L’ultimo decennio dell’Arsenal è stato così decadente che anche i trofei vinti (pochi) o gli acquisti intriganti (alcuni) non hanno fatto cambiare minimamente idea sul suo declino, una squadra inserita oggi tra le big six della Premier più per i fasti del passato e lo stile che non per merito. Anche la sua presenza nella dozzina di squadre coinvolte nel progetto Superlega era sembrata quasi stonata, solo per lo stadio nel centro di Londra e per quell’idea che tutti simpatizziamo per l’Arsenal, una squadra troppo cool per restare fuori. Lo ha capito anche l’Adidas che ormai da un po’ di anni non fa che tirare fuori maglie con richiami al passato, omaggio diretto ai modelli degli anni ‘90 per aggrapparsi alla nostalgia dei tifosi (maglie sempre molto belle, c’è da dire).
Solo qualche mese fa scrivevamo dell’empasse in cui si trovava l’Arsenal di Arteta. Alla seconda stagione piena alla guida della squadra le cose sembravano peggiorare rapidamente: i Gunners avevano avuto una delle peggiori partenze della loro storia recente, con una sconfitta per 5-0 contro il Manchester City alla terza giornata con un solo tiro (zero in porta) che aveva mostrato in maniera lampante lo scarto dai migliori.
In quel momento l’allenatore era stato vicino all’esonero, ma la dirigenza aveva respinto la tentazione, anche perché sarebbe stato difficile trovare un allenatore di alto livello libero e disposto a prendere una squadra disastrata. L’Arsenal ha vacillato come un giunco nella tempesta, ma poi ha trovato la sua strada e ora il futuro sembra più luminoso.
Certo, l’Arsenal è l’Arsenal e la sua stagione potrebbe precipitare rapidamente - viene da un solo punto nelle ultime due partite di Premier League, più una terza rimandata per via delle troppe assenze tra Covid, infortuni e convocati nella Coppa D’Africa e nel mezzo è stato anche eliminato dal modesto Nottingham Forest in FA cup - ma mai come in questo momento la fiducia intorno al progetto e all’allenatore è alta (c’è già chi parla di rinnovo). Come ha scritto Jonathan Liew sul Guardian: «A Natale 2020 erano 15esimi e ampiamente ritenuti in lotta per la retrocessione. Ogni volta, data l'inesperienza di Arteta e la rabbia dei tifosi, esonerarlo era probabilmente la cosa più facile da fare. Invece l'Arsenal non ha semplicemente sostenuto il suo allenatore, ma ha sostenuto la sua visione».
Nella prima metà di gennaio l’Arsenal ha giocato alla pari con il Manchester City, resistendo alla sua pressione e sporcandogli la costruzione della manovra come pochissime squadre erano riuscite a fare questa stagione e passando anche in vantaggio prima di perdere la partita allo scadere anche a causa di un'espulsione.
Qualche giorno dopo, in Coppa di Lega, è stata la prima squadra della stagione a mantenere la porta inviolata ad Anfield contro il Liverpool. Lo ha fatto in una partita in cui è stata costretta a giocare in 10 minuti per oltre 60’, dovendo quindi solamente difendersi. Una prestazione inaspettata, l’Arsenal che mostra una compattezza irreale, che è perfetta negli scivolamenti difensivi e negli aiuti. Lo stesso Arteta al termine della partita si era lasciato andare come se avesse vinto un trofeo: «Se sei disposto ad aiutare la tua squadra, disposto ad accettare che in alcuni momenti non giocherai il calcio che vorresti, allora accadranno buone cose. Quando si gioca con questo spirito, lotta e fratellanza intorno alla squadra, alla fine si viene premiati. Questo è quello che è successo oggi».
Con quattro vittorie consecutive a dicembre l’Arsenal si è portato in piena corsa per un posto in Champions League, che si giocherà con squadre sulla carta più attrezzate come il Manchester United e il Tottenham e anche con il più sorprendente West Ham che ha battuto proprio nello scontro diretto giocato a metà dicembre. In termini di risultati, insomma, sembra già aver migliorato non solo rispetto al tremebondo inizio di stagione, ma anche rispetto alla scorsa, chiusa fuori dalla coppe europee per la prima volta in 26 anni. L’Arsenal sembra una squadra costruita con un senso e ha un gruppo giovane che si diverte a giocare assieme tirando fuori un calcio fresco e, se in giornata esaltante,.
