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La partita era finita, e il Bologna continuava a pressare
05 feb 2025
Il Bologna torna in semifinale di Coppa Italia con una prestazione notevole.
(articolo)
6 min
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IMAGO / Xinhua
(copertina) IMAGO / Xinhua
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Per raccontare questa partita bisogna partire dalla fine, e da un momento apparentemente meno significativo. Il Bologna era in vantaggio a Bergamo, a pochi minuti dalla prima storica qualificazione in semifinale di Coppa Italia dopo 26 anni; l’Atalanta, una delle migliori squadre della competizione nelle ultime stagioni, doveva disperatamente trovare il gol del pareggio.

Intorno al novantesimo, l’Atalanta è sempre pericolosa. L’aggressività e la qualità che riesce a mettere negli ultimi minuti delle partite è difficile da pareggiare. Se facessimo una classifica della Serie A solo dell’ultima mezz’ora delle partite, l’Atalanta sarebbe prima. Il Bologna aveva già giocato una partita dispendiosa. Sapendo tutte queste cose, ci si aspetta l’assalto finale: palle in area, cross, pressione offensiva generica che a un certo punto produce un gol perché da qualche parte questa pressione deve fuoriuscire.

Invece l’Atalanta fatica ad avvicinarsi all’area. Si capisce che sta affrettando le sue giocate, che sta tendendo la propria concentrazione al massimo, che sta cercando un equilibrio tra l’esigenza di sbrigarsi e fare le cose per bene. Dall’altra parte, però, il Bologna corre come fosse il primo minuto. I giocatori vanno sul portatore appena riceve palla, comprimono lo spazio davanti, non lo lasciano respirare. È stato piuttosto impressionante da vedere.

pressing 1

Abbiamo visto pochi giorni fa la squadra prima in classifica, il Napoli, buttare via il vantaggio esagerando nella difesa in area di rigore. Nel calcio italiano è spesso così, per un misto di idee tattiche e convinzioni culturali: verso gli ultimi minuti di partita bisogna soffrire, frapporsi fisicamente alla porta, respingere i cross. Per questo ha ancora un suo senso controculturale vedere il Bologna difendersi in avanti negli ultimi minuti, togliere all’Atalanta la voglia di superare la metà campo.

Il significato risuona ancora di più, se il Bologna questa cosa la fa contro l’Atalanta a Bergamo, cioè la squadra che questa cosa in Italia la fa da più anni. La squadra verso cui il Bologna, oggettivamente, sembra guardare come modello.

Già lo scorso anno con Thiago Motta nel girone di ritorno avevamo visto questo spettacolo che somiglia molto a un parricidio, ma ieri è stato se possibile ancora più impressionante. Il Bologna nel frattempo ha ceduto i tre giocatori più qualitativi dello scorso anno - Calafiori, Zirkzee, Saelemaekers - ed è diventata una squadra più lineare e fisica. Se lo scorso anno aveva pesato anche la qualità del palleggio della squadra di Motta, ieri a momenti il Bologna è sembrato sovrastare l’intensità dell’Atalanta a casa sua. Uno spettacolo francamente inedito. È stata una partita aperta e ruvida, tra due squadre eretiche, ma che stanno dando forma a nuove convenzioni tattiche in Italia.

Questi ultimi minuti sono significativi anche per Vincenzo Italiano, famigerato per riuscire a pareggiare o a perdere in situazioni di vantaggio in modo pirotecnico e spettacolare. Vi ricordate quando veniva chiamato “Vincenzo Iraniano” e noi lo definivamo “Re dell’auto-distruzione”? Sono passati pochi mesi ma pare cambiato davvero tutto.

Italiano ha costruito una squadra meno spettacolare del Bologna dello scorso anno, e con meno gusto a giocare il pallone anche rispetto alla propria Fiorentina. Tiene meno il possesso rispetto a entrambe queste squadre. Rinunciando però a giocare troppo il pallone, però, ha costruito la sua solidità. Il Bologna ha perso tre punti percentuali di precisione passaggi dalla scorsa stagione a questa; è diventata una squadra più diretta e più a proprio agio senza la palla, quando può difendere in avanti, saltare alla gola degli avversari. Per certi versi, è anche più entusiasmante da guardare - a seconda dei gusti, certo. Non ha rinunciato del tutto al palleggio, ma sa alternare bene i momenti, grazie a letture individuali sempre più puntuali.

