo teso sotto le gambe di van der Saar, che a fine partita si è dovuto pure difendere dall’accusa di aver subito due gol nei supplementari: «non mi sento in colpa per nessuno dei gol presi. I russi erano più forti di noi. Sì, è triste ammetterlo, è impensabile, ma siamo stati battuti come scolaretti. Ora sono in uno stato strano, non voglio più giocare a calcio, è stato molto doloroso e umiliante».
Quando esulta si porta l’indice portato davanti alla bocca a zittire i critici, la stessa esultanza che accompagnerà poi Arshavin per il resto della carriera, la sua sineddoche.
Ovviamente rimane il rimpianto di aver visto questo giocatore solo raramente, ma basta quella partita a renderlo leggendario nel calcio russo. Come ricordato da Hiddink qualche anno dopo la partita: «Arshavin è al livello delle leggende del calcio russo, come Lev Yashin o Oleg Blokhin. Sì, quest'ultimo non è affatto russo, ma all'epoca non era così importante. Poi Alexander Borodyuk, che è stato un giocatore fantastico. Andrei fa parte di questa lista, è una superstar».
Scrive l’inviato del Guardian per la partita Richard Williams: «Tre settimane fa pochi si sarebbero potuti immaginare che sarebbe stato Arshavin il giocatore da copertina del torneo tra i 368 presenti in Austria e Svizzera. Cristiano Ronaldo, Karim Benzema e Luka Modric erano i nomi sulla bocca di tutti prima dell’inizio del torneo, ma sono ora fuori, portanodosi dietro vari livelli di delusione. Mentre Arshavin è quello ancora in corsa, avendo acceso l’immaginazione e raggiunto i cuori dei tifosi su tutto il continente».
Nella partita successiva, la semifinale con la Spagna, gli avversari si dimostrano troppo forti ed eliminano la Russia. La squadra viene accolta al ritorno con Arshavin e Hiddink in testa da eroi nazionali. Tuttora il miglior giocatore e il miglior allenatore che la Russia post URSS ha avuto. Quando qualche mese dopo gli chiedono come si è sentito al ritorno da eroe in Russia, com’è cambiata la sua vita. A questo punto potete già immaginare la risposta: «Non ho provato nulla di particolare, nella mia città ero già popolare da tanti anni».