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Arteta sta diventando il nuovo Mourinho?
06 nov 2024
Le difficoltà dell'Arsenal stanno indurendo l'allenatore basco.
(articolo)
12 min
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IMAGO / Every Second Media
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Dopo il pareggio tra l’Arsenal e Liverpool del 27 ottobre, Jamie Carragher, ex giocatore del Liverpool e ora rispettato analista a Sky Sports, ha detto una cosa interessante. «Dato che Mikel Arteta ha lavorato con Pep, tutti pensiamo che sia un discepolo di Guardiola. Ma se consideriamo i due allenatori di maggior successo degli ultimi 10-15 anni, cioè Guardiola e Mourinho, penso che Mikel Arteta si stia lentamente trasformando in un allenatore più simile al portoghese».

La valutazione di Carragher, in realtà, non è isolata ed emerge in una sensazione generalizzata nei confronti di Arteta, che sembra andare sempre più verso un calcio reattivo. «Erano in vantaggio per 2-1, pressavano il Liverpool e stavano giocando bene, ma hanno arretrato il baricentro nel secondo tempo», ha contestualizzato Carragher, «so che hanno avuto un paio di infortuni in difesa, ma hanno comunque i giocatori a centrocampo e in attacco per provare ad uscire dalla pressione e attaccare nella metà campo avversaria. L'istinto a proteggersi viene dall’allenatore, ma sta accadendo troppo spesso».

Negli ultimi mesi Arteta è sembrato invecchiare rapidamente e oggi dimostra più dei suoi 42 anni. Non sembra più uno dei tecnici più giovani della Premier League. La capigliatura compatta e nera da omino della Lego sta piano piano mostrando qualche capello bianco qua e là, e il suo conservatorismo tattico sembra emergere dalle rughe sul volto. L’allenatore basco nel campionato inglese è uno di quelli in carica da più tempo nella stessa squadra. Con l’Arsenal ha vinto subito un trofeo (la FA Cup 2019/20), ma ha soprattutto riportato la squadra a lottare in pianta stabile per il titolo e a rientrare nel novero delle migliori squadre al mondo. Per due stagioni di fila, però, il suo Arsenal è arrivato secondo dietro a un avversario che sembrava imbattibile, incapace di fare l’ultimo passo necessario per vincere il titolo. E questa lunga rincorsa che sembra non avere fine potrebbe aver logorato le sue convinzioni giovanili, aver crepato da dentro il suo entusiasmo.

Dopo 10 partite l’Arsenal ha 6 punti in meno rispetto alla scorsa stagione e addirittura 10 rispetto a quella ancora precedente. Dopo un buon inizio di stagione, nelle ultime tre partite giocate l’Arsenal ha raccolto solo un punto. Certo, il calendario non è stato clemente. L’Arsenal ha già affrontato Liverpool, Manchester City, Aston Villa e Tottenham, le ultime tre in trasferta, e due sconfitte sono arrivate su campi complicati, come quello del Bournemouth e del Newcastle. E questo senza contare l’inferiorità numerica con cui ha dovuto convivere in tre partite e i molti infortuni che l’hanno costretto a ridisegnare la linea difensiva contro il Liverpool, con giocatori adattati e molte riserve.

Tra squalifiche e infortuni, Arteta non ha mai potuto schierare il suo Arsenal migliore, ed è stato costretto a ragionare partita per partita. Per dire, quello che dovrebbe essere il regista offensivo, cioè Martin Odegaard, ha giocato solo tre partite in Premier League e in quel ruolo l’Arsenal non ha giocatori al suo livello o con caratteristiche simili (escluso il diciassettenne Ethan Nwaneri a cui però Arteta non ha voluto addossare troppe responsabilità così presto). Il centrocampista centrale arrivato in estate, Mikel Merino, si è infortunato in allenamento prima ancora di debuttare e l’ha fatto solo ad ottobre, a stagione ampiamente iniziata. Entrato Merino nell’undici titolare è subito uscito l’altro acquisto estivo, Riccardo Calafiori, che pure stava rendendo bene e stava diventando molto importante nella gestione del pallone da terzino sinistro.

