Negli ultimi anni pochissimi centrocampisti centrali tra quelli cresciuti calcisticamente in Brasile sono arrivati nelle grandi squadre europee senza essere passati per una tappa intermedia che li aiutasse ad adattarsi al calcio europeo di alto livello. Per fare alcuni esempi tra i migliori, oggi: Allan è passato dall’Udinese, Fernandinho è passato dall’Ucraina; Casemiro dalla squadra B del Real Madrid, prima, e dal Porto, poi; Fabinho, ora al Liverpool, è stato effettivamente bocciato dal Real Madrid dopo la stagione in seconda squadra ed è quindi passato per il Rio Ave, in Portogallo, prima di andare al Monaco.
Dato che parliamo di giocatori calcisticamente comunque formati, con almeno un paio di anni di esperienza in prima squadra in Brasile alle spalle, si tratta probabilmente di un necessario adattamento al calcio del vecchio continente, in cui cambiano principalmente i ritmi di gioco e gli spazi in campo. Non è solo una questione di tecnica, quello che cambia è che l’esecuzione del singolo gesto, che deve essere più veloce, portando di conseguenza anche i tempi di reazione a disposizione ad essere inferiori.
Arthur Melo, alla sua prima stagione in un grande d’Europa, si sta rivelando la grande eccezione. Nato a Goiânia, capitale dello stato del Goiás che si trova nell’entroterra brasiliano, in quella zona denominata Planalto Central, l’enorme altopiano dove venne deciso di costruire la capitale Brasilia, Arthur non proviene dal calcio di strada. La sua città è della provincia brasiliana bianca, dove i talenti vengono instradati da subito nella scuole calcio: per dire, lui è stato iscritto alla scuola calcio dall’età di 4 anni.
Cresciuto nelle giovanili del Goiás, a 14 anni sceglie di fare un salto di livello e passa nelle giovanili del Grêmio. Significa un trasferimento a 2000 chilometri da casa. Così si descrive nel 2015, al momento di salire in prima squadra del Grêmio (da diciottenne, per volere dell’allenatore Scolari): «Sono un giocatore tecnico che si occupa della costruzione della manovra. Provo sempre a capire il sistema di gioco, così da distribuire il gioco e guidare il tempo dell’attacco».
Ci metterà due anni, però, per diventare titolare, grazie all’allenatore Renato Portaluppi (l’ex giocatore della Roma a fine anni ’80). Il suo debutto in Copa Libertadores gli vale il premio di giocatore partita, con 40 passaggi fatti senza neanche un errore. Qualche mese dopo, Arthur è il regista del Grêmio vincitore della Libertadores 2017.
Quel Grêmio era una squadra che avanzava sul campo attraverso passaggi corti, in attesa del filtrante giusto, con Arthur che calamitava il pallone: i compagni vicini si appoggiavano a lui in ogni situazione, anche solo come ponte per arrivare da una parte all’altra del campo. Il che lo ha reso, appena ventenne, l’ago della bilancia della manovra della sua squadra, e anche il bersaglio principale della pressione avversaria.
Ai ritmi a cui va il calcio brasiliano, il suo controllo orientato e la sua conduzione del pallone gli permettono di eludere la pressione avversaria con tranquillità. Arthur può governare a piacimento i tempi di gioco muovendosi in verticale per il campo, scegliendo dove ricevere e dove scaricare, dopo il primo controllo. La sua capacità di resistere alla pressione avversaria lo rende realmente inattaccabile in Brasile, in cui da qualsiasi posizione riesce a creare gioco, anche con filtranti taglia linee per rendere più verticale la manovra, quando necessario.
Questo è Arthur in una semifinale di Copa Libertadores che serve una verticalizzazione filtrante d’esterno che apre la strada al compagno Cicero per un uno contro uno col portiere.
L’esordio in blaugrana
Acquistato a marzo 2018 (per di 31 milioni + 9 di bonus), dall’estate successiva ha un posto nella prima squadra del Barcellona. La dirigenza blaugrana era sicura che Arthur avesse il fantomatico “DNA del Barça”, quell’insieme di capacità tecniche e di pensiero che permettono a un giocatore di essere protagonista con il pallone tra i piedi.
L’eccezionalità di Arthur Melo, però, sta nel fatto che alla sua prima esperienza fuori dal Brasile non solo si è preso il posto da titolare nel Barcellona, ma si è reso anche indispensabile per il gioco della squadra di Valverde.
In Arthur sembravano evidenti, da subito, la capacità di resistere alla pressione avversaria e la tecnica di passaggio, con letture in grado di aiutare l’avanzamento della manovra. Il suo gioco ha avuto un impatto immediato nel Barcellona, portando Leo Messi a sottolinearne le qualità già dopo la preparazione estiva: «Tutti i nuovi giocatori sono di ottimo livello, però se devo sceglierne uno da sottolineare è Arthur. Mi ha sorpreso: è molto affidabile e sicuro».
