La finale femminile degli Australian Open è stata un incontro di opposti. Non semplicemente di due giocatrici molto diverse tra loro, anzi: nate a un anno di distanza, a poche centinaia di chilometri l’una dall’altra, alte quasi uguali, portate a comandare il gioco con colpi aggressivi. In realtà Aryna Sabalenka ed Elena Rybakina sono gli opposti metafisici, l’una il contrario dell’altra ma rappresentazioni della stessa realtà: il fuoco e il ghiaccio, le grida e il silenzio, la tempesta emotiva e l’inalterabile freddezza. La tigre contro la regina di Wimbledon.
Per chi non crede nei simboli, le statistiche anticipavano la finale in modo anche più estremo. Sabalenka nel 2022 era dominatrice incontrastata dei doppi falli: 428, ben 139 in più della seconda in classifica. Rybakina solo nelle due settimane di Wimbledon aveva messo a segno 53 ace, e sarebbe potuta rimanere leader della classifica se il torneo le avesse dato i punti dovuti, permettendole di avere accesso alle Finals (dove invece è stata superata da Garcia, che però ha anche molti più doppi falli).
La storia di come Aryna Sabalenka sia arrivata a vincere il primo slam, chiudendo al servizio una delle più belle finali degli ultimi anni, giocata contro un’avversaria che le somiglia ma sembrava avere tutto quello che a lei è sempre mancato, è uno dei regali più belli che potessimo ricevere dal tennis. Una tra le giocatrici con il tennis più potente e l’emotività più fragile, la più continua ad alti livelli della sua generazione e la più inaffidabile nelle partite decisive, che raggiunge finalmente il palcoscenico più importante e gioca il suo miglior tennis.
Intervistata all'arrivo in Australia, Sabalenka si era raccontata come una persona che sta lavorando su se stessa per scrivere una pagina diversa della propria storia. «Devo diventare un po' più noiosa in campo per ottenere i risultati che voglio». Che il servizio e la calma fossero i punti critici da migliorare non era un mistero, ma per alcune maturazioni non bastano i buoni consigli né la convinzione: finché non accade qualcosa dentro, la strada rimane una salita senza fine. «La tigre c’è ancora. Credetemi. La tigre c’è e sono pronta a lottare. La tigre è solo una tigre calma. Quando c’è bisogno che esca, c’è. Quando deve stare calma, mi ascolta. Solo ora sento che è sotto controllo».
Dopo la vittoria a Melbourne ha pubblicato il photoshoot più glamour (“Mi piace posare!”), il tiktok meglio riuscito (con l’I guess we’ll never know di Kanye West) e il post più doloroso della storia dei vincitori slam, tutti e tre insieme - e questa combinazione di cose poteva spettare solo a lei. Ha dedicato il trofeo a suo padre, che l'aveva indirizzata al tennis, morto all'improvviso a 42 anni quando lei ne aveva appena 21. «Sei fiero di me?».
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Il torneo
La parte più bella è stata come una storia così grande non abbia oscurato il campo. I contenuti tennistici sono stati di valore assoluto: la fotografia scattata in vetta in una giornata di sole. Non c’è nulla che racconti meglio la qualità di una partita della sensazione che si prova quando i tennisti in campo alzano il livello in un momento in cui non sembra che sia possibile giocare meglio di così. Che questo avvenga in una finale è una fortuna su cui chi segue molto tennis preferisce non contare troppo.
La sfida di Sabalenka per la finale rischiava di essere, ancora per una partita in più, noiosa: di non lasciare che le emozioni negative le impedissero di giocarsi l’occasione più importante della sua carriera, come avevano fatto tante volte in passato. La semifinale era stata già un faccia a faccia con il suo più grande demone: tre semifinali slam, tutte perse con un identico, terribile, 6-4 al terzo set; l’ultima volta con Swiatek agli US Open pochi mesi fa. Stavolta il tabellone le aveva posto di fronte Madga Linette, una connazionale meno illustre ma con tutte le carte in regola per essere più pericolosa: più simile a Radwanska che a Swiatek, Linette aveva trovato nel suo gioco di difesa la chiave per disinnescare qualsiasi tipo di avversaria, e eliminando nell’ordine Kontaveit, Alexandrova, Garcia, e Pliskova. Nell’umidità della sessione serale della Rod Laver arena, perdere questa partita, dopo aver battuto senza perdere un set giocatrici di tutt’altra esperienza come Bencic e Vekic, sembrava il delitto perfetto. Nei primi due game, concessi a Linette con una serie di errori non forzati senza soluzione di continuità, c’era già tutto il potenziale dello svolgimento tragico della partita. Invece, nel momento più complicato, la tigre è rimasta calma. Tanto da riportare il set in parità, e mantenerlo sotto controllo, fino al momento di giocare uno tie-break perfetto, e piegare definitivamente l’avversaria.