Forse quindi è questa concatenazione di problemi che ha impedito ad Arteta di mettere in campo il suo Arsenal ideale. Ma l’idea che si sta facendo strada in questo momento è un’altra: e se in fondo fosse proprio questo l’Arsenal che aveva in mente fin dall’inizio? Una squadra cioè reattiva e che cerca di minimizzare i rischi. Alla fine, se ci pensiamo, che senso ha provare ad essere una copia carbone del Manchester City se l’originale sembra insuperabile?

Arteta voleva superare la squadra di Guardiola (che pure ha battuto nello scontro diretto la scorsa stagione) lavorando sui margini. Per esempio migliorando nella capacità di vincere i duelli individuali o aumentando la propria efficienza sui calci piazzati. Per questo nelle ultime sessioni di mercato Arteta ha chiesto giocatori versatili e/o mostri nell’uno contro uno, come Calafiori, Rice, Merino e Havertz. Giocatori forti fisicamente e capaci di fare più cose in zone diverse del campo, che sono andati a sostituire giocatori magari più tecnici ma meno prestanti atleticamente o comunque meno adattabili come Zinchenko, Jorginho e Gabriel Jesus. Anche questa è stato vista come una mossa “alla Mourinho”, un allenatore che in Premier League puntava molto su giocatori simili a granatieri a cavallo (qui su Ultimo Uomo, nel 2018, paragonavamo i giocatori del suo Manchester United a mobili dell’IKEA) e sui piccoli dettagli che possono svoltare strategicamente una partita.

Per Arteta uno di questi piccoli dettagli sono i calci piazzati. C’è da dire che è una tendenza che riguarda tutta la Premier League, dove l’approccio sta diventando sempre più simile a quello della NFL, dove le diverse fasi di gioco, soprattutto quelle statiche, sono pensate nei minimi dettagli con coach specializzati. Attacco, difesa, palle inattive. Quando Arteta si è unito ai “Gunners”, ha portato con sé Nicolas Jover, che era assistente al Manchester City, proprio per migliorare quest’ultimo aspetto, che col tempo ha assunto un peso sempre maggiore nel gioco dell’Arsenal. Che sia da calcio d’angolo, punizione o rimessa laterale poco cambia: salgono le torri, iniziano i blocchi, trascinamenti, movimenti verso il secondo palo o a schermare il portiere. Poi sul cross arriva il colpo di testa vincente di uno dei centrocampisti o dei centrali. 

Il suo Arsenal è sempre meno armonioso nella manovra, ma sempre più bravo a vincere duelli e a minimizzare le occasioni avversarie. Una squadra sempre più camaleontica. “Questa capacità di adattamento lo rende un allenatore raro e molto diverso da Arsene Wenger”, ha scritto The Athletic, che ha ricordato come l’intransigenza dell’allenatore francese ad adattarsi all’avversario contro grandi squadre sia anche costata sconfitte pesanti (come l’8-2 contro il Manchester United nel 2011 e il 6-0 contro il Chelsea nel 2014).

Persino durante questa stessa stagione Arteta è sembrato indurirsi di partita in partita. Dopo le prime due vittorie stagionali è arrivato il pareggio contro il Brighton, segnato dall’espulsione molto discussa di Declan Rice al 49’ per aver leggermente allontanato il pallone (e con la squadra in vantaggio per 1-0). Poi è arrivata la vittoria contro il Tottenham e soprattutto il famoso pareggio contro il Manchester City con un’altra espulsione (questa volta Trossard, per aver calciato in aria un pallone nel recupero del primo tempo con la squadra in vantaggio per 2-1). Dell’approccio ultradifensivo adottato da Arteta dopo quell’espulsione abbiamo scritto al tempo, sottolineando come la decisione di non schierare nemmeno una punta dopo il rosso sia stata insolita. Avere almeno un attaccante serve infatti “non solo per provare a ripartire – prospettiva che, realisticamente, Arteta ha preferito eliminare dall’equazione – ma anche per il lavoro di schermatura di fronte al centrocampo”.

