Segnare tre gol in una partita di calcio ha un valore simbolico così forte che se lo fai ti porti a casa il pallone. Come a dire: «okay fratello, fai quello che vuoi, sei tu qui il capo». Prima di Ademola Lookman, in una finale europea, ci erano riusciti davvero in pochi e in un’epoca in bianco e nero: Ferenc Puskás e Alfredo di Stéfano nel 1960, Pierino Prati nel 1969, Jupp Heynckes nel 1975.
E c’è dello storico, del leggendario, del megachad per rimanere all’epoca di internet, nella partita di Lookman, in come ha segnato la sua tripletta, in come la partita girava intorno a lui come se davvero non sentisse il peso di una finale. Perché la vittoria per 3 a 0 dell’Atalanta sull’ex imbattuto Bayer Leverkusen di Xabi Alonso è certo la vittoria della programmazione, il compimento di un lavoro durato 8 anni; la vittoria del “si difende in avanti”, del testa bassa e lavorare, dello spirito orobico, ma non si può negare che in tutti e tre i gol ci sia il talento del singolo che si innalza sul collettivo, che ci ricorda come anche il calcio - uno sport che si gioca 11 contro 11 - vive di momenti di grazia.
Ogni calciatore dell’Atalanta ieri ha giocato bene, anzi benissimo, ma lo hanno fatto tutti all’interno di un respiro collettivo: i recuperi di Éderson, gli anticipi di Hien, le corse di Zappacosta, l’onnipresenza di Koopmeiners, nessuna di queste cose sarebbe potuta esistere senza il supporto degli altri dieci compagni. Quella prestazione, invece, Lookman avrebbe potuto realizzarla uguale da solo sul campo di Dublino contro tutto il Bayer Leverkusen, così come al parco dietro casa, o sulla luna.
E Lookman non è Messi, non è Cristiano Ronaldo, non è neanche Ronaldo il Fenomeno e Ronaldinho, tutti nomi a cui è stato accostato giustamente dopo ieri, dopo che per una sera è sembrato innalzarsi al loro livello. Quando Lookman è arrivato a Bergamo il suo talento sembrava già in fase calante, almeno nella sua percezione. Non aveva funzionato al Lipsia, che di solito è il posto dove se sei forte diventi molto forte, non aveva impressionato particolarmente in Premier League, non aveva insomma rispettato quanto di buono si diceva di lui. Era una di quelle ali con grande spunto ma poca costanza, di quelle che segnano quattro, cinque, massimo otto gol in una stagione, che fanno vedere di essere forti una domenica su cinque. Su di lui ieri notte è tornato a girare il video di un rigore sbagliato provando un cucchiaio, scrivendo che la sua squadra era sotto 3 a 2 al 98’. Poi si è scoperto che non era vero (erano sotto 1 a 0, strano tipo di fake news).
Per come si sviluppava la partita, Lookman avrebbe dovuto trovarsi spesso a duellare con Tapsoba e mi viene da credere che quando l’ha capito Gasperini si sia sfregato le mani. L’allenatore gli avrà chiesto meno sacrificio rispetto agli altri, ma anche di puntare continuamente l’avversario ogni volta che il pallone gli sarebbe finito tra i piedi. Non è stata una cattiva idea. La prima iniziativa è arrivata dopo sette minuti. Lookman col suo primo passo fulminante ha scartato il raddoppio di Wirtz verso il centro, poi quello di Palacios e ha messo il pallone a Ruggeri sulla corsa. È stata un’azione in parte simile a quelle della finale di Coppa Italia contro la Juventus: Lookman riceveva nel mezzo spazio di sinistra, ma poi la Juventus mandava contro di lui tutti i corpi disponibili, costringendolo a scaricare per il cross di Ruggeri.
La seconda giocata della partita di Lookman è il primo gol. È il più normale dei tre, ma avrebbe dovuto farci capire che nella notte di Dublino la sua reattività era semplicemente fuori scala per gli avversari. È lui che batte l’angolo da sinistra, poi l’azione si sviluppa a destra fino a portare al cross di Zappacosta. Appena prima del cross, sul lato cieco dell’immagine si può vedere Palacios indicare Lookman alle sue spalle a qualcuno, ma non sembra esserci nessun compagno. L’argentino decide però di non preoccuparsi e sarà una scelta che rimpiangerà a lungo. Quando il pallone arriva dalle sue parti lo aspetta tranquillo per spazzarlo, poi con un sesto senso capisce e gira la testa verso destra.
È troppo tardi perché intanto Lookman con il piglio degli Inzaghi di questo mondo sta disegnando un arco per passargli avanti e calciare bello coordinato con il piatto sinistro. Dodici minuti, una manciata di palloni toccati e il gol dell’uno a zero.