È stata Rybakina a battere la numero uno del mondo, Iga Swiatek. Come l’aveva battuta in un torneo di esibizione di fine anno, e pure nella finale del torneo Bonfiglio giocato quando erano junior. Rybakina arrivava come a voler vendicare la testa di serie troppo bassa che le era stata assegnata, a lei che senza il ranking congelato della pandemia sarebbe arrivata in top 10 forse più di due anni fa, e con i punti di Wimbledon avrebbe potuto giocarsi anche le Finals: un 22 del seeding che doveva valere almeno 8, ma anche 7 o 6. Per arrivare a questa seconda finale ha battuto la finalista uscente, e dal quarto turno in poi soltanto campionesse slam - Azarenka nata negli anni 80, Ostapenko negli anni 90, e Swiatek negli anni 0. Più che in cerca di conferme, giocava sfidando le avversarie a considerarla una sfidante.
La finale
Il servizio è il colpo più difficile del tennis, ed è considerato uno dei gesti sportivi più complessi in assoluto. Si esegue da fermi, senza poter contare sul ritmo o sull’istinto: la difficoltà è tanto mentale quanto fisica. Il lancio di palla, l’impugnatura della racchetta, il peso del corpo, il gomito, la testa, lo sguardo, le anche, la rotazione, la tecnica di spinta delle gambe, il punto di impatto, il ribaltamento delle spalle, la pronazione del polso - gli infinitesimali cambiamenti che determinano le variazioni, e il peso di questo colpo di inizio gioco. Si vince e si perde spesso più per il proprio servizio che non per quello degli avversari.
Sabalenka ha raccontato di aver lavorato con un biomeccanico per mettere a posto questo colpo. La regina dei doppi falli ha deciso di chiedere aiuto, e si è rivolta a un professionista. Un biomeccanico è uno specialista che si occupa di studiare i principi meccanici del movimento: studia un gesto sportivo e ne analizza le componenti, le forze e la catena cinetica, per ottimizzarlo.
Nella conferenza stampa dopo la semifinale, ha raccontato anche di aver interrotto la collaborazione con lo psicologo, dicendogli tipo: «Senti, penso di doverci lavorare io, perché ogni volta che spero che qualcuno risolva il mio problema, questo non risolve il mio problema». Per il momento storico, la generazione, e dopo un anno di regno di Swiatek, l’idea può sembrare controcorrente; ma solo se si vuole credere che ci sia un unico modo giusto di fare le cose. In realtà quella di seguire un percorso per un certo periodo, e poi avvertire la sensazione di doversi assumere delle responsabilità, è un’esperienza assolutamente valida - la sua riuscita si misura soltanto sulla storia individuale.
Primo set
Quando sulla Rod Laver arena Aryna Sabalenka ha aperto la finale commettendo un doppio fallo sul primissimo punto, l’epilogo sembrava già scritto. I turni di servizio della sua avversaria sarebbero stati implacabili. Potevamo aver già visto l’ultimo punto della partita, e avere davanti un’ora e mezza o due di pura ironia drammatica. Sabalenka ha sorriso e ha chiuso gli occhi per un attimo. Poi ha servito un ace, due prime, e tenuto il servizio a 15 chiudendo il game con un altro ace.
Sabalenka non era scesa in campo come la regina dei doppi falli del 2022, ma come la giocatrice imbattuta dall’inizio del 2023 - se ne accorgono tutti, compresa la sua avversaria. L’induttivismo non si applica al tennis, e il cemento australiano non è Wimbledon, e la verità è che la storia di questa finale sarebbe potuta cambiare in ogni minuto delle successive due ore. Nel secondo gioco Rybakina risponde a tono al servizio di Sabalenka, mette a segno tre ace, e le strappa un break nel game successivo.
Rybakina non è una giocatrice che ha bisogno di aspettare che le sue avversarie siano in difficoltà. Non concede un punto, non un passo: lotta di una lotta inappariscente, priva dell’estetica del combattimento, di opposizione ferma e ostinata. La palla esce dalla sua racchetta come senza sforzo, ma i colpi sono pesanti, profondi, piatti verso ogni angolo del campo. Con il rovescio sembra poter non sbagliare mai. Appena Sabalenka vacilla, tornando a commettere doppio fallo, Rybakina si prende il break, e il primo set.