Certo l’Arsenal non è la squadra da incubo vista all’inizio, per rosa e talento, e aver recuperato da quella crisi sarebbe il minimo, ma è innegabile che in questi mesi il lavoro di Arteta ha iniziato a essere incisivo, risultando fondamentale per risollevare la situazione attraverso scelte di mercato, scelte tattiche e gestione dello spogliatoio.
Il tecnico spagnolo ha un carattere spigoloso e uno sguardo ombroso, nell’ambiente è considerato un secchione, si è formato alla corte di Guardiola, il tipo di allenatore che vuole essere sempre il più preparato possibile. Aver vinto i primi trofei dall’addio di Wenger gli ha permesso di avere sempre più potere all’interno di un club importante come l’Arsenal, nonostante sia uno degli allenatori più giovani tra i cinque maggiori campionati. Arteta infatti non è solo quello che sceglie la formazione, ma viene consultato attivamente anche in decisioni che hanno a che fare con il club in generale o con la costruzione della rosa. Coinvolto attivamente durante il mercato come un manager vecchia scuola, è stata la sua determinazione a convincere la società a spendere 60 milioni per assicurarsi Ben White, difensore centrale del Brighton, e circa 30 milioni per il portiere Ramsdale dal retrocesso Sheffield Wednesday (e fatto preferire Tomiyasu dal Bologna rispetto ad Emerson Royal dal Barcellona). Prezzi totalmente fuori mercato per due calciatori che non sono neanche titolari in Nazionale, ma che invece hanno avuto un impatto immediato (così come Tomiyasu) sia in campo che in termini di alchimia dello spogliatoio. Dal loro arrivo si è passati dal prendere 9 gol in 3 partite (di cui 2 con il neopromosso Brentford) al reggere l’urto di City e Liverpool.
Come sottolineato da Arteta stesso: «Si vede che si divertono davvero a giocare insieme, che la chimica è lì, presente, e questo è un enorme extra quando si sta cercando di costruire qualcosa». È proprio nel lavoro di costruzione della rosa dove è più evidente l’idea dell’allenatore: giocatori preparati nelle giovanili e profili compatibili con le sue richieste, più che nomi di grido. La scelta di puntare su un giocatore del Bologna come terzino titolare è la più lampante in questo senso.
Nonostante l'età media più bassa della Premier (24,2 anni), l’Arsenal è una squadra organizzata, in grado di essere fluida in base all’avversario che si trova davanti. Arteta ha fatto un buon lavoro nel preparare un gioco di costruzione pulito e una pressione efficace, come era lecito aspettarsi da un ex vice di Guardiola. Anche per questo lo spagnolo vuole una squadra così giovane: il gioco di posizione non è una tattica di schemi e giocate ripetute, ma piuttosto una serie di principi da introiettare, che devono diventare parte della rosa. Per farlo c’è bisogno di tempo e soprattutto di giocatori modellabili, senza esperienza pregressa in sistemi differenti.
Arteta quindi sta lavorando in maniera più profonda di un semplice allenatore, sta tentando di fare un lavoro pedagogico sui calciatori ma anche sull’identità del club. Un lavoro che ha portato evidenti miglioramenti nei due talenti più interessanti della squadra, cresciuti proprio nel settore giovanile, ovvero Saka e Smith Rowe.
Il suo Arsenal non è una squadra con delle peculiarità evidenti, proprio perché è in grado di adattarsi all’avversario. La gioventù è un pregio, ma può essere anche un limite: l’Arsenal può alternare nel giro di pochi giorni prestazioni esaltanti (come contro il West Ham) a partite sotto ritmo (come contro l’Everton). La classifica e le statistiche risentono ancora dell’inizio schioccante, ma si stanno aggiustando: sia la differenza reti che quella degli xG è positiva. L’Arsenal è settimo in Premier per gol ogni 90 minuti (1.57, con le tante partite saltate in Premier per il Covid è difficile prendere dati che non siano per 90 minuti), sesta per gol concessi (sempre ogni 90’); terzo per tiri a partita (14.6) e per tiri subiti (10.9).