La partita continua e l’Atalanta è semplicemente superiore. Il gol ha galvanizzato Lookman che non sbaglia più una giocata, che sia in conduzione o spalle alla porta. Il primo errore arriva al 20’, una difficile sponda di petto con i piedi sulla linea laterale; in panchina Gasperini si contorce come se avesse sbagliato il rigore decisivo provando un cucchiaio.
Non era neanche certo che Lookman giocasse titolare ieri. Ci si poteva aspettare una versione dell’Atalanta più morigerata, con Pašalić a centrocampo e Koopmeiners alle spalle di Scamacca e De Ketelaere e magari Gasperini poteva pensarci, visto che affrontava un avversario capace di segnare 143 gol fino a quel momento. Il tecnico di Grugliasco, però, non ci ha pensato perché Lookman è indubbiamente il suo calciatore più in grado di creare pericoli per sé o per gli altri negli ultimi venti metri. E le finali si vincono facendo gol.
Lookman ha fatto tutto tra il bene e il benissimo e dovrei mettere un video di ogni suo passaggio o movimento, ma al 25’ ha segnato uno di quei gol che veramente appaiono solo nei sogni. Il pallone gli arriva direttamente da una sponda sbagliata da Adli di testa a centrocampo, Xhaka si piazza alla sua destra per dare supporto a Tapsoba (evidentemente anche Xabi Alonso aveva avvertito tutti), ma, insomma, lo sapete, è il momento in cui Lookman tira fuori il suo Ronaldo interiore (scegliete voi quale): finta di andare a sinistra, tunnel al giocatore più esperto in campo e tiro improvviso a togliere la polvere dall’angolo destro della porta.
Non che sia totalmente una novità per Lookman. Contro lo Sporting aveva fatto un’azione simile, con un tunnel anche più bello, quella volta però aveva incrociato il tiro e preso il palo. Lookman è un attaccante da grandi giocate e grandi gol, ma nelle finali di solito queste cose non succedono. Sono partite che si decidono nell’ansia che stempera tutto, per ogni rovesciata di Bale ci sono prestazioni sottotono, stanchezze di fine maggio, non rischiare prima di tutto. E, nonostante abbia scritto il contrario poche righe fa, forse non è un caso che questa prestazione storica sia arrivata all’interno di una prova di squadra dove l’Atalanta non ha mai pensato per un secondo che quella era una finale. Se era successo contro la Juventus, ieri hanno dimostrato di aver imparato la lezione: questi siamo e così giochiamo.
Alle spalle di Lookman, Kolašinac, reduce da un infortunio muscolare, inseguiva ovunque Frimpong; Ruggeri, che obiettivamente tra tutti era il più improbabile, si sovrapponeva ogni 10 secondi. Se all’inizio Lookman era il singolo da innescare per ultimo col cambio gioco, col passare dei minuti è diventato l’uomo su cui provare ad appoggiarsi quando il pressing dei tedeschi è stato più incisivo. Senza palla si incollava a Tapsoba, lo costringeva a lanciare lungo o comunque non avere mai un passaggio facile. Il difensore del Bayer sembrava veramente a disagio in campo.
Nel secondo tempo l’Atalanta ha capito di avere il controllo sulla partita, doveva solamente cercare di non perderlo. La partita di Lookman ha continuato ad essere perfetta anche nelle piccole cose. Prendete questa giocata a tre con cui lui, Koopmeiners e Scamacca costruiscono un’azione pericolosa.
Lookman aveva perso il posto da titolare dopo la Coppa d’Africa, con la Nigeria era arrivato in finale disputando un grande torneo, ma aveva perso. Si era portato dietro un infortunio alla caviglia e un calo di forma nel momento in cui invece si era messo in luce De Ketelaere. Il suo nome, fino a ieri, era il meno citato forse, un po’ perché è dal giorno in cui ha messo piede a Bergamo che sta rendendo con costanza, un po’ perché le altre storie, tipo quella del belga, erano più interessanti.
Qualche tempo fa in un’intervista aveva spiegato come Gasperini gli avesse svoltato la carriera: «Il mister punta molto sul gioco offensivo e sulla creazione di molte opportunità per fare gol. Ha reso il mio calcio molto più semplice». Lo stesso allenatore aveva lasciato intuire come nessuno prima di lui ci avesse capito nulla con Lookman: «Questo non giocava offensivo, faceva 6-7 gol e stava molto più sulla fascia. Adesso è diventato uno che entra in gioco negli ultimi venti metri ed è sempre in grado di creare pericoli».