La partita di ieri contro l’Atalanta certifica una crescita che è stata evidente nelle ultime settimane. Arrivati al 27 novembre il Bologna aveva vinto appena 4 partite su 17; da quel momento ne ha vinte 8 su 15. Ha trovato la sua prima vittoria in Champions League, in casa contro il Borussia Dortmund, ed è andato vicino al secondo successo contro lo Sporting. Una crescita arrivata grazie a un aumento della pericolosità offensiva, visto che nei primi mesi il Bologna era una squadra solida ma stitica, prevedibile. Molto c’entra l’ingresso fra i titolari del talento Dominguez, che ha aggiunto qualità palla al piede anche in spazi stretti; e poi anche Dallinga più vivo nelle rotazioni e Ndoye sempre più influente nel gioco.

Il Bologna è difficilissimo da battere. Ha perso una sola partita da fine novembre a oggi: contro l’Hellas Verona, in dieci, con un andamento decisamente sfortunato. Anche per questo la sconfitta non è in fondo troppo preoccupante per l’Atalanta, che arrivava meno in forma dei suoi avversari alla sfida, e che comunque ha avuto diverse occasioni. La più grande forse quella capitata sul piede di Daniel Maldini a dieci minuti dalla fine. «È un ragazzo sano», ha detto Gasperini, che ne ha promesso la crescita anche in prospettiva Nazionale.

Non concedere occasioni fuori casa alla squadra di Gasperini non è possibile, ma il Bologna ha chiuso la partita in crescita, con un’intensità che sembrava poter salire ulteriormente. Secondo Vincenzo Italiano, c’entra anche la Champions League: «Ci ha tolto energie ma mi ha permesso anche di coinvolgere tutti i giocatori e ora ognuno si sente parte della squadra nella giusta maniera».

Se il Bologna riesce ad andare così forte è anche per la gestione delle energie che fa il tecnico. Italiano ruota i suoi giocatori calibrando in modo quasi paranoico le energie e le caratteristiche a seconda dell’avversario. Ndoye è uno dei più utilizzati in Champions, ma in Serie A ha giocato meno di Ogaard (che invece è tra i meno utilizzati in Europa). Contro squadre di livello più basso gioca con una punta in più, quando il livello si alza aggiunge un centrocampista. Se c’è Dominguez sulla sinistra si ha un’opzione in più in ampiezza, con Fabbian e Odgaard ancora più forza sulle seconde palle e negli inserimenti in area - la forza principale di questa squadra. Con Moro aggiunge un palleggiatore e un centrocampista bravo sotto pressione; con Pobega un altro animale da pressing. Nessuno di questi giocatori ruba davvero l’occhio, come i talenti dello scorso anno, ma sono ben assortiti e il tecnico sa come farli ruotare cambiando anche solo leggermente la forma della sua squadra, il modo di attaccare e di difendere.

Queste rotazioni rappresentano una delle spiegazioni più razionali alla bravura di Italiano nelle coppe, che dalla Fiorentina si è portato dietro al Bologna.

C’è una costante, però, nelle grandi prestazioni del Bologna delle ultime settimane, ed è un elemento del tutto imprevedibile: Charalampos Lykogiannis, ieri autore del grande assist per Santiago Castro. Una punizione calciata forte, tesa, precisa. Dopo una carriera onesta ma decisamente poco significativa, a 34 anni è diventato il Trent-Alexander Arnold del Bologna. Un terzino puntuale negli inserimenti, ma soprattutto devastante per qualità balistica; capace di rappresentare una minaccia a ogni altezza di campo. Quello di ieri è il suo quarto assist nelle ultime sette partite.

Il Bologna torna così in semifinale di Coppa Italia dopo 26 anni dall’ultima volta. Era il 1999 e i rossoblù ai quarti di finale avevano eliminato la Juventus grazie a un inatteso 2-1 al Delle Alpi, in una partita in cui Simone Perrotta segna il suo primo e ultimo gol in bianconero. La squadra allenata da Carlo Mazzone era passata all’ultimo minuto, con un rigore guadagnato da Binotto e realizzato da Ingesson. Per dire quanto tempo è trascorso.

Un altro piccolo record per tenere traccia della crescita complessiva di un progetto che negli ultimi tre anni ha preso il volo, e che sembra più forte dei giocatori e degli allenatori che lo abitano.

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