Niente per cui invocare il ritorno degli Invincibili, ma guardando le ultime partite è evidente come i calciatori stiano guadagnando una maggiore sicurezza nei propri mezzi, convinti dalle idee dell’allenatore. Certo ancora non riesce sempre a stare sul livello delle migliori - ad esempio contro il Liverpool in campionato il sistema di pressing ha fallito miseramente - ma contro squadre meno organizzate riesce a creare occasioni con una precisione nei passaggi e nei movimenti che sembra uscita da un videogioco, come in questo gol.
L’Arsenal di Arteta aveva mostrato già dopo pochi mesi di poter passare dalla propria area a quella avversaria palla a terra, ma l’innesto dei nuovi giocatori ha reso più efficace la manovra. Il portiere Ramsdale è tranquillo col pallone tra i piedi come non è mai sembrato in carriera, il centrale White si muove a testa alta per trovare il compagno giusto, così come il compagno di reparto Gabriel, i due terzini si posizionano asimmetrici sul campo con Tomiyasu a destra e Tierney a sinistra e il fronte offensivo si alterna tra movimenti incontro e in profondità con grande fluidità per finire col disegnare in campo quel 3-2-5 sempre più usato dalle squadre che vogliono creare con il pallone tra i piedi.
L’Arsenal punta ad avere sempre ampiezza e profondità sugli esterni, mentre centralmente le posizioni non sono così nette. Al centro il triangolo composto da Xhaka e Thomas Partey alla base e con Odegaard come vertice alto è molto fluido, con continui scambi di posizione che cambiano la struttura della squadra in fase di possesso. Il 4-2-3-1 o 4-4-1-1 lo si rivede solo in fase di difesa posizionale, quando la posizioni si ricompongono.
Le ali, Martinelli a sinistra e Saka a destra, danno ampiezza in fase di costruzione dal basso e poi la profondità, anche nel mezzo spazio, se il terzino sale lungo la fascia (come spesso nel caso della fascia sinistra se gioca Tierney). Non devono quindi puntare sempre l’uomo per arrivare sul fondo e crossare, ma alternare le loro scelte; chiedere il pallone sui piedi e attaccare la difesa avversaria, tagliare alle spalle partendo dall’esterno per ricevere al centro, aiutare il palleggio posizionandosi tra le linee.
Per dire: Gabriel Martinelli è il giocatore che tenta più dribbling a partita della squadra (2,4) e sono comunque meno della metà rispetto alle ali dribblomani della Premier come Saint-Maximin del Newcastle, Adama Traoré del Wolverhampton o Raphinha del Leeds. Prendendo tutta la squadra, l’Arsenal è diciassettesimo per numero di dribbling tentati a partita (15.5). Le ali devono ricevere al momento giusto e non perdere il pallone quando ce l’hanno. Può sembrare una richiesta semplice, ma c’è un motivo se un giocatore su cui hanno investito tantissimi soldi come Pepe è diventato una riserva da novembre. La sua monodimensionalità (preferisce ricevere solo il pallone sui piedi e poi rientrare nel campo in conduzione per tirare o passare) gli è costata il posto.
Arteta è un allenatore che dà fiducia a tutti, ma allo stesso tempo può toglierla a tutti. L’esempio più concreto è quello di Aubameyang, passato dall’essere titolare e capitano all’essere degradato e fatto fuori nel giro di una settimana, per questioni extra campo che non sono piaciute al suo allenatore.
È molto facile passare dal campo alla panchina e ci vuole tempo per riguadagnare la fiducia di Arteta, come successo anche a Odegaard. Questo atteggiamento tagliente può essere visto come distruttivo, ma dall’altra parte lo spinge a responsabilizzare i più giovani della rosa. La scorsa stagione è successo con Smith-Rowe, quest’anno sta succedendo con Martinelli, passato dal dimenticatoio al ruolo di titolare inamovibile al posto di Aubameyang. Un posto che ha conservato perché è stato rapido nel capire le richieste dell’allenatore. In 7 partite giocate da titolare a dicembre, Martinelli ha servito 2 assist e segnato 3 gol, come quello contro il West Ham su assist di Lacazette che mostra bene un meccanismo che Arteta vuole sempre in funzione tra la punta che si abbassa in zona di rifinitura e l’esterno che dia la profondità.