Al 48’ è lui a servire un taglio in area di Koopmeiners coi giri giusti, d’esterno, con il cross dell’olandese che costringe al salvataggio miracoloso Tah. Al 53’ si scorda delle marcature a uomo e si mette a seguire il pallone. Tapsoba riceve da solo al limite dell’area di rigore, potrebbe tirare ma non si fida del suo piede. Entriamo in quella fase in cui i tedeschi provano ad alzare i giri per riaprire la finale, l’Atalanta è costretta leggermente a rinculare. Lookman continua a essere un riferimento sicuro perché più vicino rispetto a Scamacca, che è un po’ solo davanti. Ogni volta che i compagni lo cercano, lui è pulito in tutti i controlli spalle alla porta, sempre disposto a farsi trovare, questo magari è quello che - non sempre - gli riesce bene, ma ieri sì.
Al 66’ manda al bar Frimpong che lo stende, al 69’ non riesce a saltare Tapsoba ma persa palla riaggredisce, costringe il difensore a tornare indietro. Al 72’ triplica Frimpong e recupera palla, al 74’ con una lettura difensiva notevole anticipa Wirtz e recupera di nuovo palla. Passano una trentina di secondi e il Bayer è di nuovo in attacco. Pasalic strappa il pallone dai piedi di Hincapié e va in verticale da Scamacca. L'attaccante porta palla al centro, punta Tah, si sposta il pallone col destro e finta il tiro. È però un passaggio a Lookman che, questa volta sì, è in uno contro uno con Tapsoba al limite dell’area di rigore. Non può chiedere niente di meglio in serate come questa, quando il campo gli sembra un'immensa prateria inclinata. Doppio passo, palla a sinistra e difensore a destra, mancino all’incrocio.
L'Atalanta sapeva che il suo gioco avrebbe potuto mandare fuori giri il Bayer Leverkusen, magari poco abituato ad affrontare quel tipo di squadra. Sapeva anche che forse non avrebbe potuto creare tanto, che comunque inseguire la fluidità della squadra di Xabi Alonso avrebbe comportato un dispendio fisico e una disposizione in campo che avrebbero reso più difficile attaccare. Così è stato, l'Atalanta non ha creato tantissime occasioni, ma ha avuto la bravura di mettere in condizione Lookman di averle. Il nigeriano, a sua volta, è stato fenomenale nel massimizzare ogni pallone toccato. Alla fine saranno 3 gol con tre tiri, da un totale di 0.3 xG. Se non è perfezione questa.
Il finale di partita è solo una grande festa. Lookman potrebbe addirittura siglare il quarto, se Pašalić lo vedesse alla sua destra mentre brucia per l’ennesima volta l'avversario con uno scatto, ma forse è meglio così: il tre è un numero divino, la tripletta più elegante di una quadripletta. C’è tempo per un passaggio a Ruggeri, trascinandosi il pallone con l’interno e facendolo passare sotto le gambe del poro Tapsoba, un gesto che serve a confermarci che ieri Lookman era lì, in quel posto in cui vanno ogni tanto le persone benedette da un talento superiore.
Dopo la partita Gasperini ha potuto solo dire le stesse cose su Lookman che ripete da un po’, sulla sua capacità di accendersi negli ultimi metri, del suo tiro immediato che sembra non avere bisogno di caricarsi, su come veda la porta e sappia creare pericoli. L’allenatore, dice, ha solo fatto in modo che questo accadesse il più possibile. Lookman dal canto suo non è uno di molte parole. Ha parlato di confidence, che potremmo tradurre con fiducia, si è fatto tutta la festa col pallone sottobraccio perché chi segna tre gol si porta a casa il pallone, su questo non ci piove.
Stamattina anche l’Equipe, giornale coi voti da vecchio professore di matematica, gli ha dato 10. Era successo appena poche altre volte nella storia. Ed è un voto che ci sta, per i tre gol, ma a rivederla anche per tutto il resto: le 61 volte in cui ha toccato palla, i 30 passaggi riusciti, gli 8 dribbling tentati, i 4 falli subiti, i 3 contrasti, il continuo rilanciare una prestazione che sembrava già sufficientemente gonfia. Subito dopo il fischio, arrivato, guarda caso, col pallone tra i suoi piedi, tutti i giocatori dell'Atalanta e lo staff sono andati a cercarlo. Lo hanno preso di peso e lanciato nel cielo di Dublino. È sembrato un gesto naturale, il riconoscere che anche nella vittoria del collettivo il singolo può brillare come un diamante. Le due cose non sono state in contrapposizione ieri e non lo saranno mai.