Al suo arrivo in Catalogna, El País lo presenta come “il fondamentalista del passaggio”; viene paragonato prima a Iniesta e a Thiago Alcantara, due giocatori con cui però non condivide lo stile: Arthur è più vicino al paragone, ormai consolidato, con Xavi Hernandez.
Anche Arthur parla di Iniesta come del suo idolo, il giocatore con cui è cresciuto guardandone ne giocate, ma sembra modellato dal gioco di Xavi. Nel modo di vedere il calcio è incredibilmente xavista, basta prendere una sua risposta e notare come sembri uscire dalla testa del regista catalano: «Nel calcio, per quanto si dica, è molto più importante la testa che i piedi. Devi pensare molto rapidamente e qui in Europa, devi eseguire anche molto rapidamente. La cosa più importante è osservare cosa succede in campo per prendere la decisione giusta. Puoi essere molto forte, molto rapido, molto aggressivo, però se la testa non pensa non ti servono a niente quelle qualità».
Somiglia a Xavi anche per la muscolatura ben strutturata, soprattutto sulle gambe, e il baricentro basso, perfetto per chi deve proteggere il pallone utilizzando anche l’equilibrio. Da Xavi, poi, sembra aver preso il repertorio di finte a protezione del pallone, come il giro a 360 gradi. La celebre pelopina.
La sensibilità con cui controlla la palla è la sua qualità migliore, anche grazie al suo uso del corpo per orientare la giocata nel verso giusto, e sfuggire al tentativo di pressione senza perdere il tempo di gioco. Come prima di lui aveva mostrato bene proprio Xavi, un controllo orientato vale spesso più di un dribbling, se si gioca come mezzala.
Arthur si indirizza verso il pallone scandagliando con la testa il campo attorno a sé prima di ricevere: «In Brasile ricevi il pallone e poi ti guardi attorno, con tempo per tutto. Qui è il contrario: devi guardarti attorno prima di ricevere. E non una sola volta, devi guardare più volte».
Riesce ad utilizzare l’interno del piede per girarsi in senso anti orario; il collo come la suola, sia da fermo che in movimento, per girarsi in senso orario, con le gambe posizionate oltre la proiezione delle spalle per rimanere in equilibrio e soprattutto tenere lontano dalla palla l’intervento dell’avversario.
Ha una frequenza alta di tocchi di palla, per correggere l’andamento della palla o rubare il tempo all’avversario, che riesce appena a intravedere il pallone quando il controllo non è abbastanza preciso.
Detto, quindi, dell’incastro perfetto tra le sue qualità e quello che cerca il Barcellona in una mezzala di possesso, la grande domanda sul suo impatto riguardava (come per gli altri centrocampisti di scuola brasiliana) quanto tempo ci avrebbe messo ad adattarsi al ritmo delle giocate. Se, cioè, il suo gioco cerebrale non avrebbe risentito dell’aumento del ritmo, considerando che lui stesso ammette di non essere molto istintivo nella giocata: «Io provo ad avere in testa il passaggio che voglio fare prima di eseguirlo. Per me questa è la chiave».
Ma Arthur ha dimostrato che anche in Europa è in grado di mantenere la calma necessaria per eseguire il suo calcio al meglio. Anche se non è stata una cosa proprio immediata: «All’inizio ho avuto un po’ di difficoltà per la questione della velocità di esecuzione, però è una cosa normale». Ma dalla partita di Champions League contro il Tottenham del 3 ottobre 2018, è diventato a tutti gli effetti titolare del Barcellona, e ha cambiato le prospettive del lavoro di Valverde.
Come Arthur può cambiare il Barcellona
In questa stagione Valverde non è riuscito a dotare il Barcellona di un sistema di gioco paragonabile a quello della scorsa: a inizio stagione, con Coutinho mezzala sinistra e Ousmane Dembélé esterno d’attacco, il Barça non riusciva minimamente ad avere il controllo di quanto succedeva in campo.
Era una squadra offensiva che viveva di puro talento, e questo portava a fiammate continue e letali, ma anche ad imprevedibili transizioni difensive dopo dolorosissime perdite del pallone (troppo spesso proprio nella zona di Coutinho e Dembélé) con uno scaglionamento che lascia troppo solo Busquets al centro del campo.
Un problema che si è fatto sempre più manifesto con l’andare avanti della stagione, fino alle due partite contro Leganés e Athletic Club di fine settembre (la prima sconfitta della stagione e un pareggio), in cui Arthur Melo è rimasto in panchina tutta la gara. Queste due partite, in cui gli avversari hanno attaccato sfruttando le perdite del pallone del Barcellona, hanno probabilmente portato alla svolta di Wembley.