La mossa però ha funzionato e non era scontato contro il Manchester City di Guardiola. Certo, c’è voluto un ampio uso di quelle che in Inghilterra hanno chiamato “dark arts”, cioè quella “magia nera” fatta di capacità di giocare col cronometro, con l’intervento di medici e massaggiatori, e contrasti duri e provocatori per far uscire gli avversari dalla partita, ma ha funzionato (almeno fino al 98’, quando è arrivato il gol di John Stones). Dopo la partita, l’ennesima che il City non riusciva a vincere contro l’Arsenal di Arteta, i giocatori di Guardiola sembravano sotto shock per come avevano giocato i propri avversari. «C’è stata solo una squadra che ha giocato a calcio, l’altra ha giocato al limite del regolamento col consenso dell’arbitro», ha detto Bernardo Silva.

Quando la scorsa stagione l’allenatore del Tottenham, Ange Postecoglou, ha chiesto alla sua squadra di restare con la linea alta pure in 9 contro 11 era stato sbeffeggiato da molti. Soprattutto perché poi la partita si era chiusa con una sconfitta per 1-4. Postecoglou, però, voleva dire alla squadra di rimanere fedele ai principi anche nelle avversità. "Secondo Istvan Beregi, match analyst della federazione ungherese, la strategia apparentemente suicida del Tottenham ha senso anche a un livello più razionale, “da un punto di vista strategico e d’allenamento”: “Di sicuro la tua squadra sa fare meglio ciò che stai allenando”. Se si fosse messo a difendere basso in area, quindi, il Tottenham forse si sarebbe arreso molto prima, in un contesto in cui non è abituato a giocare", ha scritto in quell'occasione Dario Saltari. È qui il nocciolo della questione: l’Arsenal di Arteta sulla carta avrebbe potuto affrontare la stagione come Postecoglou. Ne aveva i mezzi, tecnici e tattici; Arteta però ha scelto di costruire una squadra versatile nell’approccio. Ai limiti dello scorretto se serviva.

"Arteta ha senza dubbio imparato molto dal manager del City, ma sembra concentrarsi sull'aspetto difensivo del gioco", hanno scritto su The Athletic, notando che l’Arsenal è bravo a cambiare struttura difensiva nello schieramento, adattandosi all’avversario. In fondo Arteta era lo studente modello, il consigliere tattico del City; colui che passava la notte a modellare le strategie sull’avversario di turno. All’Arsenal ha semplicemente proseguito su questo approccio. E così l’Arsenal è leggermente cambiato, sotto ai nostri occhi, senza però che ce ne rendessimo del tutto conto. La squadra proattiva, col suo gioco di posizione perfetto e il pressing feroce, è diventata una squadra specializzata nel minimizzare i rischi e perfezionare le transizioni. Un Arsenal che subisce pochi gol, che ha chiuso lo scorso anno da migliore difesa del campionato. Le 29 reti subite sono 14 in meno della precedente, quando era già stata la terza difesa meno battuta.

Allora forse dovremmo cambiare la nostra percezione di Arteta. Non più lo studente modello, il discepolo, il figlioccio di Guardiola, ma il suo antagonista - non solo competitivo ma anche filosofico. Un allenatore pragmatico, dai mille compromessi, ma così difficile da incasellare con l’estremismo delle opinioni di oggi - dove tutto deve stimolare engagement. La figura di Arteta non è facile da incasellare, e qualcuno si è lasciato tentare dal descriverlo come l’antagonista storico di Pep, il suo opposto ideologico: Josè Mourinho.Non solo Mourinho. Arteta è stato paragonato anche a David Moyes e George Graham, l’allenatore dell’Arsenal vincente tra gli anni ‘80 e ‘90. La squadra poco interessata allo spettacolo e costruita innanzitutto attorno ad una difesa arcigna, ancora ricordata dal coro ironico che oggi i tifosi scandiscono non appena l’Arsenal passa in vantaggio: “one nil, to the Arsenal”.

