Quando Gianni Infantino venne eletto presidente della FIFA nel febbraio del 2016 nessuno si sarebbe mai aspettato che nemmeno otto anni dopo qualcuno potesse sentire nostalgia di Sepp Blatter, decaduto nel 2015 a seguito di uno scandalo di corruzione che sicuramente ricorderete. Allora Infantino si era presentato come una ventata di aria fresca non solo rispetto al suo predecessore, ma anche rispetto al suo principale avversario nella corsa alla presidenza: il bahreinita Salman Bin Ibrahim Al-Khalifa. Da allora molte cose sono cambiate e, dalla spregiudicatezza con cui mercoledì ha gestito il congresso straordinario della FIFA, possiamo affermare che l’allievo ha ormai superato il maestro.
Quello andato in onda in streaming sul sito della FIFA è stato uno spettacolo ai limiti del farsesco e allo stesso tempo una geniale mossa di maquillage politico. Una maestosa operazione di marketing con cui certificare, in maniera solo formalmente collegiale, delle decisioni prese da tempo in modo totalmente verticistico e tutt’altro che trasparente. Gli appassionati di calcio avevano preso atto ormai da un anno che i Mondiali del 2030 si sarebbero svolti in Spagna, Marocco e Portogallo (con un preludio sudamericano di tre partite) mentre quelli del 2034 in Arabia Saudita, tuttavia mancava ancora il placet dell’assemblea che lo certificasse formalmente. E, per quanto all’interno della FIFA goda ormai di un consenso quasi assoluto, Infantino ha preferito andare sul sicuro e organizzare il congresso online, una scelta fatta per togliere di mezzo qualsiasi possibilità di contestazione e negare la parola ai congressisti.
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Così, per volere del suo Presidente, quello che avrebbe dovuto essere un confronto politico si è tramutato in uno show, il cui scopo non era solo l'annuncio delle sedi dei Mondiali 2030 e 2034 ma anche evitare ogni forma di dibattito. E poi: che show. Sul piano estetico il risultato è stato senza dubbio cringe e se non mi credete (e avete 2 ore e 7 minuti di tempo da perdere) potete farvi voi stessi un’idea.
Si è trattato sostanzialmente di un one man show in cui Infantino ha agito contemporaneamente da presidente e da presentatore (arte affinata negli anni in cui era segretario dell’UEFA e spadroneggiava in occasione dei sorteggi della Champions), e in cui i comitati promotori nonché candidati unici per i Mondiali 2030 e 2034 dovevano promuovere le loro proposte pur sapendo di non avere alcun rivale.
Questo esercizio inutile ha comunque regalato delle grandi immagini. Per esempio le congratulazioni e gli abbracci commossi fra i membri della delegazione sudamericana, che sostanzialmente celebravano una sconfitta, accettando il contentino di tre partite come prologo del Mondiale 2030, che dovrebbe celebrare il centenario della competizione. In questo modo, i vertici calcistici sudamericani si sono privati non soltanto della possibilità di organizzare interamente quel Mondiale ma anche di concorrere per quello del 2034.
E se la visione della bambina e del bambino sauditi che in perfetto inglese mostravano artificiosamente il volto buono dell’Arabia Saudita risultava quantomeno dissonante rispetto alla natura repressiva del governo di Bin Salman, il momento meme della serata è stato invece quello del video della candidatura di Spagna, Marocco e Portogallo.
In un campo da calcio in mezzo al mare nel punto perfettamente equidistante fra i tre paesi organizzatori, sono apparsi un presentatore americano (in rappresentanza dell’edizione del 2026) insieme a Figo, Llorente e Naybet. Tutti e tre, con grande imbarazzo e nessuna capacità attoriale come potrete immaginare, prestavano i loro corpi al matrimonio d’interesse fra le federazioni dei rispettivi Paesi fingendo di litigare su quale paese avesse la cucina migliore.
Con questo teatrino i vertici della FIFA non ambivano a vincere l’oscar quanto piuttosto a distogliere l’attenzione dal fatto che quello, nonostante tutto, fosse un congresso: cioè un momento formale in cui teoricamente si prendevano decisioni in maniera democratica.
Era da molto tempo che un Mondiale non era assegnato senza concorrenza. E questo non perché non ci fossero candidature, ma per una precisa volontà della FIFA e del suo presidente, che ha preferito scremarle prima di arrivare al congresso che avrebbe dovuto scegliere. A che pro? È una domanda legittima che tutti i giornalisti che da oggi in poi intervisteranno Gianni Infantino dovrebbero sottoporgli.