La rimonta
La cosa più difficile da fare nel tennis è quella che non hai mai fatto. Come il servizio all’inizio del punto, è il peso della consapevolezza con cui sei solo in campo. Non solo Rybakina ha già giocato una finale slam, ma l’ha vinta, rimontando da un set sotto. Anche Sabalenka ha vinto in rimonta negli slam, solo l’anno scorso per ben sei volte: ma non ha mai giocato una finale, e invece ha dimostrato di sapersi tradire. Per questo, quello che succede da questo momento in poi segna un punto; nei due set successivi Sabalenka rimonta, simbolicamente, tutto il suo passato.
La qualità del gioco, di ogni colpo, di ogni punto, di ogni game, è di un livello altissimo. Entrambe si contendono il controllo del campo, giocano prime stabilmente oltre i 180km/h e attaccano senza colpi interlocutori, forzano per spingere l’avversaria a una difesa che non le appartiene. Allo stesso tempo la difesa non è disperata, chiedono e ottengono l’impossibile dal proprio tennis, giocando gli slice più bassi e profondi di cui sono capaci, per aggredire se non la palla almeno le sicurezze.
I game centrali del secondo set sono infiniti. Rybakina si rende conto che la sua avversaria non è disposta a lasciarla andare via così facilmente. Per quanto metta in campo la sua più decisa opposizione, non riesce a contenerla. Sabalenka la trascina ai vantaggi, alla prima occasione si prende un break, e lo difende con tutto quello di cui è capace. Non solo aggredisce il dritto di Rybakina, ma la fa muovere e le toglie il tempo, tira vincenti da ogni lato del campo. Annulla tre palle del controbreak, e non smette di mettere pressione e di forzare senza pietà con il rovescio, sia lungo-linea che a uscire. Con due ace, riporta la partita in parità.
Il primo slam non si scorda mai
Il terzo è stato uno di quei set che aumentano il battito cardiaco anche di chi li guarda, pure comodamente dal divano. Nel quarto game Rybakina, avanti 2-1 e 0-15, sbaglia due risposte di rovescio - una di pochi millimetri, facendo sussultare la Rod Laver arena. Sul tre pari si cambiano le palle, le giocatrici cambiano le racchette. In quel momento di sospensione si rompe per un attimo la trance agonistica in cui eravamo stati trascinati tutti. Con quelle racchette e quelle palle una delle due vincerà questo slam, ma in questo momento è impossibile dire chi.
È Sabalenka a prendersi il break nel gioco successivo, rimontando da 0-30, con il dritto. Nel game successivo Rybakina la spinge ai vantaggi, ma non riesce a procurarsi palle break, se non più tardi, nell’ultimo game. Sabalenka va a servire per il match, per il suo primo slam, avanti 5-4. Il doppio fallo, l’unico del set, arriva sul match point come un espediente narrativo un po’ troppo utilizzato ma sempre d’effetto, soprattutto abbinato al servizio vincente con cui annulla poco dopo la palla break, forzando un errore con il rovescio di Rybakina. Sull’ultimo match point serve una prima violenta perfettamente al centro - Rybakina risponde prendendo mezza riga, per lasciarci senza fiato fino all’ultimo. Quando l’ultimo dritto finisce lungo, Sabalenka lo segue a terra, piangendo e ridendo allo stesso tempo.
Le statistiche del torneo ci hanno fatto sapere che i colpi da fondocampo di Sabalenka sono stati sistematicamente più pesanti di quelli di entrambi i finalisti del tabellone maschile: il suo modo di aggredire la palla è qualcosa che ha sempre reso avvincenti le sue partite, a prescindere dal livello o dal risultato. Ma in questo torneo è stata la forza mentale che le ha permesso di arrivare fino in fondo: la calma. Essere stata la più grande avversaria di se stessa, e la principale causa di tante sconfitte importanti, ha costruito gradualmente in lei qualcosa che è emerso nel momento più importante, e che ha reso la vittoria ancora più indimenticabile.
L’Australian Open è il suo dodicesimo titolo. Tutte le ultime campionesse slam sono arrivate alla vittoria più importante con strade molto più brevi: Barty aveva vinto 4 titoli, Kenin 3, Andreescu 2, Rybakina 2, Krejcikova1 , Osaka1 , Raducanu e Swiatek nessuno. Aryna Sabalenka prima di vincere uno slam ha dovuto fare un giro molto più lungo, e imparare ad addomesticare le tigri, ma nessuno può dubitare che fosse all’altezza di una vittoria del genere. Se il 2022 era stato un anno di frustrazioni, è perché l’anno precedente aveva vinto un 1000 su terra e poi raggiunto la semifinale a Wimbledon: aspettative. Averla ufficialmente tra le campionesse slam all’inizio di questo 2023 regala una rivale ancora più interessante, e amata, al circuito WTA.