Strano, per l’Arsenal di Wenger, ha ridipinto col suo fascino continentale, il gioco offensivo e un po’ svampito, i talenti delicati e così artistici. Arteta, creato da Wenger, sembra voler dismettere il DNA che Wenger stesso ha costruito. Come se per provare a tornare vincere l’Arsenal dovesse sconfessare la cifra stilistica che le apparteneva e tornare a un’epoca britannica. Rinunciare alla “Arsenal way”, una squadra che gioca fin dalle giovanili con un calcio sempre offensivo e associativo, che premia tecnica e velocità.

Eppure Arteta sembrava lavorare in questo solco, nella sua prima versione del suo Arsenal.

In realtà dietro le quinte era chiaro da subito che Arteta fosse una persona molto meno idealista di quanto potesse apparire, ossessionato dal lavoro e dalla tattica sì, ma molto interessata soprattutto ad aggiungerci il lavoro nei margini, in quelle cose intangibili che secondo lui aiutano a creare una mentalità vincente. Di aneddoti in tal senso ce ne sono una caterva, alcuni francamente ridicoli.

Nella sua seconda stagione ha messo gli altoparlanti con i cori del Liverpool a tutto volume durante un allenamento pre-partita ad Anfield; ha adottato un cane chiamato “win” da far girare per il centro sportivo; ha assunto un ladro per rubare gli oggetti nello spogliatoio ai giocatori e fargli capire quindi di dover stare sempre allerta. Ha fatto persino giocare i suoi giocatori a una versione modificata di Pictionary: «Questo è Mikel. Quando parla con persone di un altro mondo, cerca di pensare a come tradurlo nel calcio, anche con un pilota» ha detto Kevin Balvers ex capo della Metodologia dell’Arsenal: «Abbiamo avuto una presentazione in cui parlava del fatto che non avevano il controllo dell'aereo ogni singolo minuto perché alcune cose erano automatizzate e dovevano solo adattarsi. Abbiamo avuto una presentazione con un aereo che saliva quando si affrontava un pressing alto e un altro che scendeva quando si doveva controllare il gioco. Questo per dire che potrebbe essere necessario cambiare tattica durante il match. Un modo di ragionare da Tech bro della Silicon Valley che Arteta ritiene necessario per cambiare la mentalità della squadra. Sottrarla dalla fama di Arsenal bello e perdente, in grado di rivaleggiare contro gli squali del Manchester City. Nella serie Amazon All Or Nothing Arteta ha parlato del suo desiderio di negare alla squadra avversaria il pallone nelle tasche centrali e nei mezzi spazi, scherzando anche sul fatto che avrebbe multato i suoi giocatori di 5.000 sterline ogni volta che l'avversario avesse avuto il possesso in quelle aree prima di una partita contro il Wolverhampton.

Un modo di influenzare la squadra a tutto tondo che ha permesso a molti giocatori di raggiungere la propria versione migliore. Uno di loro è stato Granit Xhaka: «Ho avuto molti giorni bui. Mikel mi ha risollevato e mi ha fatto tornare a giocare al livello in cui ho sempre saputo di poter giocare. Era sicuro delle mie qualità e non si preoccupava di quello che dicevano gli altri. Mi ha salvato». Arrivato per salvare l’Arsenal dalla stagnazione, Arteta ci è riuscito rapidamente. Per poter fare l’ultimo passo ha scelto di sconfessare in parte anche sé stesso: «Questo è lo sport, vieni messo al tappeto, ti trovi in una posizione difficile, ti senti malissimo e in poche ore devi iniziare a rialzarti, a trovare soluzioni, a lavorare di più e a metterti in gioco, trovare soluzioni, lavorare di più e darsi da fare».

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