Per il momento limitiamoci a mettere insieme i tasselli che abbiamo in attesa che gli storici del futuro possano completare il puzzle. Per il 2030 c’erano due candidature, entrambe molto forti e credibili, eppure sono state accorpate costringendo quella sudamericana ad accettare l’organizzazione di sole tre gare. In questo modo la corsa al Mondiale del 2034 vedeva escluse le federazioni appartenenti alle confederazioni nordamericana, europea, africana e sudamericana già impegnate nelle due edizioni precedenti, lasciando la corsa aperta solamente alle federazioni asiatiche e oceaniche. Ma, una volta ricevuta la proposta saudita (arrivata con incredibile tempismo a soli 81 minuti dalla sua apertura), il processo di candidatura è rimasto aperto solo 25 giorni, forse proprio per evitare che potessero emergere altre candidature concorrenti. Insomma, da fuori sembra proprio che Infantino volesse dare il Mondiale del 2034 all'Arabia Saudita e che abbia fatto di tutto affinché ciò avvenisse.
Resta però una questione aperta: se tutto era già deciso a fine 2023, perché si è aspettato la fine del 2024 per formalizzare le due candidature? Una possibilità (molto maliziosa, me ne rendo conto, ma pur sempre una possibilità) è che questa attesa sia stata dovuta all’ingresso, ufficializzato ad aprile di quest’anno, di Aramco (la compagnia petrolifera statale saudita) fra i top sponsor della FIFA. È possibile insomma che l'apparentemente rigoroso processo di valutazione delle candidature, che si è concluso a fine novembre con un report molto lungo e dettagliato sulla valutazione dei rischi, fosse solo una leva per ottenere una ricompensa maggiore da parte dell'Arabia Saudita.
In quel report il rischio di mancato rispetto dei diritti umani da parte della candidatura è stato valutato come "medio" anziché "alto" e questo, oltre ad essere stato il lasciapassare finale alla candidatura saudita, rischia di diventare un tallone d'Achille sia per la FIFA che per la stessa Arabia Saudita. Come dimostra la pronta risposta di numerose ONG che lavorano a livello globale in difesa dei diritti umani (qui per esempio il comunicato congiunto della Sport & Rights Alliance ma si sono già attivate anche l’ILO e l’ONU) da oggi la società civile internazionale potrà fare pressione per garantire un certo standard minimo sulla FIFA e sull’Arabia Saudita per ben dieci anni. In questo senso, l’esperienza maturata con Qatar 2022, in cui la pressione fu per molti versi tardiva e solo in parte efficace, potrà essere preziosa.
Lo stesso Infantino è apparso consapevole di questa possibilità e infatti nel corso del suo show ha ribadito quanto scritto nel report di valutazione ovvero che, secondo la FIFA, il Mondiale saudita potrà portare a «miglioramenti sociali» e «un impatto positivo sui diritti umani». In questo modo, la FIFA cerca di assumersi il merito di eventuali cambiamenti positivi avvenuti per merito di quelle pressioni esterne, che già durante il percorso di avvicinamento a Qatar 2022 ha dimostrato di considerare particolarmente sgradite.
Al di là dell’ipocrisia della FIFA che si ostina a perpetuare il mai dimostrato mito secondo cui organizzare grandi eventi sportivi in regimi autoritari faciliti i processi di democratizzazione invece di rafforzare il governo in carica (come invece è avvenuto nella stragrande maggioranza dei casi fin qui), il congresso di ieri ha soprattutto dimostrato come il regno di Infantino sia quanto mai saldo.
L’immagine che lo certifica è stato il momento del voto. In un misto fra distopia e cabaret, Infantino ha chiesto ai membri collegati online di votare per acclamazione applaudendo a fronte di telecamera avvicinando le mani alla testa mentre la regia faceva partire applausi finti. Subito dopo ha chiesto al collegio elettorale se il voto fosse avvenuto correttamente.
Se, come ha detto Infantino, il voto del congresso è stato «forte e chiaro» è perché in questo momento la FIFA appare davvero unita - unita, cioè, dalla sua abilità nel gestire la sua macchina burocratica e nel ridistribuire le risorse. È in questi momenti che sembra risuonare la frase che nel 2016 chiuse il discorso con cui si candidò alla presidenza: «FIFA money is your money». I soldi della FIFA sono i tuoi soldi.
Malgrado questo consenso apparentemente plebiscitario, però, si intravede qualche scricchiolio. La federazione norvegese e addirittura quella della “sua” Svizzera hanno infatti inviato due lettere ufficiali in cui si chiedeva ai vertici della FIFA maggiore trasparenza nei processi decisionali. Un atto formale e con scarsa rilevanza pratica ma che dimostra che un’opposizione interna è possibile. Certo, questo significa anche che, se si vuole veramente rendere più trasparente e responsabile l’organizzazione che governa il calcio mondiale, non è possibile fare esclusivamente affidamento ai vertici delle federazioni nazionali e che, oltre alla società civile, anche i media dovrebbero essere più coscienti della propria forza nell'orientare certe decisioni.
Ormai se ne riparla alla prossima assegnazione di un Mondiale, sperando che nel frattempo la FIFA si sia davvero allontanata da un passato che non sembra passare mai.