Dal momento in cui si è preso la titolarità, Arthur ha cambiato il sistema stesso di Valverde. Con il suo gioco aiuta a controllare il ritmo della partita, rimette ordine nel rapporto tra perdita e riconquista del pallone: il Barcellona perde meno palloni a centrocampo con Arthur, e la riconquista avviene più in alto. Arthur si muove continuamente, anche dopo un passaggio, così da rimanere sempre visibile per i compagni e rendere l’azione il più fluida possibile.
La presenza di Arthur aiuta anche i due compagni di reparto, Busquets e Rakitić, a fare meglio. Busquets può evitare di guardare sempre a sinistra dopo la perdita, come faceva con Coutinho ad inizio stagione, e Rakitić è libero di muoversi e in caso anche di avanzare seguendo la manovra, cosa per lui fondamentale visto che il meglio lo dà avvicinandosi all’area (piuttosto che abbassandosi ad inizio azione).
Arthur non si mette sempre in diagonale in avanti rispetto a Busquets, come vorrebbe la teoria, ma è libero di venire incontro al pallone finendo anche più indietro. Si muove incontro alla palla, ed è quello di cui ha bisogno una squadra che fatica altrimenti a resistere alla pressione avversaria in uscita del pallone. Arthur, in realtà, ha personalità e tecnica per intervenire dove meglio crede.
E le statistiche avanzate lo amano.
Quale futuro per Arthur
Arthur migliora di partita in partita nelle letture senza palla (aiutato anche dai consigli in campo di Busquets), ma va detto che nei secondi tempi sembra spesso a corto di fiato, il che ha portato più volte Valverde a scegliere di cambiarlo con Vidal: in una staffetta ormai consolidata, Arthur gioca la prima ora abbondante e Vidal entra nei restanti minuti per aumentare il potenziale atletico e l’aggressività del centrocampo.
Volendo trovare una cosa da migliorare dopo la sua prima stagione in Europa, forse è proprio il diminuire della lucidità con il passare dei minuti, come se i nuovi ritmi del calcio europeo non gli permettano più di un tempo di autonomia. Ed è probabilmente anche a causa del suo gioco dispendioso fisicamente e che chiede una concentrazione molto alta.
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In questo caso Arthur scende a prendersi la palla per accelerare l’uscita della difesa, mentre riceve con il corpo verso la palla, ha già lo sguardo verso la sua destra per capire se Jordi Alba è partito. Con un controllo orientato si gira e lancia subito per Jordi Alba trovandolo libero.
Arthur ha messo in mostra tutto il suo potenziale nel ritorno degli ottavi contro il Lione, forse non a caso il miglior primo tempo della stagione del Barcellona: in 74 minuti ha perso un totale di 2 palloni su 79 toccati, sbagliando solo un passaggio sui 72 fatti.
In stagione ha sbagliato solo 107 passaggi in totale, che significa sbagliarne solo 3.4 di media a partita. In tutta la stagione ha perso palla a seguito di un contrasto subito un totale di 11 volte.
Da notare anche che ad Arthur il Barcellona chiede anche di eseguire passaggi lunghi per cambiare gioco: non il lancio illuminante o l’ultimo passaggio decisivo, quanto piuttosto il passaggio che ordina la squadra attraverso una circolazione sicura e che trova il compagno libero dietro la linea di pressione con continuità. Arthur al massimo è il giocatore che fa il passaggio prima dell’assist.
Questo si è visto bene proprio contro il Lione, in occasione del secondo gol del Barcellona: Arthur viene a prendersi il pallone dalla difesa poco oltre l’altezza del cerchio di centrocampo, con una pausa attende che Messi si muova per ricevere incontro, dietro la linea del centrocampo del Lione, poi lo serve in verticale con un filtrante, muovendosi subito dopo in avanti per ricevere il pallone su un’altra linea di passaggio.
Lì riceve la chiusura del triangolo e attende il momento giusto per servire con un passaggio filtrante in diagonale Luis Suárez, che può stoppare fronte alla porta e avanzare fino a fare l’assist laterale per Coutinho libero. Arthur ha prima ordinato la manovra e poi fatto il passaggio per creare l’occasione da gol (l’hockey pass).
Il gioco di Arthur è fatto di distribuzione razionale del pallone e resistenza alla pressione: il tipo di centrocampista che il Barcellona ha cercato negli anni successivi all’addio di Xavi. Lo stesso Xavi, dopo averne visto l’inizio di stagione, ne è diventato tra i più illustri sponsor: «Se danno la possibilità ad Arthur di giocare con continuità, saremo davanti ad un giocatore che può segnare un’epoca nel Barça».