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L’Arsenal va in porta con due passaggi in verticale dal centrale Gabriel al taglio di Martinelli tra terzino e centrale avversario, passando per Lacazette che viene incontro e agisce da rifinitore sulla trequarti.
Ma il vero cambiamento, rispetto a inizio stagione, è avvenuto in come la squadra lavora senza palla, in come riesce a modulare la pressione a seconda delle necessità. In questa stagione preferisce mantenere la linea difensiva a 4 modificando l’assetto di centrocampo e attacco in base allo schieramento avversario. Può usare un 4-4-2 o un 4-4-1-1 dove solitamente a cambiare è la posizione di Odegaard, che si alza in linea con la punta Lacazette per andare sul secondo centrale o si posiziona più basso a schermare la ricezione del centrocampista che scende, ma quello che cambia veramente è l’altezza del blocco difensivo, che può alzarsi o abbassarsi a seconda del tipo di pressione che vuole portare.
Qui un esempio contro il City in cui i movimenti coordinati di Lacazette e Odegaard spingono Laporte a passare al proprio terzino sinistro Akè. Una volta ricevuta palla Akè si trova Saka lanciato contro e col centrocampista Rodri schermato da Odegaard decide passare in verticale all’ala destra Sterling libero lungo la sua fascia. Lì è dove l’anticipo di Tomiyasu permette il recupero col passaggio per Odegaard che può riciclare il possesso.
La strada per migliorare ancora non può passare però solamente dalla crescita interna di una rosa giovane, l’Arsenal ha le risorse per fare un mercato importante, anche in maniera oculata, ma riuscendo a migliorarsi. In questa sessione invernale è stato scelto di non spendere, anzi finendo per indebolirsi, visto che la partenza di Aubameyang (anche se non era più in rosa) non è stata rimpiazzata. In estate, anche in base a cosa accadrà nei prossimi mesi, si darà la caccia ai profili necessari che sembrano essere una nuova punta da far giocare al posto di Lacazette (che molto probabilmente lascerà a contratto scaduto in estate), tanto importante nella manovra quanto poco incisivo in area e un nuovo centrocampista titolare al posto di Xhaka, forse il profilo che più aderisce a questi anni di Arsenal, con difetti e pregi troppo evidenti e che soprattutto non ha fatto il salto di qualità ipotizzato
Per l’attacco il primo nome era quello di Dusan Vlahovic, passato però alla Juventus; altri nomi sono quelli di Isak della Real Sociedad e Jonathan Davies del Lille, due giovani dal futuro potenzialmente molto brillante. A centrocampo i nomi più gettonati sono quelli di Arthur Melo della Juventus e Youri Tielemans del Leicester, a mostrare come il profilo scelto da affiancare a Thomas Partey è sempre quello “alla Xhaka”, ovvero un centrocampista in grado di gestire il pallone fin dal primo passaggio, con però rispetto allo svizzero più margini di crescita non soltanto per via dell’età.
L’Arsenal sembra abbia scelto di rimanere fedele alle proprie idee, sposare un progetto di cui Arteta è il punto di riferimento principale. Nel mondo del calcio la progettualità è un’arma a doppio taglio, perché spesso si vuole tutto e subito, soprattutto per una squadra dal palmares e il blasone dei Gunners. Eppure dobbiamo ricordarci che addirittura il lavoro di Klopp e Guardiola, nei primi anni in Premier, era stato schernito perché non aveva portato immediatamente le vittorie sperate. Col tempo, però, hanno creato due delle migliori squadre al mondo.
Difficile dire se Arteta riuscirà a compiere lo stesso percorso, anche perché l’Arsenal parte più indietro e a livello di mercato sembra avere meno appeal delle rivali, per cui sarà difficile costruire una rosa di quel livello. La strada, comunque, è segnata: una squadra preparata, un gruppo giovane che si identifica con le idee del proprio allenatore, un ambiente che è disposto ad aspettare, almeno sembra, e che riesce a guardare il buono anche in una sconfitta. Questo è quello che chiedevano i tifosi e questa è la speranza a cui si stanno aggrappando, per tornare per la prima volta davvero competitivi dopo troppo tempo.